7 giugno 1979: per l’inchiesta 7 aprile arrestati i redattori di Metropoli
Ai primi di giugno, dopo il sequestro della rivista nelle edicole di tutta Italia il processo, 7 aprile si estende ai redattori della rivista romana “Metropoli”, su cui scrivevano anche Scalzone e Piperno. Il 7 giugno 1979 sono arrestati Libero Maesano, Lucio Castellano e Paolo Virno mentre si sottrae alla cattura Lanfranco Pace, già responsabile di Potere Operaio romano. L’unico che per una brevissima stagione ha attraversato l’esperienza rganizzativa delle Brigate rosse, per sottrarsene inorridito: alzarsi presto tutte le mattine in ossequio allo stile di vita e di lavoro proletario decisamente non fa per lui.
“Anche loro – scrive nel suo Blog “Polvere da sparo” Baruda, nel trentennale del 7 aprile – apparterrebbero in blocco all’organizzazione eversiva “costituita in più bande armate variamente denominate”, per il semplice motivo di… aver scritto su “Metropoli”. Pleonasmi a non finire. Davvero curiosa questa “guerra civile” combattuta a colpi di saggi, editoriali, recensioni… e anche fumetti: su “Metropoli” è comparsa una drammatizzazione a fumetti del caso Moro. Secondo gli inquirenti, alcune vignette contengono l’esatta riproduzione della “prigione del popolo” in cui era rinchiuso Moro. Poi si verrà a sapere che l’autore si è ispirato a un fotoromanzo di “Grand Hotel”.
La dichiarazione di Lucio Castellano in sede di interrogatorio, il 12 giugno 1979, rende perfettamente il delirio giudiziario dell’operazione 7 aprile:
Dr. Gallucci, la sola grande forza della sua istruttoria sta nel fatto che chiunque preferirà darle una qualche credibilità piuttosto che ammettere che è possibile oggi in questo paese istruire un processo del tipo che Lei sta costruendo. E non è semplice per nessuno convincersi delle ragioni che spingono un alto Magistrato della Repubblica, con abbondanza di organizzazioni che firmano le loro iniziative, distribuiscono i loro fogli di propaganda ed ampiamente si fanno carico della rete esistente di azioni armate, a concentrare la sua attenzione sull’unica organizzazione di cui nessuno sa nulla, che non esiste e non è mai esistita. Due sono le grandi differenze che corrono tra le organizzazioni esistenti e questa inesistente della cui costituzione ci imputa. La prima, che non pare averla colpita eccessivamente, è che, appunto, le une esistono e le altre no. La seconda, che al contrario l’ha affascinata da subito e convinto alla caccia, è che i partecipanti alle prime in buona parte non li conosce o non sa dove trovarli, mentre quelli che farebbero capo alla seconda sono, per cosi dire, “a disposizione”, dormono nelle loro case e, quando non possono evitarlo, lavorano. Io mi sono sentito molto sciocco, come comunista, quando sono stato arrestato sotto la sede del giornale. Ho pensato che avrei dovuto prevederlo e stare più attento. Poi ho letto il mandato di cattura ed ho capito che Lei non è prevedibile, Dr. Gallucci, perché si muove in un tempo ed in uno spazio che non sono i nostri. Io adesso sto dentro e Lei sta fuori, ma non è questo il punto: se mi fossi aspettato il suo attacco, se fossi stato capace di comprenderla, sarei riuscito a scappare. Ma sono felice di abitare in un paese dove le cose che Lei fa sono inconcepibili; sono felice di avere un’idea dell’Italia e dei rapporti di forza che vi vigono che mi impedisce di comprenderla, e di essere “preparato”. Una sola ragione Le riconosco, quella della forza, ed una sola forza, quella di avere le chiavi del posto dove sono rinchiuso: non è poco, ma nemmeno molto. Lei mi imputa, insieme a Lanfranco Pace e Paolo Virno, di avere costituito una “associazione eversiva”, dal nome sconosciuto “costituita in più bande armate variamente denominate”, destinata a “centralizzare” il “movimento” per una serie di scopi terribili che Lei puntigliosamente enumera.
Gli indizi da cui desume tutta questa roba sono:
1) dichiarazione agli atti e indagini di polizia, che vertono essenzialmente su P.O. e poco aggiungono alle successive fonti di indizio;
2) il fatto che io, Virno e Pace avremmo fatto parte del “direttivo centrale di P. O., prima associazione diretta a sovvertire violentemente gli ordinamenti costituiti”;
3) il fatto che Pace era il più influente di noi e poteva addirittura frequentare convegni nazionali;
4) il fatto che abbiamo collaborato alle riviste Pre-print e Metropoli.
Per quanto riguarda P.O. stendiamo un velo pietoso: o Lei si decide senza infingimenti a processare e condannare questa esperienza per tutte le ragioni che enumera e altre che vorrà trovare, oppure la mia partecipazione, nota e rivendicata, ad esso è indizio di nulla. Veniamo al fatto ghiotto: in merito al punto 4) Lei trae indizi da 3 ordini di motivi:
a) perché alla redazione di Pre-print e Metropoli avrebbero partecipato Valerio Morucci ed Adriana Faranda, e perché ad essi avrebbe portato aiuto Piperno;
b) per il contenuto in generale delle riviste;
c) per il contenuto in particolare dell’articolo “Prima pagano, meglio è” di Franco Piperno, e per aver pubblicato il volantino BR su Piazza Nicosia.
Riguardo al primo problema, c’è da dire che Valerio Morucci ed Adriana Faranda non hanno in alcun modo partecipato alla redazione di Pre-print e Metropoli, né hanno ad essa collaborato; né vi è peraltro alcunché nella rivista che ad una loro collaborazione rimandi o che questa faccia supporre. E questo per nessun’altra ragione che il fatto che questa eventualità non fu mai prospettata. I giornali hanno riportato che la Conforto avrebbe detto che Piperno li avrebbe presentati a lei nella veste di redattori. Se Piperno li abbia presentati o meno, non è cosa che riguardi la mia responsabilità; che partecipassero alla redazione non è vero, è cosa che non può trovare alcun riscontro obiettivo.
[A domanda del P.M. se conosca la Conforto Giuliana]: l’ho vista un paio di anni orsono in un piano-bar che si chiama Plinio in Via dell’Oca; c’erano anche altre persone e la donna mi fu presentata dal Piperno. Proseguendo poi nelle mie dichiarazioni, aggiungo: del contenuto del giornale ho serie resistenze a parlare con Lei. So perfettamente che i reati di cui ci imputa sono di carattere organizzativo e non ideologico. Ma il fatto che Lei tragga i suoi indizi di complotto da una pubblicazione tirata in 50.000 copie, destinata cioè ad un pubblico né militante né “complottardo”, piuttosto che da un qualche “bollettino interno”, tirato al ciclostile, rende sospettoso anche me, che sono d’animo fiducioso. Peraltro, la disinvoltura con la quale Lei ed il Suo collega Calogero hanno accomunato le posizioni ideologiche di Negri, Scalzone e Piperno, già variegate tra di loro, a quelle delle BR, mi esime dall’insistere sulla natura non programmatica, di dibattito e approfondimento tematico delle riviste in questione, e sul fatto che in esse trova spazio un arco largo di orientamenti politici.
Resta un punto, ed è che in nessun modo il loro contenuto come il loro linguaggio, in generale come in ogni singolo articolo, rimandano a rapporti organizzativi di qualsiasi forma con alcuna delle esperienze organizzative che sul terreno della lotta armata si contendono la egemonia sul movimento, né tali rapporti suppongono e/o contemplano. Di ciò i testimoni sarebbero più numerosi se un Suo collega, a me ignoto, non avesse tempestivamente provveduto a sequestrare Metropoli.
Lei trae indizi contro di me dal fatto che abbiamo pubblicato il comunicato BR di Piazza Nicosia. Sostiene che lo avremmo fatto per rispondere alla necessità “di una rapida diffusione di notizie utili al movimento rivoluzionario”. In generale, che un mensile si ponga il problema della rapida diffusione delle notizie è cosa ridicola. Nel caso particolare, Piazza Nicosia era passata da oltre un mese. Noi ne volevamo parlare come di una tappa, di indubbia rilevanza, della strategia BR. Abbiamo riportato il volantino perché non ci siamo sentiti di riportare la nostra opinione sottraendo al giudizio del pubblico quella dei maggiori protagonisti, come unanimemente ha fatto, con l’eccezione di Vita-Sera, la grande stampa. L’unica “rapida diffusione” è avvenuta tramite Vita-Sera: è un indizio contro i redattori di quel giornale? Le ragioni di chi ha costruito un “fatto” ne fanno parte, e sono importanti per la sua comprensione; sottrarle al giudizio è meschineria, giornalismo di regime. Se la stampa si fosse comportata secondo le sue norme abituali, dottor Gallucci, Lei oggi avrebbe un indizio di meno.
Ci ostiniamo a ritenere che questa nostra scelta sia legittima, in questo Paese, nonostante Lei. Lei infine trae indizi contro di me dal fatto che nell’articolo “Prima pagano, meglio è” sarebbero “elencati nomi di persone da eliminare”, e dal fatto che alcuni di questi nomi sarebbero anche stati trovati a casa di Morucci, a ulteriore riprova dei rapporti associativi esistenti. Il punto è che l’articolo di Piperno si rivolge non al movimento di lotta e alle organizzazioni guerrigliere, ma alle istituzioni di questa Repubblica e sostiene che i responsabili dell’inchiesta del 7 aprile devono pagare, in termini politici e giudiziari, perché responsabili di un abuso grave che non può restare impunito. Devono pagare perché, sono portatori di una cultura militarista capace di radicamento ed estensione, perché hanno un senso dello Stato che si addice più ad un Amin Dada che ha dimostrato che deve fare i conti con una società articolata e ricca, attraversata da un profondo movimento di rinnovamento.
Devono pagare perché stanno cercando ottusamente di chiudere ogni possibile mediazione tra le istituzioni e “il nuovo” che potentemente è emerso nella società, tutti assorti nel loro belluino ed impotente grido di guerra “spezzeremo le reni alla Grecia.” Considerare la storia politica di questi anni alla stregua di un complotto non è una svista giudiziaria, è il punto di vista politico di chi vuole affrontare “manu militari” il sommovimento profondo che ha modificato gli equilibri del paese. Un sommovimento che non è fatto, poveramente, dell’emergere di aspettative e domande che non trovano risposta, ma che è modifica dei rapporti di forza e della distribuzione del potere tra strati e ruoli sociali. Di fronte ad esso il sistema dei partiti è stato cieco e sordo: le alternative oggi sono la riapertura del sistema politico o uno scontro feroce che non ammette soluzioni.
L’articolo era per la prima soluzione. Per questo articolo il giornale è stato sequestrato. Da questo articolo Lei trae indizi contro di me. Quanto a me posso solo sottoscriverlo. Per concludere, Dr. Gallucci, Lei mi accusa di far parte di una associazione segreta che ha per scopo la presa del potere e per strumento il terrorismo. I suoi indizi sono fragili, forte è solo la protervia con cui li maneggia. Ma c’è un problema più a fondo. Solo un democristiano può pensare seriamente che un complotto serva per conquistare il potere, e solo una cultura militarista, come è la Sua, non la mia, può ritenere il terrorismo strumento per una modificazione sociale. Per me esso è piuttosto la spia di una modificazione già avvenuta dentro lo statuto di potere di una società e la misura della resistenza che impone al sistema istituzionale a prenderne atto. Misura l’indebolimento dei ruoli di potere istituzionalmente definiti ed il crescerne di nuovi dentro un allargamento complessivo delle forme della cooperazione e comunicazione sociali cui le istituzioni non sanno tener dietro e che inchiodano nella forma della guerra.
Questo processo di profondo mutamento, di cui il terrorismo non è certo la manifestazione centrale, e che attraversa la nostra società in tutte le sue articolazioni, ha turbato in vari modi la Sua vita: soprattutto, ha reso il potere di cui dispone più leggero di quanto pensasse perchè si è scontrato con cose che Le sono apparse misteriose. Ha deciso che bisognava “mettere ordine”. S’è accorto che non bastava un processo ed ha costruito una grande operazione culturale sorretta dalla forza delle armi: come un colonizzatore che deve imporre la sua lingua. Perchè questo è il senso della sua operazione. Perchè non ha spiccato contro di me un mandato semplice e plausibile con su scritto che qualcuno le aveva detto che stavo da qualche parte, che avevo certi contatti, che avevo fatto delle cose? Perché ha avuto bisogno di andarsi a cercare una organizzazione nuova e segreta che “centralizzasse” tutto? Il fatto è che solo marginalmente Lei è interessato al fatto se io sia un terrorista o meno. Ciò che le preme soprattutto è ridurre il movimento di questi anni, nelle sue diverse forme di espressione, a qualcosa che Lei possa comprendere con il suo linguaggio, cioè ad un complotto.
E’ per questo che ci deve essere un “cervello centrale”, un “governo ombra”. Non solo; perché Lei possa “comprenderlo” a pieno, perché sia credibile ai suoi occhi, questo “governo” deve essersi formato nelle università, ruotare attorno ad alcuni docenti, essere una “classe dirigente” nel senso che Lei intende. Di più ancora: perché davvero questi “dirigenti” possano far parte, anche se della banda dei cattivi, della grande famiglia dei “potenti della terra”, deve essere gente doppia, che dice una cosa e ne fa un’altra, devono in qualche modo essere caratterialmente, oltre che socialmente, simili ai suoi amici. Comprendere il terrorismo per Lei vuol dire costruirne un’immagine che sia il più possibile simile al mondo che conosce, fare una serie di potentati e correnti unite gerarchicamente e dirette dai “professori”. Io so che in questo allargamento che c’è stato degli spazi di potere un gran numero di persone si agita in modo disordinato, senza chiarezza d’idee e senza scopi unanimi, facendo le cose più diverse e, ogni tanto, la guerra, rimescolando ruoli e gerarchie consolidate, rischiando e pagando di persona nella libertà nuova che si sono conquistati. Lei è convinto che il mondo sia fatto di padroni e servitori, e che quest’ultimi raramente possano fare danni di rilievo: è convinto che la questione del potere stia sempre nei termini shakespeariani della guerra tra consanguinei. Queste cose di cui mi imputa fanno parte della Sua cultura, non della mia. Nego di aver costituito l’organizzazione di cui Lei parla non per paura di Lei, Dr. Gallucci ma perchè avrei paura di quella organizzazione. L’immagine che cerca di imporre di noi mi è odiosa. Non ci sbatte in galera come sovversivi o terroristi, ma “come dirigenti” di sovversivi e terroristi, con lo stesso ammiccamento complice e severo con cui accompagnerebbe Suo figlio in collegio. Non faccio parte della Sua famiglia.
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