[Un pezzo d'occasione, dopo una serie di attentati contro familiari dei “pentiti” di camorra, nel 1994-95]Non crediamo che una struttura centralizzata di comando della camorra - se mai sia effettivamente esistita - sia potuta sopravvivere ai colpi inferti alle milizie criminali dalle defezioni in massa degli ultimi mesi. Non abbiamo mai avuto dubbi sul fatto che molte volte la collaborazione dei boss sia stato il proseguimento sul terreno giudiziario di una guerra persa sul piano militare o comunque l'occasione per ricatti e regolamenti di conti. Restiamo comunque convinti che una ripresa del tasso di civiltà giudiziaria del nostro sistema passi attraverso un drastico ridimensionamento del ruolo dei cosiddetti 'Collaboratori di giustizia' come produttori di verità. Eppure non possiamo non guardare con preoccupazione a quella che agli occhi di molti - con qualche ragione - si configura come una complessa e articolata 'campagna di primavera' della criminalità organizzata sulla questione dei 'collaboratori'. Non esistono certo elementi di prova, né consistenti indizi che consentano di parlare di un unico, continuato disegno criminoso teso a delegittimare e al tempo stesso terrorizzare i 'transfughi' dei clan e i loro familiari. Ma, per dirla con Montanelli, tre coincidenze autorizzano il sospetto. E anche se le donne dei boss che ieri hanno gridato la loro rabbia contro i “pentiti” e il carcere troppo duro nulla hanno a che vedere con i bombaroli che hanno lasciato il messaggio dinamitardo per Totuccio Contorno né con i killer che hanno ucciso i cognati di Carmine Alfieri [in realtà i killer gambizzarono il cognato e uccisero un'amica della sorella del boss facendo irruzione nella casa della donna] e di Buonocore, non ci si può nascondere il cul de sac in cui rischia di venirsi a trovare chi, come noi, fa del garantismo a 360° un elemento di identità culturale prima che politica. E la strada maestra, e la cartina di tornasole, diventa allora la difesa del diritto (contro tutte le scorciatoie autoritarie) ma anche dei diritti umani (dei carcerati: a essere trattati con equità e rispetto della dignità; ma anche dei parenti dei pentiti, a vivere in pace).
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