Pippo Calò ordinò: uccidete il fratello di Imposimato
Francesco Imposimato (Maddaloni, 19 dicembre 1939 – 11 ottobre 1983) è stato un sindacalista italiano, ucciso dalla Camorra su mandato di Cosa nostra per fermare le inchieste romane del fratello, Ferdinando. Il giudice Imposimato indagava sulla banda della Magliana e su Pippo Calò, il tesoriere che curava gli interessi di Cosa Nostra nella Capitale.
Il magistrato e il mafioso sono due personaggi chiave in “Romanzo criminale”: a Imposimato è ispirato il giudice con cui collabora il commissario Scialoia, il secondo indossa i panni di “don Carlo”.
Trasferitosi giovanissimo in Sudafrica dove frequentò una scuola artistica, Francesco ‘Franco’ Imposimato tornò dopo sette anni in Italia e lavorò alla FACE Standard di Maddaloni. Sposato con Maria Luisa Rossi, ebbe due figli: Giuseppe e Filiberto. Franco era attivo come sindacalista e attento alle cause ambientali. Faceva inoltre parte del Gruppo Archeologico Calatino. Ferdinando Imposimato era giudice istruttore a Roma e nel 1983 aveva depositato una sentenza ordinanza relativa all’omicidio di Aldo Moro.
L’omicidio Imposimato
Franco fu ucciso dopo un turno di lavoro, mentre si recava con la moglie Maria Luisa, anche lei impiegata alla FACE, a prendere i figli a scuola. Mentre si trovava in macchina con la moglie e il cane Puffi, venne attaccato da due sicari che esplosero più colpi in direzione dei coniugi. Franco fu colpito mortalmente, mentre la moglie riportò gravi ferite.
Inizialmente si pensò che potesse trattarsi di un attacco terroristico compiuto dalle Brigate Rosse. Il giorno dopo l’attentato la sezione napoletana dell’ANSA ricevette la seguente telefonata anonima: “È stato ucciso il fratello del giudice boia”, ma fu ben presto appurata la matrice mafiosa dell’omicidio.
Una vendetta trasversale contro il gi Imposimato
L’omicidio di Francesco Imposimato avvenne nel quadro di una vendetta trasversale architettata dalla Banda della Magliana, con la collaborazione di Camorra e Cosa Nostra. L’obiettivo era intimidire il fratello Ferdinando e fermare le sue inchieste.
Pippo Calò chiese ai Casalesi di uccidere Franco Imposimato. Il clan accettò anche alla luce dell’impegno ambientalista di Franco riguardo alle cave abusive di Maddaloni.
Le condanne
All’inizio del nuovo millennio, con il processo Spartacus, si giunse alla condanna grazie al pentimento di Antonio Abbate, killer del clan Lubrano-Ligato, collaboratore di giustizia dalla fine degli anni ’90. Furono condannati all’ergastolo i tre boss mandanti dell’omicidio. Pippo Calò. Vincenzo Lubrano, boss di Pignataro Maggiore, consuocero di Lorenzo Nuvoletta, morto nel 2007. Raffaele Ligato, l’altro leader della cosca di Pignataro, morto nel 2022.
Il figlio di Vincenzo, Raffaele era stato ucciso nel 2002 dai Casalesi, un delitto frutto delle confessioni Abbate: fu lui infatti in dibattimento ad accusare il clan Lubrano dell’omicidio di un fedelissimo di Sandokan e il fratello della vittima chiese e ottenne vendetta dai vertici del clan più potente della Campania.
Il movente dell’omicidio Imposimato
“L’uccisione di Francesco Imposimato – si legge nella sentenza della Cassazione – doveva essere riguardata come un’azione trasversale nei confronti del fratello, Ferdinando Imposimato, che espresse fin dal marzo 1983, dopo attività di osservazione di ignoti su abitudini di vita di Franco, preoccupazione e allarme, per l’istruttoria che il magistrato conduceva sull’omicidio di un pregiudicato della Magliana.
Che Pippo Calò, siciliano, capo della famiglia di Porta Nuova, voleva bloccare a tutti i costi, temendo che attraverso essa venisse scoperta la rete di affari illeciti intrecciata a Roma e in Sardegna, sotto il nome di “Mario Aglialoro “ e “Salamandra”. “Per colpire il giudice si era dovuto ripiegare sull’uccisione del fratello Francesco”.
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