23 maggio 1974: le Brigate rosse liberano Mario Sossi
Il 20 maggio avviene il fatto che dà una svolta decisiva alla vicenda. La Corte d’Assise d’Appello di Genova, insediatasi con due giudici togati e sei popolari e con la presidenza di Beniamino De Vita, concede d’ufficio la libertà provvisoria agli otto della 22 Ottobre, e il nulla osta per il passaporto, «subordinatamente alla condizione che sia assicurata la incolumità personale e la liberazione del dottor Mario Sossi». Mentre la parola spetta al Governo, si intrecciano commenti e prese di posizione, e al Senato il presidente del Consiglio Rumor dichiara: «Lo Stato non abdica e pertanto non verranno compiuti atti che possano significare inammissibili patteggiamenti con un gruppo di criminali che ha lanciato una sfida diretta all’autorità dello Stato».
La bugia di Coco: eseguirò l’ordinanza
Sebbene contrario al provvedimento – afferma Coco – una volta avverata la condizione in essa contenuta non mi sottrarrò al dovere indeclinabile di eseguire l’ordinanza. Presenterò ricorso, se possibile, contestualmente ai motivi che lo legittimano.
Il 21 viene diffuso dalle BR il comunicato numero sette, nel quale allo scopo di vanificare le difficoltà frapposte dal governo per la concessione del passaporto, viene fissato come luogo di asilo per i detenuti liberati l’ambasciata cubana presso la Santa Sede. Insieme al comunicato viene consegnato un messaggio autografo in cui Sossi assicura di stare bene mettendo così fine a certe voci circa il suo stato di salute:
Avuta notizia dell’avvenuta concessione della libertà provvisoria agli imputati del gruppo 22 Ottobre ed avuta notizia della condizione consistente nella garanzia della mia incolumità attuale, confermo di essere in buona salute. Mario Sossi.
La liberazione dell’ostaggio
Per tutti questi motivi il 23 maggio (cinque giorni prima della strage di piazza della Loggia17 a Brescia) le BR liberano Sossi. Dopo averlo fatto sedere su una panchina in un quartiere periferico di Milano e avergli messo in tasca un biglietto ferroviario per Genova e l’ultimo comunicato da rendere pubblico, lo salutano dicendogli: «Vabbè, arrivederci, metti giudizio!».
La mossa giunge improvvisa e sorprende un po’ tutti. Le forze dell’ordine hanno subìto uno smacco. Sossi è stato liberato come, quando e dove hanno deciso le BR, mentre polizia e carabinieri stavano a guardare. La questura parla di «caso poliziesco anomalo».
Dichiara il questore:
Mancavano canali tradizionali, gli informatori, i “canarini” che cantavano ai tempi della 22 Ottobre. Le BR hanno assunto l’eredità dei GAP genovesi, ma ne hanno enucleato i “soffioni”. Il messaggio che le BR avevano messo in tasca a Sossi verrà da questi affidato al collega pretore Sansa con l’incarico di recapitarlo al «Corriere della Sera».
La strana condotta di Sossi
Durante il suo ritorno a casa Sossi ha un comportamento assai strano. Durante il viaggio Milano-Genova si nasconde a tutti. Solo poco prima dell’arrivo si rivela a un compagno di viaggio e lo prega di accompagnarlo, avendo paura di rimanere solo. Giunto a Genova, anziché telefonare alla famiglia o alla polizia, telefona a un suo amico medico legale e si fa rilasciare un certificato che attesta la sua sanità mentale. Più tardi dichiarerà: «Non ho telefonato a mia moglie perché il mio telefono è controllato. Non volevo arrivare a casa da solo e per giunta preannunciandomi col risultato di far correre polizia e carabinieri».
Per non tornare a casa solo infatti, il giudice si procura la scorta di due amici avvocati, uno dei quali più tardi dirà: «Che forse dovevo servire a parargli una pallottola l’ho pensato più tardi, e mi tremano ancora le gambe». In una conferenza stampa, alla domanda: «Lei ha paura dottor Sossi, lo dice e si vede anche, ma di che ha paura?», così risponde: «Delle BR no». «E allora di chi?» «È una cosa vaga, non posso dire di chi… Forse voi lo capite».
Riferisce inoltre «Panorama» che Sossi
rifiuta la scorta della polizia e esce soltanto se lo accompagnano quattro guardie di finanza che conosce da tempo. Evita di parlare al telefono perché è controllato. Si sposta su un’alfetta blu della Finanza che appena possibile semina le giulie della questura incaricate di pedinarlo.
Una prigionia “pedagogica”
Quando dovrà fugare alcuni sospetti sorti sul suo viaggio Milano-Genova e sullo strano comportamento da lui tenuto, fornirà dei testimoni solo in un secondo tempo, chiedendo interrogatori immediati, quasi temesse che chi era in grado di confermare il suo racconto potesse essere fatto sparire. Le sue prime dichiarazioni sono di rispetto per le BR:
Nessuno mi ha imposto di scrivere messaggi, sono io che ho chiesto di farlo. Non sono mai stato costretto con la violenza a dire cose importanti alle BR. Non ho subito cioè maltrattamenti o torture… Alla fine i rapporti tra me e i due brigatisti erano, se non cordiali, almeno civili.
Pone anche l’accento sul carattere pedagogico della sua detenzione: per dura che sia stata la drammatica esperienza, è pur sempre un’esperienza, aggiungendo che in una cosa erano assolutamente d’accordo lui e le BR: «Che l’indipendenza della magistratura è un’utopia… questo le BR lo sapevano già. Io l’ho capito in quei trentacinque giorni».
Continua lo scontro con Coco
Quanto alla polemica con Taviani, Catalano e Coco, iniziata durante la sua prigionia e alimentata con i suoi messaggi dal carcere, la riprende non solo confermando di averli scritti spontaneamente ma aggiungendo polemicamente che il suo ringraziamento riconoscente non poteva estendersi a coloro che, pur consapevoli dei pericoli, avevano evitato accuratamente di assumere determinate responsabilità. Coco replica tentando di farlo passare per matto: «Il trauma psichico perdura per un tempo variabile anche dopo la liberazione». Ma Sossi, che si rifiuta persino di parlare al telefono col suo antagonista, risponde sprezzante che Coco è più stanco di lui, oltre a essere anziano, e per questo aveva vissuto peggio quel periodo.
Intanto Coco, che pure aveva pubblicamente assicurato di scarcerare gli otto detenuti della 22 Ottobre, dopo la liberazione di Sossi, si adopera per non mantenere la parola data e prende tempo in attesa che la Cassazione annulli l’ordinanza di Genova. Da un lato il giudice istruttore Scolastico emette nuovi e pretestuosi mandati di cattura contro Rossi e Battaglia per «associazione sovversiva», dall’altro Coco dà una interpretazione tutta personale all’ordinanza: «L’ordinanza di scarcerazione è ineseguibile perché non sono state rispettate le modalità dello scambio. Sossi è libero fisicamente ma non spiritualmente».
“La menzogna indebolisce lo Stato”
Il presidente della Corte d’Appello, Riccomagno, in polemica con Coco si congratula «con gli otto galantuomini che hanno emesso l’ordinanza». Alcuni giuristi, confrontando la parola delle BR e quella dello Stato, giungono ad amare conclusioni. È il caso di Conso e dell’ex presidente della Corte costituzionale Giuseppe Branca. Quest’ultimo dichiara che, mancando alla parola data, quello Stato cui si chiede di essere autorevole finisce col perdere ogni credibilità. Lo Stato non deve attaccarsi a cavilli e usare il potere dei propri organi costituzionali per tenere in galera coloro ai quali, attraverso il potere di altri organi altrettanto costituzionali, ha in precedenza garantito la libertà, concludendo con una domanda allarmante. Chi ci garantisce che uno Stato incapace di mantenere oggi la parola data ai delinquenti saprà mantenerla domani ai cittadini onesti?
Con queste ultime lacerazioni all’interno dello Stato e dell’establishment, le BR ottengono il risultato di prolungare l’effetto della loro azione. Giornali, periodici, radio e televisioni fanno a gara a commentare l’onestà delle BR e la disonestà dello Stato. La stella a cinque punte brilla più che mai.
FONTE: Pino Casamassima, Il libro nero delle Brigate Rosse
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