6 maggio 1975: i Nap rapiscono a Roma il giudice Di Gennaro
La più nota azione dei NAP è il rapimento del magistrato Giuseppe Di Gennaro, magistrato di Cassazione, direttore del Centro elettronico dell’amministrazione penitenziaria. L’azione è effettuata a Roma, il 6 maggio 1975, circa un anno dopo l’altrettanto clamoroso rapimento del giudice Mario Sossi ad opera delle Brigate Rosse. Soltanto anni dopo si saprà che la gran parte dei nomi di magistrati dell’amministrazione penitenziaria sono obiettivi segnalati da Giovanni Senzani, il professore criminologo, collaboratore del Ministero di Grazia e Giustizia che più tardi sarà a capo delle Br-Partito guerriglia.
La gestione del sequestro si intreccia con la vicenda di tre detenuti del carcere di Viterbo, due fondatori dei NAP (Pietro Sofia e Giorgio Panizzari) e un ‘comune’ politicizzatosi in carcere (Martino Zicchitella). I tre, una volta fallita l’evasione (9 maggio), sequestrano alcuni agenti di custodia e rivendicano ai NAP il rapimento di Di Gennaro. La vicenda si conclude in pochi giorni, l’11 maggio, con il rilascio del magistrato, mentre i detenuti ottengono la diffusione per radio di un loro comunicato e il trasferimento in altri istituti di pena. Nel corso di questa azione prolungata i NAP diffondono tre comunicati. A loro volta i detenuti espongono le loro posizioni in due comunicati e in un’autointervista, in cui sono contenuti anche i principi organizzativi basiliari:
“I NAP sono nati da precise esperienze di massa in vari settori, che hanno spinto alcuni compagni a porsi concretamente il problema della clandestinità (…). Noi vediamo la sigla NAP non come una firma che caratterizza un’organizzazione con un programma complessivo, ma come una sigla che caratterizza i caratteri propri della nostra esperienza. (…) La nostra esperienza ha portato alla creazione di nuclei di compagni che agiscono in luoghi e situazioni diverse, in maniera totalmente autonoma e che conservano tra di loro un rapporto organizzativo e di confronto politico”.
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