Dalla Classe a Potere operaio: il giornale e il gruppo nelle lotte di autunno
Il 18 settembre 1969 esce il primo numero di “Potere operaio”. Sarà l’organo di stampa dell’omonimo gruppo, nato dalla spaccatura dell’area operaista sancita dall’assemblea nazionale di Torino. Il gruppo romano che fa capo a Piperno, Scalzone e Pace porterà in dote il settimanale “La classe” su cui appunto si innesta la nuova testata, sempre affidata alle cure di Scalzone. Il testo che vi propongo sul ruolo del giornale e del gruppo che lo promuove nell’autunno caldo è tratto dal primo volume dedicato da Marco Scavino alla storia di Potere operaio (Derive e approdi)
L’organizzazione del lavoro politico che stava attorno al settimanale «La Classe» è la stessa che ora si presenta sotto la testata di «Potere Operaio». A parte le ragioni puramente tecnico-editoriali di questo cambiamento, va detto chiaramente che esiste un salto dal discorso portato avanti con «La Classe» a quello che si intende impostare con «Potere Operaio». Non è un salto determinato in astratto, ma provocato dal livello delle lotte e in primo luogo dalle urgenze d’organizzazione.
Si apriva così l’articolo di presentazione del nuovo settimanale, che iniziò a uscire alla metà di settembre: tentando di spiegare le ragioni per cui si era ritenuto necessario chiudere l’esperienza di «un giornale di mera informazione sulla lotta e sull’intervento» e dotarsi di uno strumento con il quale «dire sino in fondo ciò che ne “La Classe” era solo implicito, e cioè che il problema che oggi vogliamo, dobbiamo risolvere è quello dell’organizzazione».
Il ruolo di Scalzone
La decisione di procedere a questo passaggio era stata presa nell’incontro di inizio agosto a Firenze, ma il progetto del nuovo giornale si concretizzò nelle settimane seguenti, in alcune riunioni svoltesi a Bologna, a Roma e infine a Milano, agli inizi di settembre, quando si optò definitivamente per il recupero della “vecchia” testata veneto-emiliana già registrata nel ’67 a Modena (il direttore responsabile quindi era Tolin). Per una scelta politica, inoltre, la redazione fu impiantata a Milano (anche se la stampa sino alla fine dell’anno avvenne a Roma) e a farsene carico dal punto di vista organizzativo fu ancora principalmente Scalzone, che da quel momento – di conseguenza – si trasferì a vivere nel capoluogo lombardo.
I problemi organizzativi
Le difficoltà erano notevoli, dato che non si poteva più contare su un editore (l’esperienza con Vita era stata davvero un’occasione unica e irripetibile) e che i mezzi a disposizione del gruppo erano scarsissimi. Ciò non di meno, le esigenze dell’intervento politico erano talmente pressanti, in quel momento, che il giornale fu realizzato in pochissimo tempo. Quando «Potere operaio» iniziò le pubblicazioni, infatti, la situazione era radicalmente cambiata rispetto a poche settimane prima: si era ormai aperta (anticipatamente, rispetto alle previsioni) la stagione dei rinnovi dei contratti nazionali di lavoro).
L’inizio delle lotte autunnali
L’11 settembre c’era già stato il primo, riuscitissimo sciopero generale dei metalmeccanici proclamato dai sindacati e l’intero quadro dello scontro di classe stava rapidamente assumendo caratteristiche del tutto nuove. Il che, dal punto di vista del gruppo, rendeva sempre più stringenti le questioni sollevate all’interno del movimento prima della pausa estiva
Se da un lato si poteva dire che da maggio a luglio le avanguardie operaie autonome avessero avuto la direzione politica delle lotte, grazie soprattutto a quanto era accaduto alla Fiat, dall’altro le loro forme di organizzazione risultavano assolutamente inadeguate a reggere i livelli di scontro prevedibili nell’autunno, rischiando di limitarsi alla gestione delle lotte fabbrica per fabbrica, alla crescita dell’insubordinazione operaia di massa, («un dato ormai acquisito nei comportamenti di lotta degli operai italiani»), laddove l’ampiezza dello scontro contrattuale richiedeva ben altri strumenti di intervento politico, se si voleva battere la gestione sindacale delle lotte e impostare un discorso di tipo rivoluzionario: «su questi punti – sosteneva il giornale – il Convegno di Torino ha detto una parola che ci sembra definitiva, ma non ha fatto un passo oltre».
Lo scontro politico nei “gruppi”
D’altra parte, era evidente che nel convegno torinese il progetto politico del gruppo avesse subito una battuta d’arresto e che non fosse semplice capire come rilanciarlo concretamente all’interno del movimento. Tanto più che, proprio in quel periodo, nell’assemblea operai-studenti di Torino si consumò la rottura definitiva con la componente legata al movimento studentesco e al Potere operaio toscano; una rottura che, per la verità, «Potere operaio» sembrava non aver messo in conto (ancorché fosse nell’aria da tempo), o che forse non riteneva dovesse necessariamente compromettere il carattere unitario di quell’esperienza, così come non lo avevano compromesso sino a quel momento le pur vivaci polemiche esistenti tra le sue diverse anime.
La crisi dell’Assemblea
L’uscita del nuovo giornale, in questo senso, non implicava di per sé una discontinuità sul piano del lavoro politico di massa (su questo l’articolo di presentazione era stato chiarissim), né il gruppo che vi faceva riferimento aveva alcun interesse al venir meno dell’intervento unitario alla Fiat, al quale infatti continuò a prendere parte anche dopo la riapertura delle fabbriche.
A provocare la crisi dell’assemblea (o quanto meno ad accelerarne i tempi) fu invece la proposta «di dar vita a un giornale nazionale» che fosse «f espressione delle avanguardie Fiat e il punto di raccordo degli altri nuclei organizzati di studenti e operai», e che doveva necessariamente «chiamarsi “Lotta Continua”, per sottolineare la continuità tra la straordinaria esperienza di massa della Fiat e la nuova proposta nazionale».
La forzatura del giornale “unitario”
La proposta, che era nata nell’ambito del confronto sempre più stringente fra il gruppo toscano e alcuni settori del movimento studentesco, iniziò a essere discussa nelle riunioni dell’assemblea agli inizi di settembre (a sostenerla erano tra l’altro alcuni dei quadri operai più rappresentativi) e suscitò «immediatamente forti obiezioni» da parte delle altre componenti, in particolare dei militanti de «La Classe» (ancora indicati così in quel momento), che «si oppongono strenuamente all’uso della testata unitaria di “Lotta Continua” per un progetto che, a questo punto, assume un carattere di parte».
Lo strappo a metà ottobre
Ne nacque un «periodo burrascoso». in cui i rapporti divennero sempre più tesi e le discussioni sempre più violente; finché nella seconda metà di ottobre, preso atto della determinazione con cui si stava procedendo alla nascita di «Lotta continua» (le pubblicazioni iniziarono il l° novembre), si arrivò allo strappo definitivo, con l’uscita dall’assemblea operai-studenti dei militanti di «Potere operaio» (nel frattempo aveva iniziato a uscire il giornale) e di altri raggruppamenti minori.
Va detto comunque che il gruppo, pur prendendo parte sino all’ultimo alle discussioni dell’assemblea torinese, non lo fece certo per difendere quell’esperienza di lavoro politico unitario in quanto tale.
L’organizzazione permanente della lotta
Sul tema dell’organizzazione, anzi, il giornale ribadì costantemente – fin dal primo numero – la necessità di superare «i limiti della “lotta continua”», di andare oltre le pur fondamentali acquisizioni dei mesi precedenti troppo legati a una “lotta” quotidiana per la propria “crescita” in fabbrica e oggi non si trovano preparati ad assumere una funzione [ … ] per l’organizzazione sociale della lotta».
Nell’elaborazione politica di «Potere operaio», in altre parole, era presente sin dagli inizi – come tratto caratterizzante del progetto che il giornale si impegnava a sviluppare nel movimento un giudizio per cui i comitati e le altre forme di organizzazione autonoma di classe avrebbero dovuto assumere un ruolo più ampio e impegnativo: «ieri il problema era quello dell’organizzazione della singola lotta, oggi il problema è quello dell’organizzazione permanente, comunicata, coordinata della lotta».
Un problema politico più generale
Sicché la crisi dell’assemblea operai-studenti di Torino, al di là delle polemiche sull’uso dello slogan “lotta continua” per un progetto politico «di parte» (e malgrado le difficoltà che nell’immediato ne derivarono sul piano dell’intervento alla Fiat), fu vissuta come parte di un problema politico più generale, che non riguardava questo o quel comitato, ma le forme di organizzazione dei movimenti di classe nel loro complesso:
«È questo il salto organizzativo materiale che i “comitati di base” devono compiere [ .. . ]: uscire dalla dimensione “minoritaria” e isolata della singola fabbrica, per riuscire a imporre al movimento [ … ] una continuità attorno a obiettivi generali di massa e dare indicazioni politiche e di organizzazione pratica in direzione dello scontro di massa».
Il riconoscimento del valore politico delle lotte
Era evidente che se «Potere operaio» insisteva così tanto su questo tema era per sottolineare come la situazione creatasi con l’inizio delle lotte contrattuali fosse infinitamente più complicata di quella che nei dodici mesi precedenti aveva visto protagoniste le avanguardie autonome di fabbrica, soprattutto alla Fiat, alla Pirelli, al Petrolchimico di Marghera.
Certo: il giornale non aveva dubbi sul valore, in sé, di quelle lotte («milioni di operai metalmeccanici, chimici, edili, trovano finalmente il terreno adatto a rovesciare addosso a padroni, stato e sindacati la loro forza politica di classe») né sul fatto che l’autonomia dei comportamenti operai fosse irriducibile a qualsiasi forma di controllo e di mediazione istituzionale, e che quindi quelle lotte avrebbero avuto inevitabilmente conseguenze politiche dirompenti.
Un bilancio decisamente problematico
Al tempo stesso, tuttavia, è significativo che nei primi numeri, al di là del tono sempre molto enfatico con cui ci si riferiva alle lotte e ai comportamenti di massa degli operai, il bilancio fosse decisamente problematico. Inizialmente, infatti, il gruppo era sembrato davvero convinto della possibilità (non con le sue limitatissime forze, ovviamente, ma attraverso le forme organizzate dell’autonomia di classe) di sottrarre ai sindacati la direzione politica del movimento, di far passare a livello di massa una linea di unificazione delle lotte e degli obiettivi rivendicativi, di creare – in ultima analisi le condizioni per un’immediata generalizzazione (e politicizzazione) dello scontro sociale.
Ci aveva anche provato, là dove era in grado di farlo (cioè a Marghera), proponendo a settembre (quando i sindacati avevano proclamato i primi scioperi per i contratti), insieme ad altri gruppi di movimento, «l’apertura simultanea e immediata di tutte le lotte contrattuali per tutti i settori, con lo sciopero generale immediato» contro la «dichiarazione di guerra» fatta a Torino dalla Fiat con le sospensioni di massa. (1-continua)
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