2 marzo 2003: con Mario Galesi, finiscono anche le Nuove Br
Mario Galesi fu un componente di primo piano delle Nuove Brigate Rosse. Partecipò agli omicidi di Massimo D’Antona nel 1999 e di Marco Biagi, nel 2002. Morì il 2 marzo 2003, in seguito alle ferite riportate in un conflitto a fuoco con la polizia ferroviaria
Vissuto perlopiù a Roma, verso la metà degli anni ottanta entra a far parte nel movimento dell’Autonomia capitolina. Frequenta il centro sociale “Blitz” di Colli Aniene. Il suo primo arresto risale al 1986, a vent’anni. Con l’aiuto di quattro complici, stava tentando di aprirsi un varco con delle tronchesi nel recinto dello Stadio Flaminio, per assistere a un concerto di Ray Charles.
Catturato dalla Digos, Galesi è accusato di partecipazione a banda armata ma, solo due giorni dopo, scarcerato per assoluta mancanza di indizi. Nonostante il rinvenimento, nell’appartamento di un complice, di materiale esplosivo e armi da fuoco.
Il secondo arresto
Il 16 gennaio del 1997 è nuovamente arrestato e condannato a quattro anni di carcere per una rapina di autofinanziamento a un ufficio postale di via Radicofani, a Montesacro. Assieme a due complici (tra cui Jerome Cruciani, uno dei cinque dello Stadio Flaminio) si fa consegnare la somma di 120 milioni di lire. Lo catturano, dopo un breve inseguimento, i carabinieri del Comando Montesacro.
Nel febbraio del 1998, ottenuti gli arresti domiciliari, Galesi decide di rendersi irreperibile. Dietro a quella fuga c’è il passaggio alla clandestinità. Una scelta che verrà alla luce solo in coincidenza con le successive indagini sulle Nuove Br, di cui Galesi può essere considerato uno degli artefici principali.
La ricostruzione di Casamassima
Una sparatoria in treno
Domenica 2 marzo 2003. In una carrozza del treno che fa tappa in piccole stazioni tra Roma e Firenze, Mario Galesi e Nadia Desdemona Lioce, ricercati per l’omicidio D’Antona, viaggiano sotto falso nome. Sono le 8:30 quando sull’interregionale 2304 Roma-Firenze, che a quel punto si trova tra le stazioni di Cortona-Camucia e Castiglion Fiorentino, si scatena una sparatoria che lascerà per terra due persone. La storia comincia più di due ore prima.
In viaggio sul diretto per Arezzo
Alle 6:19, la Lioce e Galesi obliterano due biglietti alla stazione Roma Tiburtina, destinazione Arezzo, e salgono sul diretto per Firenze. Lei ha pantaloni neri, maglia color pesca sopra una camicia grigia, capelli rossi. È ingrassata rispetto alle foto in possesso della DIGOS. Lui è piccolo e stempiato, vestito in modo anonimo, e porta con sé un borsone. Dentro ci sono documenti e ritagli di pubblicazioni, due agende elettroniche, un floppy disk e una telecamera palmare. Alle 8:24, alla stazione di Terontola, crocevia per l’Umbria, salgono tre uomini della polizia ferroviaria per controlli di routine. Fra essi, il maresciallo Emanuele Petri, quarantotto anni, che abita a Tuoro sul Trasimeno con moglie e figlio.
Un maledetto scambio di turno
Quella domenica Petri sarebbe potuto rimanere a casa, ma all’ultimo momento ha cambiato turno. Con Petri ci sono il sovrintendente Bruno Fortunato, quarantacinque anni, di Terontola, padre di due figli, e l’agente Giovanni Di Franzo, trentasei anni. I poliziotti entrano nella carrozza numero quattro a scompartimenti aperti, divisa solo a metà dalla vetrata che separa fumatori da non fumatori. In quel momento ci sono in tutto due coppie e una donna da sola. Petri si avvicina alla prima coppia e chiede i documenti. Di Franzo resta alla radio ricetrasmittente. Lioce e Galesi si alzano e consegnano le carte d’identità a Fortunato. Sono false, ma quando l’agente Di Franzo contatta la sala operativa della polizia ferroviaria di Firenze gli viene detto che quei due nomi sono puliti.
I documenti falsi reggono
Le due carte d’identità, intestate a Domenico Marozzi e Rita Bizzarri, fanno parte della partita dei documenti in bianco rubati nella notte del 10 marzo 1999 negli uffici comunali di Casape, piccolo centro alle porte di Tivoli. Il fascicolo compilato dai carabinieri della stazione di San Gregorio, paese vicinissimo a Casape, archiviato insieme ad altri furti, sarà poi rispolverato dagli uomini della DIGOS. In totale, fra Casape e il territorio circostante, erano state denunciate 560 carte d’identità rubate. L’ultimo furto, registrato il 6 dicembre 2002 nel comune di Marcellina, conta la sparizione di 377 carte d’identità da un armadio blindato. Nella notte dell’11 febbraio 2002, nel comune di Vicovaro, ne erano state sottratte un’ottantina.
La sparatoria: due i morti
Ma Galesi non sa che per la centrale quei documenti risultano a posto. Teme di essere scoperto. S’innervosisce. Nelle sue mani compare una pistola. Ancor prima di capire, il sovraintendente Petri se la trova puntata al collo. «State buoni, dateci le armi e tutto si risolve». L’agente Fortunato butta la pistola. La Lioce cerca di raccogliere l’arma, ma Fortunato la ostacola. Galesi spara. Petri stramazza a terra fra fiotti di sangue. Ancora colpi. Due proiettili raggiungono a un polmone e al fegato Fortunato.
Di Franzo getta per terra la ricetrasmittente, che è ancora in contatto con Firenze, e risponde al fuoco. Galesi crolla colpito da due proiettili al ventre. La Lioce, armata della pistola strappata a Fortunato, cerca di sparare, ma l’arma s’inceppa: Di Franzo ne approfitta per disarmarla e immobilizzarla. Il fuoco è finito: a terra ci sono il maresciallo Petri e il brigatista Galesi. Il maresciallo Fortunato è ferito, si siede. Uno dei passeggeri è un vigile urbano di Perugia libero dal servizio: si avvicina a Di Franzo offrendogli aiuto. Telefonano alle rispettive centrali. In quel momento il treno si ferma alla stazione di Castiglion Fiorentino.
La cattura di Lioce
L’agente Fortunato trascina fuori dal treno la Lioce e la ammanetta al palo che sorregge i cartelli dei binari 2 e 3. Poi Nadia è trasportata in questura, mentre Galesi è sottoposto a un lungo e difficile intervento chirurgico all’ospedale San Donato di Arezzo. Lei rifiuta di rispondere agli investigatori (solo dopo essere stata riconosciuta dagli esperti dell’antiterrorismo confermerà le proprie generalità, aggiungendo la frase di rito: «Mi dichiaro prigioniera politica»). Lui muore nella sala operatoria. Il giorno dopo, a mente fredda, gli investigatori fanno il punto della situazione.
Le prime accuse: la rapina di Firenze
La prima scoperta importante arriva dal volto di Nadia Desdemona Lioce. La sua chioma rossa, i suoi occhi castani e la faccia rotonda sono stati mostrati in foto ad alcuni testimoni di una rapina avvenuta il precedente 6 febbraio a Firenze, nell’ufficio postale di via Torcicoda. Tre uomini e una donna, armati di Kalashnikov, avevano rubato 67mila euro. E i testimoni, tra i quali alcuni negozianti della zona, l’hanno riconosciuta. È la conferma al sospetto che gli investigatori della DIGOS avevano avuto: una rapina “politica”. A un anno dalla rivendicazione del delitto Biagi, le BR si rifanno vive con la calligrafia di Nadia Lioce.
Ufficialmente le dieci pagine scritte a mano con due sole cancellature sono la dichiarazione spontanea ai giudici di Roma andati a interrogarla, prima di chiudersi nel silenzio. Ma per gli esperti dell’antiterrorismo rappresentano «un messaggio che arriva dal cuore delle BR». Quasi una risoluzione strategica, seppur condensata rispetto al solito per il poco tempo che la Lioce ha avuto prima di incontrare i magistrati.
Nadia Lioce, un capo
Due giorni appena, nell’isolamento di una cella, per tracciare le «linee che in questa fase congiunturale caratterizzano la proposta delle Brigate Rosse alla Classe». Pagine che dicono di più agli inquirenti: la Lioce non è una semplice militante delle «BR per la costruzione del partito comunista combattente», come s’è firmata. È un capo. Una che «commemora dall’alto» il militante “caduto” nella sparatoria sul treno. L’espressione è di un analista del Viminale, a commento dei passaggi in cui la brigatista ricorda «il compagno Mario Galesi» esaltandone «lo studio e il lavoro di comprensione svolto con impegno e serietà, esaudendo la prima condizione necessaria per rapportarsi efficacemente alla conduzione dello scontro». La sparatoria sull’interregionale 2304, scrive la Lioce, non è stata un’azione premeditata:
Vogliono far credere che il conflitto a fuoco sia stato espressione di una linea di attacco delle BR o peggio, un costume dei brigatisti di sparare qua e là al primo che capita, peraltro anche in palese condizione di inferiorità di fuoco.
Le aree di interesse delle Nuove Br
Non è così, ribadisce la Lioce: c’è un preciso programma da seguire, che passa attraverso «iniziative rivoluzionarie». Quello sul treno è stato un incidente di percorso, non un’azione.
Il documento consegnato al giudice indica tre “aree di interesse”, come le chiamano gli esperti: quella relativa ai progetti di riforma del mercato del lavoro e delle istituzioni, quella riguardante l’area politica, e quella delle teste d’uovo come D’Antona e Biagi. Ma alla “analisi” brigatista non sfugge nemmeno il mondo dei sindacati, CGIL compresa. Infine, la contingenza internazionale porta a immaginare attacchi contro chi sta preparando la guerra all’Iraq: Stati Uniti, Israele e Gran Bretagna. Scrive la Lioce:
Lo scontro di potere tra Classe e Stato sulla rimodellazione economico-sociale e istituzionale nel quale le Brigate Rosse sono intervenute con l’azione Biagi spostando i rapporti di forza momentaneamente a favore del proletariato, non è affatto chiuso, ed è aggravato dalla perdurante stagnazione economica.
Una prospettiva internazionale
(,,,) Per gli analisti, mettere sullo stesso piano CGIL, CISL e UIL significa anche segnalare ai vari “Nuclei” e “Fronti” che fra i tre sindacati non ci sono differenze. Sono tutti sullo stesso livello. Semmai ha “colpe” maggiori chi promuove i grandi appuntamenti di piazza e poi “tradisce” le aspettative. Ma dopo l’11 settembre 2001, citato dalla Lioce come una sorta di restart, la visione delle “avanguardie rivoluzionarie” non può essere limitata all’Italia. Il fronte ormai non è nazionale, ma internazionale: occorre quindi occuparsi della guerra all’Iraq, che le BR leggono come il tentativo di
abbattere il principale ostacolo all’egemonia dell’entità sionista, bastione dell’imperialismo nell’area, disarmando e annientando la resistenza palestinese, punto di riferimento e di forza per tutte le masse arabe e islamiche espropriate e umiliate dall’imperialismo, che nel complesso costituiscono il naturale alleato del proletariato metropolitano dei Paesi europei.
(,,,)L’indicazione è molto semplice: colpire bersagli legati a Stati Uniti, Israele e Gran Bretagna. È questa l’indicazione che da una cella del carcere di Sollicciano arriva ai militanti: «La linea dell’attacco al cuore dello Stato secondo i criteri di centralità, selezione e calibramento sedimentati e verificati in trent’anni di attività delle BR, è vincente e propositiva». Firmato Nadia Lioce. Cioè, Brigate Rosse.
Il ricordo di La Rossa Primavera
Testa rossa non ti dimenticheremo. Accompagnata da una falce e martello, la scritta compare in una strada del Tiburtino, un quartiere popolare di Roma, dopo l’uccisione di Mario Galesi. Vicino alla casa di famiglia, qualcuno ha voluto ricordarlo con il soprannome dei tempi della prima ribellione. Inizialmente Mario si avvicina ai movimenti animalisti, frequenta i luoghi dei fermenti underground, ma presto la rabbia si trasforma in un chiaro impegno comunista. Mario non sopporta lo studio imposto. Per questo si ritira dal Liceo classico Torquato Tasso, dove si era iscritto per compiacere il padre, passando all’istituto d’arte, senza però arrivare al diploma. Ai compagni di classe del ginnasio lascia un buon ricordo.
Il ritratto di Giovanni Floris
Ne parla il conduttore televisivo Giovanni Floris rilasciando un’intervista al settimanale «Panorama». Lo descrive come il tipo dell’ultimo banco: piacevole, sensibile, intelligente…
«La politica per lui era una missione, era il rappresentante di un’opposizione forte al sistema. Ma quando la professoressa di italiano gli faceva la ramanzina, dicendogli che tanti avevano preso una brutta strada, lui si prendeva la cazziata sorridendo». Il suo riferimento politico diviene presto l’area dell’Autonomia Operaia romana. Frequenta le sedi “storiche” di via dei Volsci, nella roccaforte rossa di San Lorenzo, ma soprattutto il Blitz, uno dei primi centri sociali della città, occupato nel marzo 1986 nel quartiere Colli Aniene. Il primo maggio dello stesso anno, pochi giorni dopo l’esplosione della centrale nucleare di Černobyl’, quando la nube tossica dall’Ucraina è già arrivata in Italia senza che ancora se ne abbia notizia, a Roma, nel parco davanti al Forte Prenestino, nel quartiere Centocelle, si svolge la quarta edizione della Festa del Non Lavoro. Alcuni compagni della zona hanno deciso di rompere durante l’iniziativa la catena che da tempo tiene chiusa la grandissima struttura abbandonata. Ma hanno dimenticato le tronchesi. Arriva Mario a portarle, dando così il via all’occupazione del centro sociale. LEGGI TUTTO
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