20-21 agosto 1940: esecuzione e morte di Lev Trotsky

“Decisi di non mancare la meravigliosa opportunità che si presentava”. Poi chiuse gli occhi, e sferrò “un colpo terrificante alla sua testa”. Erano le 17.30 del 20 agosto 1940, Coyoacan, un sobborgo di Città del Messico. L’agente spagnolo stalinista Ramon Mercader assassinava Lev Trotsky. La brutalità con cui colpì il leader dissidente la descrisse lui stesso durante il processo per l’omicidio.
Si era presentato a casa Trotsky il 17 agosto sotto il falso nome di Jackson. Aveva sedotto a Parigi la sorella della segretaria di Trotsky per entrare in contatto. Si presentò a casa per sottoporgli un articolo sulla Quarta Internazionale. Era la prova generale. Già il 24 maggio, all’alba, una banda agli ordini del pittore muralista Siqueiros aveva provato un blitz. Il 20 agosto, tornò nella casa di Avenida Viena (nella foto ferito dopo la cattura). Aveva lo stesso impermeabile di tre giorni prima ma un viso più pallido e un portamento che Natalia, la moglie del rivoluzionario in esilio, definì nervoso e assente. Pochi minuti e dallo studio, dove suo marito stava correggendo l’articolo del giovane, le giunse un grido terribile.
Un segreto ben tenuto

Ci vorranno tredici anni per scoprire la sua vera identità e altri quaranta perché fosse noto il suo rapporto con la polizia staliniana. Una sua sorellastra, Maria, era la moglie di Vittorio De Sica: un’attrice di straordinaria bellezza. Sulla sua tomba c’è un altro nome ancora: Ramon Ivanovich Lopez.
Un ebreo ucraino
Il 21 agosto del 1940, alle 19,25, Trotsky moriva in un ospedale di Città del Messico. Di buona famiglia, ebreo, e di origini ucraine, la storia lo ricorda tutt’oggi con il nome di un suo ex compagno di cella a Odessa. Perché Trotsky, in realtà, si chiamava Lev Davidovic Bronstein. Il nome gli servì da espediente per fuggire dalla Siberia, dov’era stato spedito in esilio, e a raggiungere Londra. Poi lo conservò anche dopo la clandestinità, come molti dei leader bolscevichi che, dopo la vittoria della rivoluzione fondarono l’Unione sovietica: Lenin, Kamenev, Zinovev.
La scelta centrista
Si unì a Vladimir Lenin e vi ruppe poco dopo, già durante il secondo congresso del Posdr nell’estate del 1903.Con l’avvicinarsi della prima guerra mondiale si spostò nella neutrale Svizzera, e quindi in Francia, da cui fu espulso, e si diresse a vivere a New York, proprio quando la Rivoluzione di febbraio depose lo Zar. Negli anni dell’esilio, nella contrapposizione tra le due frazioni della socialdemocrazia russa, menscevichi e bolscevichi, si era andato a costruire una posizione “centrista”. Fece ritorno in Russia nel maggio 1917 e si unì ai Bolscevichi, anzi ne fu tra i massimi dirigenti.
Alla testa dell’Armata rossa
Dopo la presa del potere divenne Commissario del popolo per gli Affari Esteri, con lo scopo principale di negoziare la pace con la Germania e i suoi alleati, ma fu costretto ad accettare condizioni umilianti per il disfacimento dell’esercito. Come fondatore e comandante dell’Armata Rossa fu ampiamente artefice del successo contro l’Armata Bianca e della vittoria nella Guerra Civile Russa. Cominciò a respirare il suo declino con la morte di Lenin e il consolidamento del potere sul Partito e sullo Stato da parte di Stalin e della trojka.
La sconfitta e l’esilio
Nel 1924 un feroce scontro formalmente ideologico portò avanti l’emarginazione dell’ala trotskista (da li la nascita di ”Opposizione di sinistra”), fino all’ottenimento delle dimissioni di Trotsky dal posto di Commissario del Popolo alla Guerra e agli Affari della Marina (gennaio 1925). La sua Rivoluzione Permanente, che si poneva in netto contrasto con la politica stalinista di costruire il”socialismo in un solo paese”, lo costrinse ad asserragliarsi a Leningrado con l’Opposizione Unificata. Fu in quel periodo che si aprì una fase di scontri sempre più violenti tra il gruppo al potere e i gruppi oppositori, di cui Trotsky divenne sostanzialmente il precursore.
Organizzò in forma autonoma la celebrazione del decimo anniversario della Rivoluzione d’Ottobre. Una mossa che gli valse l’espulsione dal Partito Comunista Sovietico. Si spostò allora dalla Turchia alla Francia e alla Norvegia in pochi anni, stabilendosi finalmente in Messico su invito del pittore Diego Rivera. Visse nella sua stessa abitazione, e in un altro momento in quella della moglie, l’artista Frida Kahlo.
Il testamento spirituale
Nel 1938 fondò la Quarta Internazionale in alternativa alla Terza Internazionale stalinista, ben prima che la sua fede assumesse definitivamente i caratteri di una religione, quando decise di redigere il suo testamento. Sentiva di dover morire e provò il dovere di rassicurare prima di tutto la sua anima: ”Quali che siano le circostanze della mia morte, io morirò con la incrollabile fede nel futuro comunista. Posso vedere la verde striscia di erba oltre la finestra e il cielo limpido azzurro oltre il muro, e la luce del sole dappertutto. La vita è bella. Possano le generazioni future liberarla di ogni male, oppressione e violenza e goderla in tutto il suo splendore”.
La fine di Mercader
Ramon Mercader per il suo delitto orrendo passò vent’anni di carcere in Messico, ma nel 1960 venne rilasciato e passo il resto della sua vita (morì nel 1978) tra Cuba, l’Urss e la Cecoslovacchia. Agente di origine spagnola dell’Ndvk, il servizio segreto di Stalin, sanguinario di indole, venne insignito durante la prigionia in Messico del titolo di Eroe dell’Unione sovietica. Una medaglia che gli fu revocata negli anni Sessanta da Nikita Kruscev.
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