Mario Moretti, il sequestro Mincuzzi e quella stella sbagliata a sei punte
Ieri ho commesso un errore. Nel presentare il post sul sequestro Mincuzzi nel mio circuito social ho affermato che era un episodio minore e che né Moretti né Curcio ne avevano parlato. In realtà avevo fatto una “ricerca di contenuti” di “Una storia italiana” in una versione PDF non indicizzata. Me l’hanno fatto immediatamente notare. Perché il sequestro lampo è quello in cui Moretti disegna per sbaglio la stella a sei punte, elemento che è considerato essenziale nella configurazione complottista del leader brigatista. Ci sono quindi diversi passaggi nella sua intervista biografica. Eccoli:
Mincuzzi: discussione pacata
Sequestrato sotto casa il 28 giugno ’73, l’ingegner Michele Mincuzzi dichiarò agli inquirenti: «Non lo chiamerei un processo, perché è stata una discussione pacata. I sequestratori esponevano le loro teorie sulla società e mi permettevano di replicare. Quando ho detto che ero sofferente di cuore e che sentivo i battiti irregolari, mi hanno slegato e, quasi con premura, concesso che mi massaggiassi il petto. Poco dopo mi hanno rilasciato».
A proposito della stella
In vent’anni ho sentito almeno tre versioni sulla nascita del nome e del simbolo delle Br. Scelgo quella in cui c’è Mara, perché è lei che mi ha insegnato a fare la stella a cinque punte dopo che l’ho vergognosamente sbagliata sul cartello al collo di Mincuzzi quando lo rilasciamo davanti ai cancelli dell’Alfa Romeo. Io sono esperto nel disegno tecnico, è il mio mestiere, ma per far come si deve la nostra stella ci vuole un pizzico di fantasia: si prende una moneta da cento lire… be’, lasciamo perdere. Non vorrei che a qualcuno venisse in mente di ricominciare.
Le Brigate rosse e l’Alfa Romeo
L’Alfa Romeo è stata differente, anomala, sempre che si possa considerare “normale” una qualche parte del movimento di quegli anni. Nel biennio ’68-69 nascevano a Milano dappertutto i comitati autonomi, e all’Alfa niente. Nel momento più caldo, inspiegabilmente, niente. Naturalmente è un modo di dire, perché anche all’Alfa si lottava: intendo che all’Alfa l’Assemblea Autonoma si forma dopo, quando le altre sono già scomparse. Forse è per questo che durerà molto più a lungo, anche se finirà essa pure per spegnersi.
Con quell’Assemblea Autonoma le Brigate Rosse hanno avuto un rapporto intenso, forse il più maturo. Non abbiamo tentato mai di trasformarla in una brigata: doveva esprimersi pienamente, liberamente, ci limitavamo a organizzare alcune azioni che emergevano come le più giuste dalla discussione. Per esempio il sequestro Mincuzzi nasce da questo rapporto, in un momento acuto delle lotte contro i tempi e i carichi di lavoro nel ’73. C’è anche un altro elemento: noi ci eravamo formati dentro il sindacato, anche se contestandolo, e le prime Br nascono dai Cub. Nel nascere determinano la morte degli organismi che le avevano generate. All’Alfa riusciamo a evitarlo, l’Assemblea Autonoma è fuori dalla storia del sindacato e anche dalla sua involuzione. Sarà soffocata dai mutamenti della produzione. Finisce come un cerino che si spegne perché non ha più niente da bruciare.
“Mai fatto un processo”
il processo è una terminologia povera, forzata, una scimmiottatura del tribunale borghese. Non siamo mai stati capaci di fare un processo. Ricordo quando abbiamo sequestrato Mincuzzi,14 un dirigente dell’Alfa Romeo che seguiva le trattative all’Intersind. Lo teniamo in un capannone fuori Milano, gli contestiamo le condizioni di lavoro, gli orari, i ritmi, i temi della lotta all’Alfa in quel momento. Sono accuse aspre, ma dopo cinque minuti ci troviamo a discutere: lui difende l’oggettività del meccanismo produttivo, contesta le nostre contestazioni. Siamo su posizioni inconciliabili. Ma a un certo punto, lui, che ha gli occhi bendati e un naso gonfio così perché s’è beccato un pugno dibattendosi mentre lo facevamo salire sul furgone, mi fa: «Ma me lo spieghi perché non sei venuto a casa mia a discutere di queste cose?». Avrà anche avuto interesse a sdrammatizzare, però quella battuta conteneva una verità.
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