31 maggio-3 giugno 1973: a Rosolina finisce la storia di Potere Operaio

Agli inizi di giugno del 1973, durante la IV Conferenza nazionale d’organizzazione di Rosolina, in provincia di Rovigo, precipita la crisi che lacera da tempo Potere operaio. A scontrarsi sono l’area “romana” di Franco Piperno e Oreste Scalzone e quella “veneta”, che ha come riferimenti principali Toni Negri e l’assemblea di Porto Marghera-Venezia.
Le due componenti
La rottura sostanziale è evidente da tempo ma a avvelenare gli animi è il rogo di Primavalle, che i “veneti” rinfacciano ai “romani” come dimostrazione del loro “avventurismo”. Negri ritiene possibile un doppio binario di militanza. Da un lato, un ruolo di direzione delle iniziative, in grado di interpretare l’illegalità di massa, dall’altro un livello di clandestinità associativa, che guidi il percorso della lotta armata verso la guerra di classe. Piperno sostiene invece la necessità politica per il militante di Potere operaio di essere un quadro complessivo, capace di agire come riferimento sia sul piano politico sia su quello militare. Nessuna delle due ipotesi si dimostra possibile. Potere operaio si scioglie. Per un breve periodo la componente “romana” tenta di tenere in piedi il gruppo continuando a far uscire un giornale, il «Potere operaio del lunedì». Alcuni degli intellettuali, da tempo critici sulle scelte iperorganizzative e la torsione neoleninista, partono per altre strade: Sergio Bologna, Lapo Berti, Giairo Daghini, Bifo
Gli esiti
Le due correnti metteranno capo a due diverse esperienze organizzate dell’Autonomia Operaia: i “veneti”, a partire dal rapporto con i compagni del disciolto gruppo Gramsci, daranno vita a “Rosso”, i “romani”, a partire dal piccolo insediamento milanese scalzoniano, si uniranno alle due forti componenti operaie che fuoriescono da Lotta continua tra fine 1974 e inizio 1975 e danno vita all’esperienza dei Comitati Comunisti per il potere operaio. Dalle due reti gemmeranno numerose organizzazioni armate. Da una parte le Brigate comuniste, le Formazioni comuniste combattenti, i Reparti comunisti d’attacco, dall’altro le Fca, le Ucc, Prima Linea.
Le dicerie dei pentiti
La conferenza d’organizzazione di Rosolina diventerà famosa perché, dopo gli arresti del 7 aprile 1979 di alcuni dirigenti di Potere operaio, alcuni pentiti hanno sostenuto che quella conferenza organizzò un finto scioglimento del gruppo per mascherare invece il passaggio alla lotta armata e alla direzione di essa. Scrive invece esplicitamente e con sicurezza Aldo Grandi nella sua storia di Potere operaio che quell’incontro “non fu, come molti hanno pensato, uno stratagemma per simulare uno scioglimento fittizio del gruppo. Davvero allora si concluse la storia di Potere operaio”. Dopo Rosolina le sedi di potere operaio cominciarono a chiudere. A Rosolina, spiega Dalmaviva, “fu ratificata la sconfitta della linea uscita dalla conferenza romana del 1971 [il partito dell’insurrezione, ndb]. Io fui eletto segretario affinché spegnessi la luce”.
Le due tendenze secondo Negri
Dal volume L’orda d’oro, l’analisi di Toni Negri sulla dissoluzione di Potop:
I militanti usciti dal Gruppo Gramsci e una parte di quelli provenienti da Potere operaio costruirono a Milano una struttura di intervento metropolitano alla quale partecipavano operai della Sit-Siemens, dell’Alfa Romeo, e più tardi di molte altre fabbriche della cintura Nord.
Dalla fusione di una parte del disciolto Potere operaio e dalla diaspora di militanti operai di Lotta continua nacquero inoltre i Comitati comunisti rivoluzionari.
Ma queste annotazioni non rendono per nulla l’idea di un formicolante processo di organizzazione diffusa che aveva i suoi veri protagonisti nei giovani proletari, marginali rispetto ai gruppi autonomi organizzati, ma inseriti entro dinamiche di aggregazione spontanea, magmatica, incontrollabile.
Su questa realtà sociale si costituirono due diverse sensibilità politiche, due scelte di fondo, che percorsero tutta la storia successiva dell’autonomia.
Sarebbe una semplificazione identificare queste due anime intorno alle tematiche spettacolari della violenza e dell’organizzazione.
Si potrebbe dire che dal 1973 emersero una tendenza neoleninista e militarista che si configurò come Autonomia Operaia Organizzata – con tutte le lettere maiuscole – e una tendenza creativo-desiderante che privilegiò il diffondersi sociale dei comportamenti alla loro organizzazione politica. Ma sarebbe una semplificazione inadeguata.
In realtà la radice dell’ambiguità costitutiva dell’autonomia la troviamo nella frase di “Potere Operaio” citata prima, in cui si dice, a proposito dell’occupazione di Mirafiori, “il partito di Mirafiori si forma per dimostrare l’impossibilità capitalistica di uso degli strumenti di repressione e di ristrutturazione […]”.
Questa valutazione, che sta alla base di tutta la pratica resistenzialista antiristrutturazione, di tutta la ripresa della mitologia tardocomunista della guerra civile e della giustizia proletaria, questa valutazione è sbagliata e limitante.
Il movimento dell’autonomia viene così disegnato come movimento di resistenza: resistenza contro la ristrutturazione capitalistica, e sopravvalutazione della capacità di tenuta della composizione sociale proletaria uscita dal movimento di lotte 1968-73.
La difesa dell’identità politico-culturale del movimento fu conclusa con la rigidità della composizione sociale della forza-lavoro e il rifiuto di adeguarsi alle nuove forme tecnologiche dell’organizzazione del lavoro.
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