18 ottobre 2020: l’addio a Paola de Luca di Scalzone
L’altro giorno ha finito di soffrire Paola De Luca, combattente comunista esule in Francia da quasi 40 anni. Avevo conosciuta “Paolona” alla fine degli anni ’80, amica di Oreste Scalzone e (ancor più) di Luigi Rosati, compagna di Paolo Ceriani Sebregondi, fratello maggiore del mio antico sodale Filiberto. “Paolona” e “Paoletta”: Paola Angelici, un’altra delle compagne transitate da Potere Operaio alla lotta armata. Anche lei finita troppo, troppo presto.
“Paolona” era decisamente una presenza forte nella comunità degli esuli. Nel 1987 era stata arrestata [qui un bel racconto autobiografico di detenzione) insieme a Paolo e a due compagni napoletani con cui avevo condiviso l’esperienza nel Comitato (autonomo) Zona Centro. Vincenzo Olivieri, il dipendente delle Poste che riceve la valigia con il riscatto del sequestro Cirillo. Guglielmo Mazzocchi, uno dei militanti del Casanova che era solito bivaccare con noi del Genovesi a piazza del Gesù. In un primo momento il parere sull’estradizione fu positivo, poi la cosa si bloccò. Vincenzo scelse comunque di ritornare …
L’Urlo di Oreste
PAOLA// …e oggi, Paola. Paola ”la Lunga”, Paola ”Paolona”, Paola DE LUCA, da Roma. Paola, come morta due volte — ma ogni volta, anche se la seconda è annunciata, lo sgomento, e già il ‘manque’, è identico. Morta, dicevo, o come se già…, una prima volta una mesata fa, quando aveva deciso ”BASTA ! Basta l’accanimento terapeutico, basta la ‘charcuterie’ da ancor viva, ‘senziente’…”.
Accanimento, agguerrito pervicace, fors’anche deontologicamente doveroso per i terapeuti – che ne sappiamo…che pretendiamo saperne. Sapere, giudicare… Ma accanimento, prim’ancora che insensato – e non lanciamoci in epilogazioni ! –, crudele, che persino Woytila ridotto a ‘nuda vita’… Non è manco questione di senso, o di figura dell’Assurdo, concettualizzata.
È l’Urlo come in Munch, ma di carne e sangue e psiche, concreti. È ”Urla dal silenzio”, è Lucio* che disse solo col codice degli occhî «Ho paura»…
Sono i coma popolati di incubi nelle ‘bare di plexigas’ come un tempo il polmone d’acciaio, doppiato da cinghie di contenzione, moltiplicato da psichismo attivo, ‘chimica mentale’, eternità di panico, incubi, nebbie, terrore del terrore… Come le esperienze reali degli esseri – e di specie dannata a pensarsi – ‘sepolti-vivi’.
Aveva detto ”NO”, Paola. Non oltre. Non ancora una volta, non più.
Come esser tentati di dissuaderla? L’avevo chiamata ‘per errore’, scambiando il numero di un Amico di sempre a cui volevo chiedere se…,
se non fosse intrusione brutale il chiamarla. A me che ripetevo ”Eugè !, mi senti ?”, aveva risposto una voce chiara, giovane…”Ma, Oreste, sono Paola”. Incapace di farfugliare l’involontariamente atroce ”Come stai…, come va ?”, avevo biascicato un ”Allora…”. E lei, come – ho saputo poi – diceva anche ad altre orecchie e voci attonite all’altro capo del filo, «Eh, sto morendo». Con una sorta di intensa, certo disperata ma intensa, serenità. Aveva aggiunto, presente e lucidissima, ‘vigile’, parole esatte, pertinenti (solo dopo ho saputo che qualcuna, qualcuno, le stava tenendo il telefono, ché altrimenti non avrebbe potuto, così come prendere una ciliegia, o una sigaretta… Ho visto altri così, Roberto alla fine, Armando nipote, e ancora…, chiedendomi sempre come potessero non manifestare, almeno, un panico claustrofobico).
Parole giuste, e anche tenere, presenti : «Vogliamoci bene… ». Disponibile a una visita, un saluto, con Luigi e Lucia… E qui di nuovo un guizzo della a volte folgorante ironia, e autoironia : « Si, certo, solo che bisogna che… Sai, mi hanno fatto un’agenda da ministro…».
Di Paola la Compagna, parleremo, parleranno, si parlerà… Se non posso dire ”C’è tempo”, posso pero sapere che questo ‘arbre à palabras’ va venir…
Ho passato in questi giorni in rassegna, fin dove arrivavano conoscenza e memoria, le figure dei suoi ‘paesaggi’, territorî esistenziali.
Comprese le incomprensioni, a volte le rotture, a volte aspre – ma come sembrano sfocate, lontane…
Comprese le serate, a Paris e dintorni, dei ”nostri” compleanni in comune – eravamo ”omocromi”, se così si può dire, ‘venuti – a,o – al mondo’ lo stesso giorno a un centinaio di chilometri di distanza.
Comprese chitarre, fisarmonica, cantate – anche le sue : una su tutte, romanesca, passionale, che guarda caso ora mi nascondo negli scherzi delle sinapsi… Una, tipo ‘A tocchi a tocchi la campana sôna’, tipo ‘Le mantellate /sô’ delle suore’…, una che lei cantava, certo per noi, mejio di Gabriella Ferri o Giovanna Marini ; una…, passionale, truculenta, una….
Ora mi fermo qui, se ho detto troppo e non ‘commilfo’ ‘…che posso farci? Questo mi è sgorgato (e ho riletto alla sola Lucia, dopo averne parlato assieme qualche momento). Questo mi sgorga, in questa sensazione – se c’è chi vuol diagnosticare, faccia pure – di star qui a tentare di vivere ancora, in mezzo a una serie concentrica, decentrica, dall’intimo al globo e ritorno, di ‘mouroir’…
A dopo, a dopo…. Oreste, con Lucia (e trasmettendo anche un’emozione, intensa, da RossaLinda). Siamo tra le molte persone solidali con chi più le è stato caro/a, per il dolore che sta vivendo. Ciao, ciao. A dopo, a dopo…
Oreste Scalzone
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