7-8 dicembre 2016/3: il golpe Borghese e il Movimento sociale
Il golpe Borghese resterà probabilmente uno dei tanti misteri della Repubblica. Ma è indubbio che in quei giorni anche negli ambienti missini si fosse al corrente dell’agitazione di Borghese. Ernesto De Marzio, all’epoca presidente dei deputati missini, rivela un episodio sconosciuto: Nell’autunno 1970 ci incontrammo a cena io, Almirante, Borghese e un altro dirigente del Msi di cui preferisco non fare il nome. Il «comandante» ci disse: «I comunisti si stanno facendo sotto. Occorre fare qualcosa. Il partito è con me?» Almirante rispose: «Comandante, se parliamo di politica, e tu sei dei nostri, devi seguire le mie direttive, ma se il terreno si sposta sul campo militare, allora saremo noi ad attenerci alle tue indicazioni».
Questo non significa che il Msi avesse aderito pienamente e organicamente al tentato golpe, è però indubbio che non potevamo ignorare quanto stava accadendo. Che negli ambienti missini e non solo si parlasse del golpe liberamente, lo conferma anche Teodoro Buontempo:
Alla fine del 1970 ero già a capo del movimento giovanile della Capitale. E lo ero sul serio. Nel senso che avevo un autentico consenso da parte dei ragazzi e riuscivo così a captare tutto ciò che si muoveva nel nostro ambiente. Quando cominciai a vedere cose «strane», per esempio abboccamenti tra alcuni camerati e uomini delle forze dell’ordine, misi in allarme tutti i dirigenti giovanili, dicendo che stavano accadendo cose equivoche, e proposi a tutti di prendersi venti giorni di vacanza. Quel golpe, infatti, al di là della buona fede di qualcuno, non poteva essere sentito come qualcosa di nostro. Anzi, era un disegno per colpire la destra: si doveva coinvolgere qualcuno facendogli credere che era possibile fare il golpe, poi lo si fermava all’ultimo momento, infine si gridava al tentato colpo di Stato da parte della destra e la si reprimeva. Del resto le cose andarono esattamente così. Questo pericolo Almirante lo avvertì. Escluderei quindi che in quel golpe ci fosse un coinvolgimento del Msi. Probabilmente, come è naturale, Almirante stette alla finestra, per cercare di capire cosa stava succedendo. Ma torniamo alla mia esperienza personale. Qualche giorno prima della data indicata nell’ambiente come quella di un possibile golpe tornai in Abruzzo, nel mio paese natale. E ci tornai nella maniera più visibile: in pullman. Proprio per dimostrare a tutti la mia estraneità a cose che si stavano preparando e che non solo erano preoccupanti ma non appartenevano alla mia cultura. Ero convinto infatti che la nostra partecipazione a un golpe costituisse un colossale errore. Arrivai a Ortona a Mare intorno alle 16 del pomeriggio. Il pullman si fermò in piazza della Repubblica, la piazza principale, dove ci sono il municipio e il Bar Sport, allora frequentato dai militanti della sinistra, sia quelli del Psiup che quelli del Pci. Appena sceso dal pullman queste persone mi dissero: «A camera’, ma che cavolo ci fai qui? A Roma c’è il golpe e tu vieni a Ortona?» Ciò dimostra che del golpe ne parlavano tutti.
Anche Cesare Mantovani fornisce un ricordo analogo: “In quel periodo andavo a farmi i capelli da un barbiere che stava in via Quattro Fontane, vicino alla direzione del Msi. Ebbene il barbiere mi chiedeva: «A dotto’, allora lo famo ’sto golpe?» Sempre a questo proposito ricordo un altro episodio. Avvenuto diverso tempo prima. Ero in rotta con il partito dopo i fatti del ’68, diciamo pure che ero un «cane sciolto». Un giorno Orlandini, il braccio destro di Borghese, mi fece chiamare. Lo incontrai insieme ad altre persone dell’ambiente. Ci disse: «Il ‘comandante’ sta preparando l’insurrezione nazionale, ne faranno parte le ‘forze sane’ della nazione e delle forze armate». Quindi ci lesse il proclama che Borghese avrebbe dovuto leggere agli italiani e ci disse che questo proclama sarebbe stato distribuito con dei volantini lanciati da aerei su tutto il territorio nazionale. Ci guardammo tutti in faccia: come può essere una cosa seria, ci dicemmo, un golpe che, invece di affidarsi alla radio o alla televisione, bombarda di volantini dal cielo una intera nazione? Capimmo che Borghese il golpe non sarebbe riuscito a realizzarlo mai. Dicemmo quindi a Orlandini di salutarci il «comandante» e di rifarsi vivo quando l’insurrezione nazionale sarebbe scoppiata…”
Non tutti i neofascisti sono affascinati dal mito del colpo di Stato. Anche dentro il Msi. Prendiamo Pietro Cerullo, per esempio. Presidente della Giovane Italia dal 1965 al 1970, legato culturalmente e personalmente a Ernesto De Marzio, che seguirà alla fine del 1976 nella scissione di Democrazia Nazionale. E sentiamo dalla sua voce qual era la posizione sua e della sua corrente sul possibile colpo di Stato: “Eravamo fortemente scettici, per usare un eufemismo, verso i disegni «rivoluzionari» o «reazionari» – dipende dai punti di vista – che venivano coltivati, in combutta con ufficiali delle forze armate e con dirigenti del ministero dell’Interno. Eravamo anche in profondo dissenso e manifestavamo un’aperta diffidenza verso Rauti, Giannettini, Delle Chiaie e quanti altri trescassero con veri, presunti o aspiranti golpisti… In quel periodo si avvertiva nell’aria, in maniera forte e chiara, la puzza di provocazioni e di sovvenzioni più o meno coperte. Coerentemente con questa mia posizione, nel 1972, nel comitato centrale del partito voterò contro la candidatura alla Camera del generale De Lorenzo, ex comandante dell’Arma ed ex capo di stato maggiore dell’esercito, coinvolto, nel 1964, nel cosiddetto «piano Solo». Il primo tentativo di colpo di Stato in Italia”. (3-fine)
FONTE. N.Rao/ Trilogia della celtica
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