6.3.42, Torino: nasce Mauro Rostagno, gigante sulle spalle di tanti nani

Mauro Rostagno

Quando è stato ucciso, il 26 settembre 1988, aveva quarantasei anni e molte vite alle spalle. L’ultima, la più intensa, Mauro Rostagno la vive a Trapani. Nel capoluogo siciliano Rostagno arriva dopo un percorso travagliato. Figlio di una famiglia proletaria di Torino, quando arriva a 26 anni alla facoltà di Sociologia a Trento è già bello grande: ha avuto esperienze militanti nel Psiup, ha girato l’Europa da emigrante.

Gli anni di Trento

Nella leadership del Movimento e nell’esperienza dell’Università negativa nascerà un solido legame di amicizia con Renato Curcio che reggerà alle diversissime scelte di vita. Fondatore di Lotta Continua con Adriano Sofri, animatore del famoso centro culturale milanese,  Macondo, punto di ritrovo di molti delusi dalla politica. Poi la scoperta delle filosofie orientali, il viaggio in India con la compagna, Chicca Roveri, la figlia Maddalena e l’amico Francesco  Cardella.

Infine l’ultimo approdo in Sicilia, a Lenzi, in provincia di Trapani, per dar vita a una comunità di arancioni, la Saman, che trasforma in una comunità per il recupero dei tossicodipendenti. E’ il ritorno a una terra che ha molto amato: nel 1972, nominato assistente di sociologia all’Università di Palermo, è diventato responsabile regionale di Lotta Continua. Tra le sue azioni più clamorose l’occupazione della cattedrale di Palermo da parte dei senzatetto.

L’impegno antimafia

Ma l’impegno di Rostagno non si arresta: gli basta partecipare a una trasmissione di una piccola televisione locale, RTC, per capire la forza di questo mezzo. E così si reinventa  giornalista, la sua passione di sempre, e dagli schermi di RTC inizia a denunciare le collusioni tra la mafia e la politica locale. La sua trasmissione segue, per esempio, tutte le udienze del processo per l’omicidio del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari, nel quale erano imputati i boss mafiosi Nitto Santapaola e Mariano Agate.
E’ dentro il suo impegno giornalistico che va trovato il movente del suo omicidio, deciso dal vertice trapanese di Cosa Nostra. Su quel giorno pubblichiamo la testimonianza di Maddalena, la figlia

La testimonianza di Maddalena

Ero in camera di Chicca, sdraiata sul letto. La stavo aspettando per farmi aiutare in matematica. Ho sentito degli spari in due scariche, ma non ci ho fatto caso. Ci ho pensato dopo. In campagna ogni rumore, anche quello degli spari, sembra naturale. Poteva essere un cacciatore che voleva allontanare i cani, a volte succede. All’improvviso il portone del Gabbiano, la parte più antica del baglio, si è spalancato. Ho sentito qualcuno che gridava «Chicca, Chicca». Non ricordo chi fosse. Mi sono affacciata per dire che mia madre era in ufficio. Poi sono uscita, qualcuno è venuto a prendermi e mi ha presa per mano. «Mauro ha avuto un incidente» mi hanno detto. «Portatemi da loro, da Mauro e Chicca» ho detto. Andrea, un ragazzo della comunità, ha detto «Non ti muovere» e mi ha tirato una sberla. Poi ho sentito l’ambulanza, vicino, molto vicino, e poi anche le urla di Chicca.

Vi ho raggiunti in strada, nel buio. Chicca è venuta verso di me, dietro di lei alcuni carabinieri. Ci siamo abbracciate. Mi ha accarezzato e mi sono accorta che aveva le mani sporche di sangue. Né io né lei ricordiamo bene cosa ci siamo dette, come me l’ha detto. Di sicuro mi ha chiesto se volevo vederti, io le ho risposto di no. Poi i carabinieri l’hanno portata subito in caserma, a Napola. Mi sono seduta a terra sul vigneto davanti all’ufficio e dopo poco ho deciso che volevo raggiungerla a piedi. Mi hanno accompagnato due ragazzi della comunità, fuori c’era un po’ di gente, alcuni in divisa e altri no, mi sembra che qualcuno tenesse un faretto in mano per fare luce. Non mi sono girata verso la macchina, ho continuato a guardare dritto, nel buio. Per strada abbiamo incontrato Paolo, un muratore che era spesso in comunità per fare lavori. Ci ha dato un passaggio.

Arrivata in caserma, mi hanno indicato una stanza in fondo al corridoio. C’erano Chicca e Monica, sedute su una panchina, guardavano la televisione e mi davano le spalle. È solo in quel momento che ho realizzato. Il conduttore del tg parlava e sullo schermo andavano in onda le tue foto. Solo in quel momento ho realizzato. Ti avevano sparato. LEGGI TUTTO

Per approfondire

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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