Mario Moretti: così andammo a prenderci le armi dell’Olp in Libano

Sul “Venerdì” del 10 luglio il magistrato Carlo Mastelloni, da tre mesi in pensione, in un’intervista ricostruisce la sua storia. Tra l’altro racconta che il traffico d’armi tra una frazione comunista dell’Olp e le Brigate rosse fu mediato dall’Hyperion. La verità processuale dice altro ma oramai ci siamo abituati ai giudici che, finita l’attività professionale, lasciano spazio alla fantasia.

La stessa testimonianza di Antonio Savasta al giudice Priore, in cui si parla del ruolo di una struttura di coordinamento internazionale con sede a Parigi, porta ad escludere che si tratti della scuola di lingue: “La struttura francese, subito dopo [il sequestro e l’uccisione di] Moro, attraverso un qualche suo rappresentante, aveva espresso a Moretti l’apprezzamento per quanto le BR avevano fatto, e l’invito alle stesse BR a deregionalizzarsi e a porsi espressamente in una prospettiva internazionale”. Francamente non ce lo vediamo Simeoni fare i complimenti a Moretti …
Nel suo libro autobiografico “Brigate rosse. Una storia italiana” Mario Moretti così ricostruisce la vicenda.

(…) Il solo rapporto politico reale che avemmo fu con l’Olp. I compagni palestinesi ci interessavano perché facevano un discorso simile al nostro.

Con quale parte dell’Olp?

L’Olp che ho conosciuto aveva diverse anime. Contattammo una parte di tendenza comunista, che guardava molto all’Europa. Per loro era importante che nei paesi dell’area mediterranea si creasse una forte opposizione, armata se possibile, per indebolire la morsa dell’imperialismo americano in Medio Oriente. Ci dissero: «Non vi chiediamo di fare delle operazioni per noi, è molto più significativo che siate voi a rafforzarvi».
Ma qualcosa per loro faceste, la famosa spedizione del “Papago”?
Escluse operazioni in comune, ci premeva offrirgli almeno una solidarietà. Gli demmo un piccolo appoggio per i documenti falsi, ci mettemmo ovviamente a disposizione per qualsiasi appoggio politico del quale avessero bisogno. L’Italia è un crocevia obbligato per qualsiasi cosa transiti dal Medio Oriente verso il Centronord, ed essi ci chiesero di trovar loro un deposito di armi da tenere come riserva, destinate ai movimenti di resistenza o di liberazione nazionale. In particolare quella volta sarebbero servite all’Ira, che le avrebbe richieste in un secondo tempo. Con l’Ira i contatti furono tenuti dai palestinesi, noi ci limitammo a metterci a disposizione.

E andaste a prendere le armi?

Sì. Via mare. L’Italia sembra proprio un molo sul Mediterraneo. Tanto perché non sembrasse che stavamo facendo un’opera di mera solidarietà – tipo, noi vi teniamo le armi e voi combattete – un piccolo quantitativo di armi era destinato a noi, degli Stern molto vecchi, dei mitra dismessi dalla polizia britannica che però funzionavano perfettamente. Ma si trattava d’uno scambio simbolico, a noi servivano armi piccole, quelle della guerriglia e non avevamo, come vi ho detto, alcuna difficoltà a procurarcele. Quel che ci interessava era il rapporto politico, di fraternità, fare qualcosa per l’Olp.

Quando è stato?

Nell’estate del ’79 e coincise, casualmente, con la necessità di stringere un rapporto con delle formazioni combattenti in Sardegna. La barca la trovò un compagno di Ancona, medico psichiatra in un ospedale, era uno skipper molto esperto nella vela. Con lui ci imbarcammo sul “Papago” Riccardo Dura, genovese, marittimo di mestiere che aveva navigato per mezzo mondo, e che sarebbe stato ucciso in via Fracchia, un compagno di Venezia del quale si supponeva avesse dimestichezza col mare e io, che col mare me la cavo sempre. Pagammo la barca quaranta milioni; poi fu rivenduta, e ci guadagnammo pure, mi sembra. Salpammo da Ancona per Cipro, dove aspettammo l’appuntamento ancorati in un porticciolo stupendo, ma non era una vacanza.

Avevamo un po’ l’aria da fricchettoni, barba incolta, orari e vita spartana. Funzionò. Il giorno convenuto ci incontrammo al largo di Tripoli nel Libano, e trasbordammo da una barca all’altra le armi che erano state preparate in sacchi di iuta. I palestinesi si sorpresero che preferissimo fare il carico in mare, perché in quel momento avevano il controllo di parte della città, ma la nostra barchetta a vela, palesemente inerme – la guardarono con curiosità da una pilotina armata di tutto punto –, una volta riempita aveva tanto di quell’esplosivo a bordo che se ci avesse colpito un solo proiettile il botto si sarebbe sentito per tutto il Libano. Fatto il carico li salutammo col pugno chiuso, e loro risposero alzando in alto i fucili. Il nostro minuscolo sloop tornò in Italia dopo una traversata di 1500 miglia di mare fatte tutte d’un fiato.

Dove avete scaricato?

A Venezia. Entrammo in laguna, aspettando le maree, quasi fino a Mestre. Le armi presero strade diverse, una parte venne distribuita nelle basi di ogni colonna. C’erano dei proiettili anticarro facili da usare, che i ragazzi palestinesi avevano impiegato nel deserto durante la guerra del Kippur. Noi li sperimentammo una sola volta contro la caserma dei carabinieri di via Moscova a Milano. Pochissimi i danni, ma credo che il generale Dalla Chiesa non ce l’abbia mai perdonata.


E le armi per l’Ira?

Le depositammo in Sardegna. Con l’aiuto di Barbagia Rossa, una formazione combattente radicata nel Nuorese e che disponeva di una rete capillare tra i pastori della zona. Come “magazzino” venne scelta una grotta in una desolata pietraia del Sopramonte, introvabile per chiunque tranne che per il pastore che la sorvegliava. Era il posto migliore per un grosso carico di esplosivo, dei missili aria-aria, un bazooka o due che dovevano restar fermi per un pezzo. Lo portammo su per i sentieri con i muli, quei compagni pastori erano in grado di attraversare tutta la Sardegna senza passare mai per una strada.

L’Ira venne poi a prendere le armi?

No, andarono perdute. Dopo il mio arresto quel deposito assolutamente sicuro venne smantellato e le armi vennero portate in città, impropriamente e incomprensibilmente. Le Br non avevano un’aviazione e di un missile aria-aria proprio non sapevano che farsene. Ho intravisto anche dei bazooka nella foto di una base scoperta quando presero alcuni del Partito guerriglia; non avrebbero dovuto esserci, non era materiale nostro. Suppongo che nel casino delle scissioni, nessuno capisse più bene cosa stesse facendo e cosa prendesse e di chi.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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