9 settembre 1980: i Nar uccidono in un’imboscata Mangiameli
La mattina del 9 settembre 1980 (secondo altre fonti, i suoi camerati di Terza posizione, il 10 settembre) il gruppo di fuoco dei Nar che fa capo a Valerio Fioravanti attira in trappola e uccide a tradimento Ciccio Mangiameli, il leader siciliano di Terza posizione proiettato ai vertici del gruppo dal blitz del 28 agosto che aveva spinto in clandestinità Roberto Fiore e Gabriele Adinolfi.
La collaborazione sulla fuga di Concutelli
Poiché Mangiameli aveva ospitato a Palermo, fino alla vigilia del 2 agosto, la coppia Fioravanti-Mambro. Collaboravano al progetto di evasione di Pierluigi Concutelli. L’episodio è stato al centro del processo per la strage di Bologna ma lo hanno anche usato dai calunniatori per avallare la responsabilità di Fioravanti e Cavallini nell’omicidio di Piersanti Mattarella. Ad ammazzare il leader della Dc siciliana fu un commando corleonese nel gennaio 1980. Io ne ho parlato in tutti i miei libri. In occasione del trentennale dell’omicidio ho pubblicato sul mio primo blog, Fascinazione, gli stralci dei capitoli dedicati alla vicenda. Qui potete scaricare il pdf con tutti i post.
Il confronto tra Mambro e la vedova
A seguire invece l’articolo scritto da Paola Cascella il 6 gennaio 1990 per La Repubblica, sul confronto, al margine del processo d’appello per la strage di Bologna, tra Francesca Mambro e la vedova Mangiameli:
Una spiegazione a quattr’ occhi fra la vedova e l’ assassina del marito. A chiederla è la terrorista nera Francesca Mambro. Proprio lei, l’ assassina. Ha già confessato di aver fatto parte del commando che nove anni fa uccise Francesco, Ciccio Mangiameli, un camerata siciliano, un dirigente di Terza posizione, il marito di Rosaria Amico, colpevole forse di sapere troppo sulla strage della stazione di Bologna. Secondo le rivelazioni dei pentiti, Rosaria corse pericolo di morte insieme alla figlioletta di sette anni. Fioravanti aveva intenzione di uccidere pure loro.
Probabilmente perché anche la moglie di Mangiameli sapeva troppo: i terroristi neri frequentavano la sua casa a Palermo (sotto i falsi nomi di Marta e Riccardo furono ospiti Mambro e Fioravanti). Gli autori del delitto furono gli sposini dei Nar e il fratello di lui Cristiano Fioravanti. Eliminarono Mangiameli nel settembre dell’80 e gettarono il corpo zavorrato di alcuni pesi da sub in un laghetto artificiale vicino a Roma. Ma il cadavere riaffiorò pochi giorni dopo. Rosaria Amico è stata sentita ieri al processo d’ appello per la strage del 2 agosto.
Dopo nove anni, non so ancora perché abbiano ammazzato mio marito, ha detto fra l’ altro Rosaria, sempre sull’ orlo del pianto, durante una testimonianza sofferta e reticente. Una testimonianza resa con un filo di voce da chi dopo tanto tempo ha ancora paura e per questo si confonde, cade in contraddizione fino ad essere richiamata dal presidente della Corte d’ Assise d’ appello. Voglio parlare con la vedova di Mangiameli ha chiesto subito dopo a sorpresa la Mambro, avvicinandosi alle sbarre della gabbia degli imputati . LEGGI TUTTO
Va ricordato che a detta di Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione delle vittime della strage di Bologna, la magistratura non ha mai fatto le doverose verifiche all’accusa secondo cui furono proprio i NAR a uccidere Mattarella:
“Ebbene: grazie ad un recente libro di Giovanni Grasso, dedicato all’omicidio Mattarella, abbiamo saputo che l’automobile dei killer del presidente siciliano (allievo ed amico di Aldo Moro) portava una targa falsa, composta coi pezzi di altre due targhe rubate. I pezzi rimanenti di quelle targhe furono ritrovati due anni dopo in un covo torinese frequentato da militanti di estrema destra legati ai Nar”
https://4agosto1974.wordpress.com/2014/12/13/intervento-di-paolo-bolognesi-02-08-2014-commemorazione-strage-di-bologna/
Va ricordato che la magistratura ha fatto un regolare processo e l’ha concluso con l’assoluzione degli imputati. Queste sono in uno stato di diritto le verifiche che fa la magistratura.
Ulteriori indagini hanno affermato definitivamente che le targhe trovate nel covo di Torino di Fabrizio Zani non c’entrano una mazza con quella usata nel delitto Mattarella