13.9.80/2: la morte di Giuseppucci. Non pagò debito di cavalli
La morte di Giuseppucci, il boss della banda della Magliana nella ricostruzione di Pino Nicotri in Cronaca Criminale
Il fuoco del malumore dei Proietti per l’uccisione di Nicolini cova sotto la cenere, ma aumenta di temperatura perché mal sopportano che Giuseppucci, erede di fatto dello scomparso, metta su arie da padreterno e li tratti con malcelata sufficienza. Finché un paio d’anni dopo l’uccisione del «Criminale» «er Negro» scommette con loro su un cavallo e perde 30 milioni di lire. Era verso fine agosto 1980. Giuseppucci tarda a pagare il debito. Forse era in difficoltà perché uscito da poco dal carcere.
L’arresto per la rapina dei Nar
A gennaio era finito in galera per il possesso di traveller’s cheque parte di una rapina ultramiliardaria alla Chase Manhattan Bank di Roma compiuta da personaggi ambigui, neofascisti (…). Perché «er Negro» avesse quegli assegni non è mai stato appurato: forse per uno scambio di favori con i «camerati», che gli stavano simpatici perché «fascio» fin da piccolo pure lui e che utilizzava per avvertimenti, rappresaglie, vendette e regolamenti di conti in genere.
Giuseppucci, che nel frattempo s’era sposato la sua Patrizia, tarda a pagare e i Proietti insistono per il saldo. «Nun me rompete li cojoni, che ‘ste du lire ve le do appena m’entrano in cassa», ripete loro più d’una volta. Una sera dei primi di settembre «er Negro» se ne sta a giocare a carte al bar Fermi, nella via omonima della Magliana Nuova, sull’altro lato del Tevere rispetto via Chiabrera.
Lo sfregio ai “pesciaroli”
A un certo punto arriva Fernando Proietti, detto «Nando er Pugile». Per un periodo s’era cimentato con i guantoni. «Ahò, bello, bada che semo stufi, ‘sti’ quattrini ce li devi dà!» scandisce Fernando in faccia a «er Negro» e ai suoi compagni di gioco. La risposta è più sferzante del solito.
«Mamma mia, che paura che me fanno ‘sti pesciaroli! So qua che me caco addosso. Senti, ‘a Nando, i quattrini t’ho già detto e ripetuto che ve li do, ma intanto vedi de nun rompe e vattene affanculo».
Un solo colpo, col silenziatore
La sera di sabato 13 settembre Giuseppucci sta giocando a biliardo al bar Castelletti di piazza S. Cosimato, a Trastevere. Assieme al fratello più giovane di sette anni, Augusto, che fa ancora il fornaio. Il primo ha parcheggiato nei pressi del bar la Renault 5 della moglie, Patrizia. Il secondo la propria Bmw. C’è anche Giorgio Paradisi.
Un’occhiata all’orologio. Sono già quasi le 8 di sera. «Oh, mo’ ve saluto. Io devo annà a lavora’. Vado a vede come butta coi cavalli». Dopodiché Giuseppucci si avvia alla Renault. Apre la portiera, si siede. Gira la chiave per la messa in moto senza accorgersi del giovane piuttosto magro che arriva da sinistra con una strana capigliatura bionda. Capelli troppo lunghi per non essere di una parrucca. Senza fiatare, il giovane spara un colpo con il silenziatore.
Giuseppucci prima ancora di accorgersi che il vetro della portiera va in pezzi sente una fitta lancinante al polmone sinistro. Come un soffio che se ne va, non torna più e continua ad andarsene. Uscito di casa senza pistola, «er Negro» ha la prontezza di spirito di fare retromarcia e partire a razzo. Inseguito da una Honda 500, blocca l’auto davanti al vicino ospedale Regina Margherita. Schizza dentro, fino al pronto soccorso. Inseguito dalla Bmw di Augusto con al volante Paradisi, lo sparatore tira dritto. «A quel figlio di puttana er servizietto glielo famo come Dio comanda la prossima volta!» sibila al complice alla guida della moto.
Un intervento inutile
Ma non ci sarà bisogno di una prossima volta. Ai registri del Regina Margherita lo sconosciuto arrivato con il polmone sinistro bucato da una pallottola di grosso calibro e senza documenti risulta entrato in sala operatoria alle ore 20,05. E deceduto alle ore 20,35. Il chirurgo non ce l’ha fatta a salvarlo.
Franco Giuseppucci muore a 33 anni. Lascia un orfano di due anni e una vedova di 21. E lascia privi della sua guida autorevole e intelligente un gruppone di malavitosi dall’avidità smisurata e dalla pistola fin troppo facile. Un equipaggio che si darà a lotte intestine. Fino a sbranarsi l’un l’altro e affondare l’intera nave nel mare in tempesta.
Che si tratti del «noto pregiudicato Giuseppucci Franco» la polizia lo appura non appena arriva all’ospedale chiamata dal personale. In questura non perdono tempo. Sapendo bene che specie il sabato il neodefunto «lavorava» a Tor di Valle ordinano agli uomini in servizio all’ippodromo di tenere bene gli occhi aperti. E così che il brigadiere Emilio Verrillo e altri due poliziotti in borghese notano Proietti «er Pugile».
Movimenti sospetti a Tor di Valle
Verso le 11 di sera con aria circospetta pare stia cercando qualcuno nel gruppetto della «paranza», cioè tra gli allibratori clandestini e annessi strozzini, ma gira e rigira quel qualcuno non riesce a trovarlo. Si guarda attorno e tasta ogni tanto il giubbotto all’altezza della cintura, come per assicurarsi che ci sia ancora infilato qualcosa. «Sta cercando Mimmo il Biondo, e co’ ‘na faccia che nun me piace», sussurra al brigadiere un confidente ignaro di quanto successo un paio d’ore prima a Trastevere.
Il sesto senso suggerisce ai tre poliziotti di marcare stretto Proietti, che se ne va alla chetichella passando per il varco riservato ai fantini, già atteso da un’Alfa Romeo Giulietta con il motore acceso. A bordo c’è Maurizio detto «er Pescetto» perché il più piccolo dei pesciaroli. Il sesto senso suggerisce anche di intimare l’alt ai due Proietti spalancando di colpo le portiere e di saltargli addosso prima che facciano in tempo a estrarre le pistole. Già con il colpo in canna, i due vengono immobilizzati prima di poterle usare.
La testimonianza della vedova
Era da un paio d’ore che la signora Patrizia, avvertita per telefono di andare al Regina Margherita per un incidente capitato al marito, si trovava in questura con Augusto, interrogati entrambi come testimoni. La vedova mette a verbale che il marito lo vedeva ormai sempre meno e che da tempo litigavano spesso perché lui rincasava sempre tardi.
L’ultima litigata era avvenuta martedì, e lui era uscito sbattendo la porta per rincasare solo venerdì all’ora di cena. Sabato, cioè il giorno della morte, era uscito di casa al mattino dicendo che l’avrebbe portata a cena fuori. Per quanto ne sapeva lei, Franco lavorava al forno del padre e dei suoi amici l’unica cosa che sapeva è che erano molti.
Augusto, per parte sua, dirà che il fratello lo vedeva di rado, non erano in confidenza e che lui non aveva la più pallida idea di come si guadagnasse da vivere. Non sanno nulla o non collaborano neppure gli amici che stavano giocando a biliardo con lui al bar Fermi. Passano le ore, arriva la domenica mattina e i poliziotti si ritrovano con un cadavere e un pugno di mosche. Più i due Proietti fermati per possesso d’arma.
Fonte: Pino Nicotri, Cronaca criminale.
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