Non esiste il pericolo di una immediata ripresa del terrorismo rosso

[Un pezzo dell'inverno 1989 su uno dei tanti “allarmi” di ritorno al terrorismo rosso] 
ParisiL'allarme rosso ventilato nel rapporto Parisi, trasmesso dal capo della Polizia a prefetture, vertici delle forze di polizia e servizi di informazione alla fine di novembre e parzialmente pubblicato il 20 dicembre sul "Giornale" di Montanelli è subito rientrato. Fonti autorevoli del Viminale hanno subito chiarito che si trattava di una circolare di routine, tesa a sensibilizzare l'attenzione di strutture investigative e informative su alcuni segnali potenziali di minaccia.
Ed è stato subito polemica. Parisi infatti, sulla base di materiali documentari sequestrati nell'ultima operazione di polizia contro transfughi brigatisti a Parigi, ipotizza che uno spezzone residuo e ancora operativo delle Br, contrapposto a quello oggetto del blitz, possa tentare di riciclarsi in Italia attraverso l' infiltrazione in alcuni centri sociali.
Pronta la protesta di un' ampio settore dell'opposizione di sinistra, nella forma rituale dell'interrogazione al ministro. Un gruppo di parlamentari verdi, arcobaleno, radicali e demoproletari ritiene infatti "pericolosissimo per la democrazia che il capo della polizia basi la sua azione sul presupposto che ogni e qualsiasi fermento e malcontento sociale, nonché tutte le forme di autorganizzazione giovanile e sindacale siano parte di un piano terroristico". A loro giudizio, infatti "come dimostra la storia degli anni '70, è proprio la criminalizzazione dei movimenti e della partecipazione democratica a creare il terreno fertile per i tentativi di reclutamento per i terroristi".
Montanelli_biagiEd è proprio alla lezione dei primi anni 70 che, a modo suo, Montanelli si è rifatto quando ha deciso di pubblicare la circolare Parisi. Ricordava ancora la sensazione di angoscia provata quando, rara avis in una Milano ormai pervasa da un clima di progressismo salottiero e ciarlatano agli inizi degli anni 70, difendeva dalla crocefissione il povero prefetto Mazza che aveva osato affermare che i servizi d'ordine dei gruppi extraparlamentari di sinistra erano altrettanto pericolosi per la democrazia delle bande nere che infestavano San Babila e dintorni. La storia gli ha dato ragione (lo testimoniava proprio uno dei centurioni, Giorgio Bocca in occasione dell'ottantesimo compleanno del grande vecchio del giornalismo italiano).
Oggi però le cose stanno in maniera profondamente diversa. Il comandante dei carabinieri -persona evidentemente affidabile e competente- sostiene che con il blitz di settembre 88 è stata liquidata la rete militare del Pcc (gli arresti di quest'estate a Parigi e Roma che hanno interessato anche alcuni casertani hanno colpito alcuni superstiti impegnati in un lavoro di scuola quadri). In questi giorni si è concluso il processo contro l'altra frazione delle Br, l'Ucc, con tre risultati a sorpresa: nessun ergastolo per l' assassinio del generale Giorgieri, alcune assoluzioni per imputati dal rispettabile curriculum e la scarcerazione per decorrenza dei termini di Paolo Cassetta che è considerato l' ideologo del gruppo.
Evidentemente i giudici di merito stanno improntando la loro logica alla liquidazione della prassi emergenziale, nella direzione di un oltrepassamento che è invocato in molte autorevoli sedi (chiari, inequivoci messaggi sulla necessità del ritorno alla normalità giuridica ha più volte lanciato il presidente Cossiga). Ed infatti proprio in questi giorni è in discussione alla Camera la proposta di indulto per reati di terrorismo (dimezzamento delle pene, riduzione dell'ergastolo a 21 anni) promosso da un nutrito gruppo di parlamentari tra cui spicca il nome di Maria Fida Moro. Lo spirito della proposta -ci spiega il beneventano Franco Russo, deputato Verde Arcobaleno- è di riparare ai guasti prodotti dalle leggi dell'emergenza che hanno determinato notevoli aumenti di pena per i condannati per reati di terrorismo e al tempo stesso di dare il segnale definitivo della chiusura di un'epoca.
In questo senso si muove anche la gran parte della popolazione detenuta per reati di terrorismo. Ormai semiliberi o ammessi al lavoro esterno tutti i dissociati, escludendo un gruppo minoritario di militanti del partito guerriglia di Senzani che ancora sostengono una posizione di totale intransigenza, i brigatisti si sono aggregati in due poli politici che sostengono, pur con notevoli distinguo di analisi e di prospettive, la definitiva chiusura della prospettiva della lotta armata in Italia.
Ma quel che rende definitivamente fallace la prospettiva ventilata da Parisi di un ritorno di fiamma del terrorismo attraverso il cavallo di Troia dei centri sociali è proprio l'analisi appena superficiale di questo fenomeno di aggregazione giovanile. Nonostante infatti la tendenza semplificatrice di tanti giornalisti che di fronte a ogni fenomeno di radicalismo sociale ricorrono immediatamente all'etichetta onnicomprensiva di autonomia operaia, i giovani dei centri sociali sono piuttosto fratelli degli alternativi di Berlino, degli squatter di Zurigo e di Amsterdam che non figli di Scalzone, Piperno e Negri. Il loro è l'antagonismo di chi rifiuta alla radice il dominio della società del lavoro, della merce e dello spettacolo ma che altrettanto radicalmente si chiama fuori dai giochi e dalla rappresentazione della politica che avverte come mondo estraneo e tout cour ostile. E quindi anche dal lavoro oscuro della talpa rivoluzionaria.

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