Persichetti: sull’emergenza giudiziaria Cossiga vinse la battaglia ma perse la guerra
“Cossiga graziando Curcio con motivazioni dichiaratamente politiche voleva aprire la stagione dell’amnistia e chiudere con l’emergenza giudiziaria”. Lo scrive Paolo Persichetti sul suo blog Insorgenze.net. L’ex Br posta un recente articolo di Giovanni Bianconi che racconta la corrispondenza privata tra Cossiga e alcuni br. La Camera dei deputati ha reso pubbliche le lettere che l’ex Presidente della Repubblica scrisse ai brigatisti dal 1991 fino al 2002.
Lo scontro con Martelli
“Chi ricorda l’estate del 1991, sa bene come andarono le cose. A partire dai quattro decreti di grazia d’ufficio proposti (cioè promossi direttamente dalla presidenza della Repubblica e non richiesti da Curcio) e rifiutati da Martelli. Il Guardasigilli, secondo la Costituzione avrebbe dovuto controfirmare. La questione fu poi avocata da Andreotti. A sua volta, il presidente del consiglio pose il veto del governo, spalleggiato dal Pci. Ne scaturì un conflitto di attribuzioni di natura costituzionale che celava anche un conflitto politico.
Per Persichetti spingeva Cossiga la convinzione che l’emergenza giudiziaria “avesse creato un vulnus nella tradizione giuridica”. Le leggi speciali antiterrorismo “inasprivano il codice Rocco rispetto alla versione originale d’epoca fascista e soprattutto introducevano palesi criteri d’iniquità nei trattamenti processuali, penali e penitenziari: dove pentiti e dissociati a parità di reati si avvalevano di trattamenti di favore rispetto a chi aveva rifiutato di accedere a quei dispositivi mantenendo la propria dignità personale e politica”.
Non solo. “Cossiga – aggiunge Persichetti – aveva capito che la delega fornita alla magistratura aveva favorito il suo ingresso negli affari politici, iniziando a destabilizzare l’equilibrio tra poteri previsto dalla costituzionalismo liberale”. Il presidente della repubblica “era cosciente di aver innescato lui stesso una profonda ferita nella tradizione giuridica italiana”. Di più. “Intravedeva all’orizzonte quel che poteva accadere di lì a poco e poi accadde. La fine della Prima repubblica e l’avvento del protagonismo politico delle procure che deflagrò con le inchieste per ‘Mani pulite'”.
Il braccio di ferro col Csm
L’ex Br ricorda come Cossiga “mesi prima aveva avviato un duro braccio di ferro con il Consiglio superiore della magistratura sulla definizione di alcuni ordini del giorno, uno di essi riguardava la vicenda Gladio, fino al ritiro della delega al vicepresidente Giovanni Galloni” e “nel novembre successivo inviò la forza pubblica nell’aula del Csm, giustificando la presenza in aula dei Carabinieri con i ‘poteri di polizia delle sedute’ a lui attribuiti. Da quello scontro venne fuori la stagione delle ‘esternazioni’, del ‘presidente picconatore'”.
“Dopo il rifiuto della grazia, Cossiga rese visita in carcere a Curcio, da qui il resoconto che questi scrisse del loro incontro. Negli anni successivi – ricorda Persichetti – arrivarono le altre lettere a Gallinari e Maccari, il biglietto per il libro intervista di Mario Moretti del 1993, che ricostruiva la storia delle Brigate rosse e il sequestro Moro. Nel 2002 la lettera al sottoscritto, pervenuta nel reparto di isolamento del carcere di Marino del Tronto, immediatamente dopo la mia estradizione dalla Francia, salutata da tutti i media italiani come la fine della dottrina Mitterrand. Lettera che fece il giro del mondo, finendo davanti alle giurisdizioni francesi, argentine e brasiliane”.
Le lettere di uno sconfitto
“Questi messaggi, e le dichiarazioni del 1991 di Cossiga, meriterebbero una riflessione più approfondita – sottolinea l’ex Br – Per il momento mi limito a sottolineare solo una cosa: Renato Curcio ricevette la visita di Cossiga dopo il rifiuto della grazia, successivamente chiese al tribunale di Sassari un cumulo di pena che gli avrebbe permesso l’uscita dal carcere. I magistrati sardi glielo negarono. Terminò di scontare la pena molto più tardi. Prospero Gallinari e Gennaro Maccari sono morti durante l’esecuzione della loro condanna. Mario Moretti è ancora “fine pena mai”, ha raggiunto ormai il suo 39vesimo anno di carcere. Il sottoscritto ha terminato la pena nel 2014, scontata fino all’ultimo giorno (quindici anni e alcuni mesi)”.
“L’interlocuzione con Cossiga verteva su una soluzione generale della prigionia politica che alla fine non ci fu – conclude Persichetti – Quelle di Cossiga furono le lettere di uno sconfitto, un capo di stato maggiore che aveva vinto la battaglia contro la lotta armata ma aveva perso la guerra contro l’emergenza, da lui stesso creata”
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