20.9.79, Parigi. Parigi, Pierre Goldman, bandito rivoluzionario
Pierre Goldman, nato a Lione il 22 giugno 1944, è stato un intellettuale rivoluzionario, responsabile di molte rapine negli anni settanta. Lo uccide in circostanze misteriose un misterioso gruppo armato fascista Honneur de la police, probabilmente la sigla di uno squadrone della morte del GAL, il 20 settembre 1979. Figlio del partigiano ebreo polacco, eroe della Resistenza francese, Alter Mojze Goldman e fratellastro del celebre cantautore Jean-Jacques Goldman. Protagonista di un clamoroso caso giudiziario.
Pierre Goldman comparve davanti al tribunale di Parigi, l’11 dicembre 1974, sotto l’accusa di assassinio e furto. Fu condannato all’ergastolo. Il sostegno di un comitato di intellettuali, che avevano denunciato numerose irregolarità nell’istruzione e vizi di procedura, provocò la revisione del processo. Nel giudizio d’appello, Goldman fu condannato a 12 anni di prigione per le tre aggressioni che aveva ammesso.
Le riflessioni di Foucault
Una condanna abnorme, come ci spiega Michael Foucault, nel corso di una sua lezione al College di France, pubblicata nel volume “Gli anormali” (Universale Feltrinelli).
Lo stupore del procuratore generale
Nel processo Goldman, che si è tenuto qualche settimana fa, se è scoppiato lo scandalo all’interno dell’istituzione giudiziaria stessa, se il procuratore generale ha manifestato il suo stupore davanti al verdetto che accoglieva la pena da lui richiesta, è perché, in fondo, la giuria non aveva applicato questa consuetudine, che è nondimeno del tutto contraria alla legge e che vuole che, quando non si è molto sicuri, si faccia ricorso alle circostanze attenuanti. Che cos’è successo nel processo Goldman?
Un compromesso non applicato
Che, in definitiva, la giuria ha applicato il principio dell’intimo convincimento oppure, se preferite, non l’ha applicato, ma ha applicato la legge stessa. Vale a dire: ha ritenuto di avere un intimo convincimento e ha applicato la pena tale e quale era stata richiesta dal procuratore. Ora, il procuratore era così abituato a vedere che, quando vi sono dei dubbi, non si applicano esattamente le richieste della procura, ma ci si colloca a un livello inferiore, che non ha potuto fare a meno di stupirsi della severità della pena.
Ma l’incertezza assolve, non attenua
Nel suo stupore egli tradiva questa consuetudine assolutamente illegale e in ogni caso contraria al principio che fa sì che le circostanze attenuanti siano destinate a sottolineare l’incertezza della giuria. In linea di principio, esse non devono mai servire a tradurre l’incertezza della giuria: se vi è ancora incertezza, occorre puramente e semplicemente prosciogliere. Dietro il principio dell’intimo convincimento, avete dunque di fatto una pratica che, esattamente come nel vecchio sistema delle prove legali, continua a modulare la pena a seconda dell’incertezza della prova.
Una vita intensamente vissuta
Disertore del servizio militare, fuggì a Cuba dove entrò in contatto con Fidel Castro, per poi lasciare l’isola dopo la morte di Che Guevara e unirsi ai guerriglieri venezuelani. Perso il sostegno economico di Cuba, nel 1969 con la guerriglia FALN prese parte alla rapina alla Royal Bank of Canada a Puerto La Cruz, rubando 2,6 milioni di bolívar (fu la rapina più grossa dell’anno); fu l’unico del commando a non essere identificato, così scappò e tornò in Francia.
L’arresto, il sostegno degli intellettuali
Tornato in patria per vivere iniziò a rapinare farmacie e piccoli negozi, fino all’arresto a Parigi per un omicidio da lui sempre negato. Il suo caso trovò il sostegno e la vicinanza di molti intellettuali, che firmeranno per lui una petizione. Fra questi c’è anche Maxime Le Forestier, che gli dedicò una canzone. Assolto per l’omicidio, lo condannano per le altre rapine. In prigione studiò filosofia e scrisse un libro che incontrò il favore di Simone Signoret, Françoise Sagan e Jean-Paul Sartre. Uscito per buona condotta, iniziò a lavorare per Les Temps Modernes e Libération.
L’omicidio per mano fascista
Il 20 settembre 1979 lo uccidono a Parigi. Il suo omicidio lo rivendica uno sconosciuto gruppo d’estrema destra. Al suo funerale hanno partecipato 15.000 persone. Gli assassini non sono mai stati trovati, ma la tesi più accreditata è quella di un’esecuzione ad opera della criminalità organizzata di Marsiglia, sotto il controllo dei GAL (Grupos Antiterroristas de Liberación). Uno squadrone della morte organizzato dagli agenti spagnoli per combattere l’ETA, con cui probabilmente Pierre Goldman stava collaborando per ottenere armi. Altri però sostengono che l’omicidio sia stato organizzato dai servizi segreti francesi dello SDECE.
FONTE biografia: Wikipedia
Il film
La sua vicenda è tornata alla ribalta quest’anno. La Quinzane del Festival cinematografico di Cannes è stata infatti inaugurata dal fim che gli hanno dedicato. Ce lo racconta Cristina Piccino in Il Manifesto
(…) Non è però un biopic il bel film di Cedric Kahn a lui dedicato che ha aperto la Quinzaine des Cinéastes – come da quest’anno si chiama la storica sezione indipendente del festival di Cannes – con la nuova direzione artistica di Julien Rejl. La scelta che il regista francese (Bar De Rail; Roberto Succo) fa è concentrare l’intera narrazione nel corso del secondo processo, nel 1976, rimanendo – a parte una breve sequenza iniziale – nello spazio chiuso del tribunale che diviene lo specchio di ciò che attraversa la società francese in quel momento.
Un film processuale
Film processuale dunque Le procès Goldman – «genere» che sembra attrarre in questo momento il cinema d’oltralpe, pensiamo a Saint Omer di Alice Diop – quasi che i casi «esemplari» possano far risuonare, appunto, la portata degli eventi di un’epoca, i suoi conflitti, la sua violenza, la politica, le lotte. Nell’aula di quel processo in cui Goldman prende la parola per difendersi e per accusare – sostenuto da molti intellettuali come Simone Signoret, Sartre – e simbolo per la sinistra antagonista del dopo Sessantotto, i ragazzi e le ragazze che riempiono l’aula – si delinea una sorta di mappa politica passata e insieme sempre attuale che interroga l’antisemitismo, il razzismo, la brutalità poliziesca, le false prove costruite ad hoc, i colpevoli perfetti.
Vittima del pregiudizio razziale
Cosa porta gli investigatori a accusare Pierre Goldman di un crimine che lui nega – mentre ha riconosciuto gli altri – con tanta ostentata sicurezza? I testimoni esibiti in aula contro di lui sono deboli, persino i poliziotti si contraddicono. Lui – a cui dà vita con grande intensità Arieh Worthalter – dichiara che si tratta di un complotto.
Perché è ebreo, come lo era Dreyfus, perché è comunista, perché ha troppi amici africani, testimoni le cui parole vengono invece sempre contraddette, che sono spaventati perché minacciati, picchiati, trattati senza rispetto dei diritti. È una società razzista che porta alla luce Goldman nelle sue provocazioni secche, costanti, implacabili, di uno che rifiuta gli psicologismi e persino i testimoni a suo favore perché sono i fatti a parlare e la sua innocenza, che è tale e va creduta.
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