25 settembre 1942: nasce Massimo Abbatangelo

La giustizia italiana è notoriamente lenta, così Abbatangelo ha il tempo di rientrare in parlamento: primo dei non eletti nel 1987, era subentrato all’avvocato Mazzone eletto nel 1989 all’Europarlamento. I tempi delle procedure per l’autorizzazione inducono i giudici a stralciarlo dal processo principale. Un errore strategico: la sua posizione è intimamente connessa a quella degli imputati napoletani. Gli hanno trovato infatti, anni dopo, esplosivo simile a quello usato per la strage. E così la matassa si ingarbuglia. Il processo di primo grado ad Abbatangelo si svolge in contemporanea all’appello per mafiosi e camorristi. E la rigidità del sistema fa danni: così come per l’arresto dei fratelli Savi non blocca il rito per la banda Santagata, accusata a torto dei delitti della Uno bianca, l’assoluzione per la strage ottenuta da Misso e dai suoi non impedisce ai giudici di primo grado di condannare il giorno dopo all’ergastolo Abbatangelo. Una condanna umiliante e assurda: e infatti in secondo grado resta solo, come per gli altri napoletani, la condanna per armi ed esplosivo a sei anni di carcere. Condanna ulteriormente ridimensionata in Cassazione, senza rinvio: la detenzione di armi ed esplosivo non sussiste e resta solo un concorso in detenzione di esplosivo, a soli due anni. Intanto siamo giunti nella seconda metà degli anni Novanta, il Msi ha risciacquato i panni nelle acque di Fiuggi. Alle elezioni all’Europarlamento del 1994 Abbatangelo è stato il primo dei non eletti, per una manciata di voti (quindici) ma ancora una volta potrebbe subentrare: stavolta per più dolorose cicostanze, l’improvvisa morte di Spartaco Belleré che lo aveva preceduto di un sofio. Ma il nostro non vuole mettere in imbarazzo il partito e così rinuncia al subentro e si va a fare qualche altro mese di galera come residuo di pena.
Un innocente perseguitato dalle toghe rosse, quindi? Non proprio. E’ lui stesso a riconoscerlo, in una drammatica autodifesa, davanti alla corte d’Assise d’appello, in cui rivendica con orgoglio la sua identità politico: “Non sono un terrorista, ma chiamatemi pure squadrista”. E in effetti negli anni Settanta non se n’era fatta mancare una: dall’assalto al palco del corteo studensco a colpi di bombe carta (a esser precisi era l’11 ottobre del 1969: per me fu il battesimo politico con la violenza fascista) alla maxirissa in consiglio comunale il 20 dicembre 1972. Quella sera Abbatangelo volò letteralmente dal suo banco tra il pubblico quando vide che il padre e il fratello si stavano afferrando con un compagno. Quella volta al grande picchiatore gli disse male: un giovane dirigente della Fgci, ancora minorenne, gli tirò a volo un cazzottone con il tirapugni sfregiandogli il volto. Finirono entrambi in prigione per pochi giorni. E i giornalisti parlarono di una ferita procurata da un morso … Era quella una seduta straordinaria del consiglio, convocata per condannare l’attentato fascista consumato il pomeriggio del 12 dicembre, contro il comizio indetto dal comitato antifascista nella “piazza nera” di Fuorigrotta, piazza San Vitale. I fascisti risposero mettendo una grosa bomba carta sotto il palco: i feriti furono colpiti dalle schegge della vetrata della vicina chiesa, infrante dall’onda d’urto. Il giorno dopo un gigantesco corteo antifascista si riprese la piazza. Lo guidavano gli operai dell’Italsider con i loro inconfondibili caschi gialli. Il proprietario del bar ritrovo dei fascisti inutilmente provò ad abbassare le saracinesche. Con qualche muletto portato dalla fabbrica furono divelte e in perfetta simmetria anche le sue vetrine finirono distrutte. Era quella la Napoli in cui Abbatangelo aveva militato e si era fatto conoscere ed apprezzare.
FONTE: FASCINAZIONE/UMT
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