Maurizio Pedrazzini, la lunga storia di un “bandito rosso”
Maurizio Pedrazzini 22 anni, milanese, militante di Lotta continua, è arrestato il 22 marzo 1972: con una pistola aveva sparato sul pianerottolo di Franco Servello, allora commissario straordinario della federazione missina di Milano.
“In quei giorni – scriverà Leonardo Marino – era andata buca la prima operazione di giustizia rivoluzionaria della nostra organizzazione: l’assassinio dell’on. missino Franco Servello, capo dei fascisti milanesi. Il compagno Maurizio Pedrazzini, che avrebbe dovuto giustiziarlo, si era fatto beccare con l’arma in mano sul pianerottolo dell’abitazione di Servello. Pedrazzini si era appostato al piano di sopra, in attesa che Servello uscisse di casa e chiamasse l’ascensore. Avrebbe dovuto piombargli alle spalle e sparargli mentre l’on. missino entrava in cabina. Ma il nervosismo lo aveva tradito e, mentre aspettava, gli era partito un colpo che aveva fatto uscire tutta la gente dalle loro abitazioni. Pedrazzini, subito catturato, disse che voleva soltanto minacciarlo con la pistola per impedirgli di andare a tenere un comizio.
Quella calibro 38 era stata rubata a Torino, all’ armeria Caccia e pesca di via Statuto, insieme ad altre 30 pistole, tra queste la Smith e Wesson del delitto Calabresi, sempre a prestar fede a Marino. Pedrazzini è sospettato anche per l’ irruzione all’ armeria di via Hoepli, a Milano, che viene svaligiata all’ inizio del 1972.
L’assoluzione al processo Calabresi
Al processo Calabresi la Corte terrà in scarso conto le confessioni di Marino sulle rapine da lui compiute per la struttura clandestina di Lotta continua. Rapina di Saluggia, 25 marzo 1971: è uno degli episodi che hanno indotto a credere a Marino. Una perizia grafica ordinata dalla Corte d’ Assise ha confermato: la firma sul modulo di noleggio della Fiat 128 usata per il colpo era proprio di Marino. Ma Carlo Mottura, che secondo il pentito gli aveva dato un passaggio in moto nella fuga, è stato assolto per non aver commesso il fatto.
Rapina al Nuovo Pignone di Massa: 19 agosto 1971. Marino ha specificato che tipo di auto venne usata, dove e come venne rubata, e che particolare modello di autoradio si portò via. Le motivazioni dovranno però chiarire perché due di quelli accusati come complici sono stati assolti con formula piena: Maurizio Pedrazzini e lo stesso Ovidio Bompressi, che avrebbe poi consegnato il denaro a Giorgio Pietrostefani.
Rapina all’ Einaudi di Torino: 28 agosto 1972. Marino ha detto che gli occhiali persi da un complice erano di Maurizio Pedrazzini. Ma Daniele Gracis, che avrebbe passato a Marino la borsa con armi e denaro, è stato assolto con formula piena. Armi. Marino ha detto che la pistola che uccise Calabresi veniva dalla rapina all’ armeria Leone di Torino. L’ arma non è mai stata ritrovata: secondo le perizie dovrebbe esser stata una Smith&Wesson 38 Special, come sostiene Marino. Nell’ elenco delle armi rubate c’ erano anche delle Smith&Wesson, e c’ erano due pistole sequestrate un mese prima dell’ omicidio a Roma e a Milano ad appartenenti a Lotta continua.
L’arresto al posto di Segio
Il 16 aprile 1981 Pedro è preso di nuovo ai tavoli di un bar di corso Buenos Aires mentre andava a un incontro con un ricettatore al posto di Sergio Segio, con cui collaborava come rapinatore specializzato in oreficerie. Il 28 giugno successivo un Nucleo Comunista, l’organizzazione fondata da Segio dopo la dissoluzione di Prima Linea, aveva rivendicato il ferimento di Sergio Albertario, il ricettatore che aveva fatto il confidente causando l’ arresto di Pedrazzini. La storia la racconta Armando Spataro e considera quella cattura un errore che ha regalato quasi due anni di libertà a uno dei capi della lotta armata.
Arriviamo così al 1988. Secondo Leonardo Marino Pedrazzini avrebbe fatto parte del servizio d’ ordine clandestino di Lc. Sarebbe poi stato inviato da Pietrostefani a Roma con il compito, mai portato a termine, di fondare una colonna militare. Per questo il giudice Lombardi aveva firmato un mandato di accompagnamento per il 29 luglio 1988. Il giorno dopo l’arresto di Sofri, Pietrostefani e Bompressi. Ma Pedro si era sottratto.
L’ultima rapina in Austria
Ancora una volta Pedro sparisce per una decina di anni. Riappare a Innsbruck. Il 30 ottobre 1998 assalta con quattro complici una banca: all’ uscita il gruppo trova gli agenti e non esita ad aprire il fuoco, vengono feriti due impiegati, un passante viene preso in ostaggio. “In trent’ anni di lavoro non ho mai visto una rapina compiuta con tanta ferocia“, dichiara ai giornali il capo della polizia. “Pedro” viene ferito, riesce a scappare, ma non ce la fa. Il suo cadavere lo trovano a pochi chilometri dalla città, abbandonato dai complici. Sono due giovani mantovani, Daniele Beschi, 28 anni e la convivente, Ilenia Bertasi, 27 anni, senza precedenti. Lei fungeva da autista della banda. I due sono arrestati sull’Autobrennero mentre stavano cercando di raggiungere la frontiera. Anche un altro rapinatore finisce in carcere. Si tratta del bergamasco Massimo Ferrario.
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