16 marzo 1979: un anno dopo l’Unità disegna l’identikit del nuovo terrorismo

Nel primo anniversario del sequestro Moro, Paolo Gambescia inviato dell’Unità esperto di terrorismo ci offre questa “interessante” analisi

Gli esperti del Viminale, due mesi prima del rapimento Moro, avevano abbozzato un identikit del terrorista tipo, sulla base dei dati ricavati dalle biografie degli arrestati o incriminati per episodi eversivi: età media tra ‘i 23 e i 33 anni, provenienza da regioni del Nord, cultura superiore. Fino al gennaio del ’78, su 150 persone individuate 21 erano studenti universitari, cinque laureati, 17 avevano frequentato la scuoia media superiore, otto diplomati, due insegnanti. Se a distanza di un anno si riuscisse a ridisegnare questo identikit che tipo di terrorista verrebbe fuori? Negli ultimi dodici mesi, nella nebulosa del terrorismo è cambiato molto, sono cambiati, soprattutto, i protagonisti degli episodi eversivi.

Un significativo mutamento

Troppo spesso impegnati a seguire la cronaca quotidiana, non si riflette abbastanza su questo significativo mutamento. Anche in termini geografici. E’ indubbio che, se fino al delitto Moro sono state le grandi città del Nord ad essere il centro e nello stesso tempo la culla — se cosi si può dire — dell’attacco eversivo, negli ultimi mesi le azioni terroristiche sono state spartite in modo pressoché eguale tra Nord, Centro e Sud. E anche quando attentati hanno colpito o arresti si sono verificati, per esempio, a Torino, i soggetti individuati erano personaggi di Napoli, Avellino. Pisa. E’ questo un altro segnale al quale fare attenzione soprattutto perché le indagini hanno accertato che non si tratta di episodi d’importazione, che vedono cioè protagonisti killer piovuti da chissà dove.

La definizione di «partito armato»

La realtà non è più quella di cui si dicevano sicuri un anno fa al ministero degli Interni: e sono in tutto duecento e a sparare sono in venti. All’uso della pistola sono arrivati decine, se non centinaia di giovani e in qualche caso di giovanissimi. Ci sono arrivati in vario modo e sarebbe certamente interessante vedere come. Il partito armato conta ormai qualche migliaio di elementi e centomila simpatizzanti: questa è la cifra azzardata in una intervista l’altro giorno al magistrato romano che dirige l’inchiesta Moro. Ecco. il partito armato: ma è giusto continuare con questa generica definizione o non è più giusto cominciare a fare delle distinzioni? Quello che è accaduto dopo Moro tra le formazioni eversive e di cui sono testimonianza documenti autentici rinvenuti nei covi o ricavati dai verbali di interrogatorio di alcuni arrestati, è ancora tutto da interpretare. Ma alcuni dati sembrano inequivocabili.

I contrasti tra gruppi clandestini

E’ indubbio che con l’uccisione di Aldo Moro si sono aperti dei profondi contrasti tra i gruppi clandestini e all’interno di ciascun gruppo. Agenzie di stampa straniere hanno pubblicato il resoconto sommario di un vertice tra rappresentanti di formazioni terroristiche di tutto il mondo che si sarebbero riuniti in clandestinità ad ottobre. All’ordine dei giorno dei lavori era proprio l’esame del risultato «politico» del rapimento del presidente della DC e più in generale dell’attività delle Br in Italia, te agenzie riferiscono che il rappresentante algerino, un certo Bakr, avrebbe detto: «Con azioni come quelle del rapimento e dell’omicidio di Moro le organizzazioni rivoluzionarie cercano di bruciare le tappe e rischiano di fare salti nel vuoto*. Ma l’aspetto più interessante di quella riunione sarebbe stato un altro, l’ammissione da parte del rappresentante italiano citato •solo con il nome di Stefano. del totale fallimento degli obiettivi che l’area del terrore si proponeva col caso Moro.

Le Br scomparse dalle azioni più cruente

“L’Italia è una repubblica talmente aperta — sarebbe stato il parere di questo Stefano — che per noi è facile colpire chi. come, quando e dove vogliamo. Dà spesso l’impressione di essere frantumata e sull’orlo del burrone. Ma è solo apparenza. Anche dopo l’esecuzione di Moro, il paese purtroppo, si è dimostrato assai saldo e con i nervi a posto”. Ora non sappiamo se quanto riferito è vero, certo è verosimile. Le Br, come sigla, è in pratica scomparsa dalle azioni più cruente, sostituita per lo più da altre firme. Si potrebbe facilmente osservare che le nuove sigle non sono che la filiazione della matrice originaria. Ma probabilmente le cose non stanno esattamente così.

Prima Linea impasto di piccolo borghesi e benestanti

«Prima linea », ad esempio, sicuramente non è la stessa cosa che il nucleo storico delle Brigate rosse o chi da loro discende. Il loro passato è ben diverso da quello di Curcio, di Ferrari, di Margherita Cagol, ma anche di Moretti o di Alunni, di Nadia Mantovani per venire alle ultime leve Br conosciute. «Prima linea» è un impasto di piccoli borghesi, figli di famiglie benestanti, ma non ricchissime (non è la noia che li spinge), studenti universitari, ex detenuti provenienti, qualche volta, dall’esperienza fallimentare ma non battuta dei Nap. quei nuclei armati proletari che proprio al Sud, a Napoli ebbero origine nel 1973. Epigoni, questi, del ’68 che si sommano a drammatiche realtà, come quella carceraria o alle zone di disgregazione urbana del Sud. Questa ibrida composizione si riflette direttamente non solo sulla scelta degli obiettivi, ma anche sulla giustificazione che agli attentati, alle azioni criminose viene data.

L’analisi che facevano le Br fino al delitto Moro (e forse possiamo inglobare in questo giudizio anche la prima delle risoluzioni strategiche delle Br del 1978 quella fatta rinvenire a Torino dentro la FIAT) conserva molte delle motivazioni, diciamo così culturali della prima ora, quelle analisi delle contraddizioni da far esplodere, che erano alla base dei «processi » ad Amerio a Lobate a Sossi e che hanno presieduto anche alla copertura ideologica dello stesso caso Moro, almeno agli inizi. Una avanguardia combatte una battaglia di punta per conto delle masse colpendo i simboli del ‘sistema’. E’ la teorizzazione dell’esercito armato: poche unità, ‘ ma militarmente addestrate. totalmente clandestine, per dare esempio di efficienza. Una specie di “paladini ventesimo secolo”, quanto a carica ideale e di monadi chiuse in se stesse, quanto a organizzazione.

Mutamento di linea

«Prima linea», invece, dall’assassinio di Moro e dalla costatazione del fallimento dell’operazione «esemplare» teorizzata dalle Br. ricalca la necessità di un mutamento di linea, sostenendo che il terrorista diventi punto di riferimento aperto a ceti subalterni, a disperati di ogni colore. Non più, quindi, azioni esemplari ma sterili, bensì attacco diretto alle fabbriche. ai centri di produzione per distruggerli; assalto alle agenzie immobiliari o alle sedi padronali, rappresaglie, rapine per procurarsi le armi e i mezzi, collusione con anonime sequestri, appalti alla mala. E, contemporaneamente, attività di proselitismo in due direzioni, dentro le carceri tra i proletari arrestati e nell’area dell’autonomia uscita dal movimento ’77. E’ il movimento che diventa tarmato. Non è più l’elite delle Br. E a contorno e sostegno un florileqio di pubblicazioni che «ideologizzano» questa nuova fase.

Nell’ultimo proclama fatto rinvenire dopo l’assassinio del giudice Emilio Alessandrini vi sono affermazioni sulle quali bisogna riflettere per tentare di capire che cosa avviene nella clandestinità, ma anche in quei gruppi ibridi che sono a cavallo tra l’azione violenta nelle manifestazioni di massa e l’appoggio a chi opera permanentemente nella clandestinità. Affermazioni con le quali si rivendica non più alle Br e al loro simbolismo, ma alla prassi di «Prima linea» il ruolo di «selezionatore» degli obiettivi da abbattere secondo la specificità del ruolo al servizio del padrone. Un’ottica aberrante dilatata fino all’uccisione di due semplici agenti di guardia sotto le Nuove di Torino.

Le ammissioni dei ragazzini

“Abbiamo detto che da una parte vi sono gli sbandati di Autonomia, i clandestini del ’77. L’iniziazione per costoro è raccontata bene negli interrogatori di alcuni arrestati a Torino, giovani tra i 18 e l 23 anni. Cesare Rambaudi, 18 anni: «Faccio parte dell’organizzazione “Prima linea”. Mi sono trovato coinvolto senza neppure sapere come. Non sono un organizzatore della banda, ma solo un semplice gregario, tant’è vero che mi hanno dato la pistola solo stanotte». E Giorgio Corrarati, 17 anni: «Eravamo una decina. Uno mi chiese di tenere una pistola e io accettai per non tirarmi indietro». Pensiamo alla distribuzione delle armi «scoperte» all’università di Bologna. Si spara «a ruota libera» per conquistarsi l’ingresso nel Gotha del terrorismo. Chiunque spara, anche in nome della mala, vi fa ingresso: l’unica iniziazione richiesta è una prova di «volume di fuoco».

L’altra componente

Poi vi è l’altra componente. gli ex detenuti, i fuggiaschi, i condannati per gravi delitti, quelli che hanno formato il nucleo originario dei Nap. Alla base della loro adesione vi sono varie motivazioni. La più elementare è che nel terrorismo trovano una speranza di fuggire, trovare aiuti dall’esterno, non sentirsi isolati. La seconda è più complessa: all’interno delle carceri accade spesso una osmosi di esperienze e non di rado mentre i criminali comuni trasmettono il loro «sapere» alle reclute, queste ultime «indottrinano» i vecchi arnesi della malavita dando loro gli strumenti rudimentali. una rozza ideologia del crimine come ribellione alla società. Il terzo motivo è più banale, se vogliamo: organizzarsi con chi ha già un gruppo che l’attende fuori significa avere la possibilità di portare a termine buoni colpi, dalle evasioni, ai sequestri di persona, alle rapine, di sfruttare una specie di soccorso rosso del latitante aperto a tutti.

Una certa ambiguità

E’ da questa simbiosi che nascono certe ambiguità, ripetutesi di recente, quando si cerca invano di attribuire o classificare un certo delitto. E’ opera di mafia, è opera di terroristi, è un regolamento di conti? Può essere tutto e forse dentro molti di questi delitti c’è tutto. Perfino i «burattinai» possono identificarsi: la vendetta politica segue la stessa logica della esecuzione della cosca, c’è l’esaltazione del .giustiziere. Come si cede la miscela del nuovo terrorismo è esplosiva: cerca l’omertà, punisce e stronca la denuncia. Pensiamo al compagno Rossa e al compagno Rocco Gatto, alle iniziative dei quartieri di Torino e alle proteste in piazza contro la mafia di Gioiosa Ionica.

Allora tutto diventa più complicato nella realtà e contemporaneamente più chiaro alle coscienze dei più. perché ormai anche le parvenze di spiegazioni pseudo ideologiche e politiche sono scomparse. Anche i tentativi. seppur aberranti, delle Br sembrano anacronismi, Il terrorismo è diventato un « prodotto puro », senza giustificazioni, che nasce però da un miscuglio sempre più torbido. I pericoli aumentano. Non nascondiamocelo, vi sono città dove ormai l’omicidio è diventato malattia endemica. dove se non vi fosse un forte movimento democratico, l’azione continua del nostro partito, le difese sarebbero nulle o quasi.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.