2 luglio 1981. Mario Moretti racconta: così tentarono di ammazzarmi in carcere
La mattina del 2 luglio 1981 l’ergastolano pluriomicida Salvador Farre Figueras, armato di un lungo coltello rudimentale, aggredisce in carcere Mario Moretti e lo ferisce al braccio e alla mano, poi colpisce anche Enrico Fenzi.
L’aggressione avviene durante l’ora d’aria all’interno del reparto di massima sicurezza del carcere di Cuneo.
Un ferimento inspiegabile
L’accoltellamento di Moretti è inspiegabile, dal momento che aggressore e aggredito non si conoscono, né risulta che abbiano avuto alcun contrasto in carcere. Del resto Moretti è appena uscito dall’isolamento dopo l’arresto di aprile. Più che un tentato omicidio (la mole fisica di Figueras avrebbe agevolmente sopraffatto la modesta corporatura del capo brigatista), bensì di un brutale “avvertimento”, assicurato dalla straordinaria abilità del mafioso catanese con il coltello.
È lo stesso Figueras a vantarsi con altri detenuti di avere voluto solo spaventare Moretti, assicurando che se avesse voluto ucciderlo avrebbe potuto farlo facilmente. Su questa circostanza concordano alcuni ex detenuti che hanno avuto modo di conoscerlo. Tra questi Fenzi, la cui testimonianza pubblicheremo in seguito. Per i brigatisti, a prescindere dalle successive appartenenze (cito due nomi: Bolognesi del Partito guerriglia e Padula del Pcc), non c’è dubbio che invece fosse un tentativo di omicidio scongiurato dall’intervento di Agrippino Costa.
La testimonianza di Moretti
Vediamo invece come Mario Moretti racconta l’episodio a Carla Mosca e Rossana Rossanda nella lunga intervista che sarà pubblicata come libro, “Una storia italiana”
In carcere sei un po’ solo?
Più che solo in isolamento: fra la caserma della polizia a Milano e le celle di isolamento di Cuneo mi sono fatto tre mesi senza vedere nessuno che non fossero le guardie. Ma era l’inizio e dopo dieci anni di clandestinità potevo persino prenderlo come una tregua; mi sono letto due volte di fila Guerra e pace. Mille e settecento pagine di Tolstoj riempiono di gente una cella di isolamento per ben più di tre mesi.
E quando ti fanno uscire dall’isolamento? Per prima cosa ti prendi una coltellata?
Ah, quella resta inspiegabile. Si possono fare delle supposizioni, ma non mi piace fare supposizioni, su di me ne ho sentite troppe. Ho già raccontato come è successo. Eravamo al passeggio, non ero solo, in senso inverso camminava un camorrista, tal Figueras che, arrivato alla mia altezza, mi infila d’improvviso un coltello – una lama lavorata a coltello – nell’addome da sotto in su, come si vede nei film, un colpo per ammazzare. Non so come lo schivo, mi ferisce appena di striscio e la lama finisce sull’inferriata che mi sta dietro, storcendosi. È solo per questo che sono ancora vivo, quello continua a colpirmi all’impazzata, sono caduto, cerco di coprirmi con le mani, mi lacera le mani e un braccio. Poi, forse convinto che con me ha raggiunto lo scopo, cerca di colpire anche Fenzi che si trova dal lato opposto del cortile. Riesce solo a infilzarlo a un fianco prima che un compagno, Agrippino Costa, reagisca e cerchi di bloccarlo. Ma a questo punto le guardie aprono il cancello e sparisce con loro, senza cercar di buttare il coltello, glielo dà.
“L’ordine è venuto da fuori”
Non ho capito chi e perché mi volesse ammazzare, chi gli aveva dato questo ordine. Non la camorra in carcere, con quella non c’erano né contatti né scontri – è sempre stata la regola. La cosa ci colse di sorpresa proprio perché non nasceva dall’interno del carcere. Credo che anche dalla parte dello stato non fosse tutto chiaro, a un certo punto persino alla Digos persero per un momento la testa, mi buttarono su una camionetta e correndo verso l’ospedale uno mi tenne per tutto il tragitto la pistola puntata alla fronte continuando a gridare: «Se succede qualcosa tu sei quello che muore per primo». Ma dopo neanche mezz’ora cambiarono idea e mi riportarono di corsa in carcere. Di là mi spedirono a Pisa per l’operazione chirurgica. Dopo il primo momento sedarono tutto.
Ma che interpretazione avete dato?
Appunto, non riesco a darne una sicura. È certo che l’ordine è venuto da fuori. In quel tempo era in atto il sequestro di Cirillo, e a Napoli gli interessi dei diversi poteri, legali e illegali, si intrecciavano e si sorreggevano a vicenda, spesso si identificavano. Quel tentativo di sbudellarci poteva essere qualcosa di più che un avvertimento: «Voi tenete Cirillo, noi vi ammazziamo Moretti e, per buon peso, anche Fenzi». Ma è un’ipotesi che non posso appoggiare su niente. «Noi» chi era? Resta il fatto che ci provarono e seriamente. Nel volantino di denuncia dicemmo che erano stati i carabinieri, che va sempre bene.
Quella volta hai creduto di morire?
No. Una volta che la manovra era andata buca si sono preoccupati dei buchi che avevano fatto a noi. A Pisa mi hanno curato benissimo.
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