17 ottobre 1961: il massacro degli algerini a Parigi

Quest’anno si celebra il cinquantanovesimo anniversario della strage del 17 ottobre 1961 a Parigi. La guerra in Algeria tirava verso la fine. Il braccio di ferro militare stava tornando a favore dell’esercito francese, ma al livello politico, il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN) algerino stava vincendo battaglia dopo battaglia. Il 17 ottobre, quest’ultimo lancia un appello per manifestare a Parigi, nel cuore dell’impero. La patria dei diritti umani non esita a massacrare i manifestanti inermi. Centinaia i morti. Uno dei tanti crimini contro l’umanità della potenza coloniale, ma questo più imbarazzante di tutti, perché compiuto tra i muri di casa.

Una vittoria militare, una sconfitta politica

Quello che le autorità francesi continuano a chiamare “Les événements d’Algérie”, cioè la guerra d’Algeria, alla fine degli anni cinquanta era al massimo della sua intensità. Il colonnello Massu, nel 1957, ha provato spazzando via l’organizzazione cittadina dei ribelli in meno di un anno, in quella che divenne famosa come la Battaglia di Algeri, che l’FLN poteva essere battuto, almeno militarmente. Ma per ciò ci voleva l’impegno e i mezzi adeguati:sorveglianza e militarizzazione del territorio, infiltrazioni, arresti a tappeto, torture sistematiche e smantellamento delle reti di sostegno. Dopo quella vittoria, l’esercito francese decide di lanciare una larga offensiva per sradicare la parte più importante della ribellione: l’Esercito di Liberazione Nazionale (ALN), nascosto nelle montagne del paese.
Lanciarono delle operazioni micidiali su varie zone del paese. Le operazioni “Challe” Nelle montagne dell’Aures e dell’Ouarsenis, e l’operazione “Jumelle”, in Cabilia, fanno centinaia di migliaia di vittime. L’esercito di Liberazione è allo stremo. I partigiani sono rimasti in pochi, scarsamente equipaggiati, mal nutriti e braccati ovunque. La guerra militare sembra quasi sul punto di essere vinta dall’esercito coloniale. Soltanto che sul piano politico l’FLN, spingendo la Francia a commettere carneficina su carneficina stava stravincendo la partita.
La delegazione del FLN era ricevuta all’ONU e godeva del sostegno di molti paesi del mondo. Lo sciopero generale del 28 gennaio 1957 aveva provato al mondo che i guerrieri avevano un popolo dietro e che non erano soltanto banditi armati come li descriveva la stampa francese. E le manifestazioni del 9 dicembre 1960 ad Algeri e in varie città d’Algeria, mostrano che la popolazione civile è pronta a sfidare la repressione selvaggia per schierarsi a favore dell’indipendenza.
Ma la botta segreta, gli strateghi del Fronte, la vollero dare in terra francese. Nella bocca del lupo, come si diceva allora.

La Federazione di Francia

I lavoratori algerini in Francia erano centinaia di migliaia. Portati a navi piene dopo ogni guerra mondiale per ricostruire il paese. Erano mano d’opera pura. Dovevano lavorare nei posti più duri, più sporchi o più pericolosi e poi andare a nascondersi nei centri d’accoglienza per lavoratori stranieri. La legislazione dell’epoca non prevedeva la presenza di mogli e figli dei lavoratori. E chi decise di farli venire, dovette uscire dai centri di accoglienza e andare a costruirsi una baracca di lamiere e di cartoni in qualche periferia di Parigi.  E’ tra questi lavoratori che nascono, già negli anni 30, i primi movimenti indipendentisti. Per lo più sono operai politicizzati che escono dal PC francese, perché si accorgono che l’internazionalismo dei compagni francesi spesso si ferma in Europa.
 Nel 1957, mentre Massu smantellava la rete di lotta armata cittadina di Algeri, gli attivisti del Fronte organizzavano le reti della Federazione di Francia. Un vero e proprio polmone per l’organizzazione. Le reti di sostegno raccolgono montagne di soldi presso i lavoratori, con una vera e propria rete di Racket (perché anche dalla parte del FLN non sono santi). Assicurano all’esercito di liberazione armamenti e medicine, e ai vertici del FLN spostamenti e soggiorni all’estero. Creano contatti con organizzazioni internazionali e con i paesi del blocco socialista. La Federazione di Francia è in contatto con la crema della cultura francese e porta la sinistra francese, poco a poco, prima quella extraparlamentare, poi anche alcuni pezzi grossi del PC, a schierarsi dalla loro parte.
Ma tutto ciò non basta. Il Fronte aveva bisogno di portare il conflitto in terra di Francia. Per far vedere al popolo francese e al mondo, su quale letto di violenza e di ipocrisia riposava la grandeur della Repubblica Francese. Lo scontro non tardò ad aver luogo. Duro e crudele come sanno essere le guerre urbane. Terrorismo, attentati, bombe, uccisioni, repressione, arbitrario, tortura, esecuzioni sommarie, paura, odio, caccia all’uomo, linciaggi…
I servizi francesi arrivano perfino a creare una finta organizzazione terroristica, “La main rouge”, per liquidare fisicamente i sostenitori francesi del Fronte di Liberazione.

Il giorno della mattanza

È in questo clima esplosivo che è lanciato l’appello per la manifestazione del 17 ottobre 1961. Qualche settimane prima il prefetto di Parigi, Maurice Papon, decreta il “coprifuoco etnico”: vietato agli algerini di uscire di casa dalle 20.00 alle 5.00. Giusto il tempo di andare a lavorare e tornare a casa. La vita già dura dei lavoratori magrebini in genere e algerini in particolare diventa un vero inferno, un carcere duro per una popolazione intera.
Il Fronte chiama gli algerini, uomini, donne e bambini a uscire tutti quanti, in massa, dopo le 20.30 e a raggiungere le principali piazze e vie di Parigi. L’organizzazione è perfetta. Nessun manifesto affisso, nessun foglio distribuito. Soltanto passaparola. Le consegne erano poche, chiare e precise: uscire di casa, in famiglia, ben vestiti, non portare in tasca o in borsa niente che possa essere considerato arma (coltello, cacciavite…), violare collettivamente il coprifuoco e recarsi nelle piazze e corsi principali della capitale per scandire slogan contro le discriminazioni e a favore dell’indipendenza.
L’organizzazione era talmente efficace che quando il prefetto Maurice Papon fu avvertito del fatto era già il pomeriggio del 17 ottobre. Il telegramma inviato dalla prefettura a tutti i commissariati della capitale arriva alle 16.30. Quando si mobilitano le forze dell’ordine, i primi manifestanti erano già sui mezzi di trasporto che li portavano dalle lontane periferie verso il centro città.
Ma la repressione sarà selvaggia. Papon, dopo consultazione con l’allora ministro degli interni, Roger Frey, dà carta bianca alle truppe per impedire l’arrivo dei manifestanti ai luoghi di raduno con qualsiasi mezzo. Decine di migliaia di persone vengono fermate, sequestrate dentro i mezzi di trasporto, rinchiuse nelle stazioni della metropolitana, negli stadi… è una vera mattanza. Pestaggi, spari a bruciapelo, centinaia di persone, vive o morte, sono buttate nella Senna.

Schiavitù, diseguaglianza, ferocia

Il bilancio è pesantissimo. Si parla di almeno 200 morti certi e migliaia di feriti. Una vera e propria guerra contro civili disarmati. Un massacro degno di quelli che la potenza coloniale era abituata a compiere lontano da casa, nelle colonie. Ma questa volta il cittadino parigino, anche se fa finta di non aver visto, non poteva più veramente ignorare la realtà. I cadaveri che galleggiavano sulla Senna a decine, parlavano da soli. Chi voleva, poteva vedere chiaramente che sull’altra faccia delle monete francesi c’era scritto con il sangue delle colonie: “Esclavage – Inégalité – férocité”.
Ancora oggi, la Francia non ha riconosciuto il massacro del 17 ottobre 1961. Così come non riconosce nessuno dei crimini contro l’umanità commessi in due secoli di colonialismo.
Maurice Papon, diventato in seguito anche ministro, fu arrestato e processato nel 1998 per concorso in crimine contro l’umanità, per aver partecipato, in quanto segretario di prefettura, alla deportazione di migliaia di ebrei verso i campi di sterminio, durante la seconda guerra mondiale. Ma mentre veniva processato per un crimine in cui ha collaborato come semplice esecutore, le associazioni franco-algerine che rivendicano giustizia per le vittime della violenza coloniale non sono riuscite ad introdurre tra i capi d’accusa i crimini che Papon aveva ordinato e diretto personalmente (con l’avallo del ministro e di Charles De Gaulle, ovviamente).
Ufficialmente, il male è e resta solo nazifascismo. I crimini coloniali non sono all’ordine del giorno nella giustizia francese e nemmeno in quella europea.
FONTE: AGORA’ VOX

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.