13 ottobre 1985: ucciso ad Archi don Paolo De Stefano

Paolo De Stefano

Paolo de Stefano è stato il capo dell’omonima cosca e  uno dei protagonisti del cambiamento della ‘ndrangheta da fenomeno rurale a fenomeno imprenditoriale. Secondo di quattro fratelli, sopravvisse alla prima guerra di Ndrangheta che scoppiò a Reggio Calabria negli anni settanta. Diventò poi il boss più potente del Reggino a capo dell’omonima ‘ndrina De Stefano negli anni successivi. 

La svolta verificatasi nella ‘ndrangheta a metà degli anni settanta determinò l’acquisizione di un potere economico sempre maggiore. Contemporaneamente ne destabilizzò l’assetto. Al vertice dell’organizzazione criminale calabrese, in quel periodo si trovano Girolamo Piromalli, Antonio Macrì e Domenico Tripodo.

I finanziamenti statali

Lo stato aveva messo a disposizione parecchi finanziamenti, destinati al completamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, alla costruzione del quinto centro siderurgico e del porto di Gioia Tauro. In questo contesto Girolamo Piromalli capì che, per aumentare i profitti, l’organizzazione non poteva rimanere isolata dalle istituzioni statali.

L’idea di allacciare rapporti con lo stato attraverso la massoneria coperta, sul modello della mafia siciliana, fu subito appoggiata da Paolo De Stefano (che era a quei tempi un boss rampante del quartiere Archi di Reggio Calabria), ma non ben vista da Antonio Macrì e Domenico Tripodo

Si creò pertanto una profonda frattura tra chi voleva seguire la strada della “tradizione”, appoggiata da Macrì e Tripodo, e chi invece voleva percorrere la strada “progressista” cioè quella dei rapporti con le istituzioni statali, appoggiata fortemente da Piromalli e De Stefano. 

La prima guerra e la Santa

Ne scaturì la prima guerra di mafia, al termine della quale finì per prevalere la linea dei Piromalli-De Stefano. Per permettere di avere contatti con le istituzioni statali attraverso la massoneria coperta (prima di allora severamente vietato dalle ferree regole dell’ndrangheta tradizionalista), Piromalli e De Stefano fondarono la Santa, una sorta di struttura parallela i cui affiliati (i “Santisti”) possono intrattenere rapporti con uomini delle istituzioni statali.

Paolo De Stefano si fregiò così del titolo di “Santista” ed entrò nella massoneria.  De Stefano intrattenne rapporti con la camorra, con la mafia siciliana e persino con la massoneria deviata e l’estremismo di destra che imperversava in quegli anni a seguito del fallito golpe Borghese.

Il pentito Giacomo Lauro parla anche di un incontro nell’estate del 1970 tra i capibastone dei De Stefano, Paolo e Giorgio, con Junio Valerio Borghese. Secondo Vincenzo Vinciguerra la ‘ndrangheta per il golpe avrebbe messo in azione 1500 uomini. Risultano documentati anche alcuni contatti marginali con la Banda della Magliana.

Se la prima guerra di mafia fu uno scontro generazionale che coinvolse molte famiglie del Reggino, la seconda guerra fu determinata da una dura presa di posizione in seno al locale dei De Stefano. Ad infuocare gli animi era stato il controllo dei futuri appalti relativi alla costruzione del ponte sullo stretto di Messina, ma anche dalla volontà dei De Stefano di allargare la loro influenza nei territori di Villa San Giovanni territorio degli Imerti. 

Indiscusso padrone di Reggio Calabria dopo l’eliminazione di Antonio Macrì e di Mico Tripodo, Paolo De Stefano morì in un agguato tesogli nel 1985 nel quartiere di Archi dagli uomini del boss emergente Antonino Imerti detto” nano feroce” che scatenò la seconda guerra di mafia, la più sanguinosa della storia del reggino.

I legami con la banda della Magliana

La scheda di Wikipedia riporta tutti i luoghi comuni e le banalità correnti sulla figura di quello che è stato senza dubbio il leader più importante della ‘ndrangheta per un quindicennio. Ovviamente ebbe rapporti con gli avanguardisti che furono tra i protagonisti della rivolta di Reggio insieme ai “ragazzi di strada” come ne ebbe poi con tutte le organizzazioni criminali citate. Come li ebbe, con la banda della Magliana, tramite Gianfranco Urbani, “er pantera”. La storia la ricostruiscono così i Calabresi

Nell’aprile del 1975, nemmeno due mesi dopo l’eliminazione del boss di Siderno don ‘Ntoni Macrì, le forze dell’ordine sorprendano Paolo De Stefano insieme al boss della Banda della MaglianaGiuseppe NardiGiuseppe PiromalliPasquale CondelloGianfranco Urbani e Manlio Vitale nei pressi del locale “Il Fungo” di Roma. Gli agenti erano appostati lì per arrestare il latitante Saverio Mammoliti, che avrebbe dovuto partecipare ad una riunione mafiosa.

Doveva essere un incontro molto importante, visto che, oltre a De Stefano, partecipano uomini forti della ‘ndrangheta, come Piromalli, ma anche Condello (Il Supremo, negli anni a venire), nonché Urbani, Er Pantera, re delle bische e delle scommesse clandestine. De Stefano, Piromalli, Condello e Nardi giungono su un’autovettura Mercedes e sia Condello che Piromalli si sono allontanati dal luogo di soggiorno obbligato rendendosi irreperibili. Il secondo viene trovato in possesso di una banconota da 50.000 lire proveniente dal sequestro di Paul Getty.

I rapporti tra certi ambienti sarebbero proseguiti nel tempo fino ai giorni nostri. Così il vicequestore della Dia di Reggio C., Michelangelo Di Stefano ha evidenziato nell’appello del processo ndrangheta stragista che nel settembre del 2009 Giuseppe Nardi, già identificato al Fungo di Roma con Paolo De Stefano, tentò di inviare una lettera a Orazio De Stefano, il più giovane della famiglia omonima, all’epoca detenuto.

Tra i rapinatori che violarono negli anni ’70 le cassette di sicurezza della Cassa di Risparmio di Reggio Calabria, dove accanto a denaro e gioielli sarebbero stati conservati preziosi elenchi di massoni riservati, vi era anche Franco Manenti, esponente della banda della Magliana.

L’aiuto alla fuga di Freda

E manca ancora qualcosa: il sostegno dato a Franco Freda per l’espatrio dopo la fuga dal soggiorno obbligato. Come mancano, per inseguire il delirio paranoico del complotto massomafioso, i termini reali del salto di qualità imprenditoriale compiuto dalla ‘ndrangheta a partire degli anni ’70.

Un salto finanziato in due successive ondate: con gli appalti del porto di Gioia Tauro, che fu uno dei risarcimenti per lo scippo di “Reggio capoluogo”, e poi con l’ondata massiccia di sequestri nel decennio successivo per finanziare l’ingresso nel mercato internazionale del narcotraffico. Perché i grandi processi economici e industriali seguono le leggi feroci del capitale, non sono il frutto di qualche oscuro sinedrio…  

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.