20.1.78, Prima Linea uccide l’agente Dionisi alle Murate

Fausto Dionisi, viterbese, 33 anni, agente di polizia fu ucciso da un commando di Prima Linea. L’omicidio avviene nell’assalta al carcere delle Murate per fare evadere quattro detenuti politici.
Un piano complesso
Verso mezzogiorno una donna molto giovane suonò il campanello dell’alloggio di servizio adiacente alle Murate. Qui abitava il maresciallo responsabile della vigilanza della struttura penitenziaria. Con uno stratagemma si fece aprire la porta dalla moglie del sottoufficiale e, minacciandola con una pistola, fece entrare altri due giovani, che subito cominciarono a segare le sbarre di una finestra che si affaccia sul cortile interno del carcere. Nel frattempo i due detenuti Renato Bandelli, esponente delle Unità Comuniste Combattenti, e Franco Jannotta, militante del collettivo Jackson terminarono un identico lavoro, cominciato di buon mattino. Nel piano era coinvolto un altro militante delle Ucc e il torinese Iemulo, un qiadro di Prima Linea catturato a dicembre a Firenze nel corso di una rapina.
Stavano finendo di segare le sbarre di una finestra della cella in cui erano rinchiusi. Il piano del commando era evidente: aprire una via di fuga ai due detenuti attraverso l’appartamento del maresciallo, dopo aver divelto le sbarre della finestra che dava sul cortile. In quel frangente, una pattuglia della Volante, composta da tre agenti, giunse davanti al carcere e si trovò di fronte i componenti del commando a cui erano affidati i compiti di copertura del gruppo di fuoco. I due terroristi, uno armato di mitra e l’altro di rivoltella, improvvisamente aprirono il fuoco contro gli agenti.
La cattura dei responsabili
Fausto Dionisi, colpito in pieno petto, si accasciò al suolo morendo poco dopo, appena trasportato in ospedale. La guardia Dario Atzeni, colpito da quattro proiettili all’altezza dell’inguine, verrà salvato dopo un disperato intervento chirurgico. Il terzo agente, fortunatamente illeso, rispose al fuoco dei terroristi, che gli lanciarono contro una bomba a mano riuscendo a fuggire. La responsabilità dell’attacco fu attribuita a Prima linea e pochi mesi dopo i membri del commando vennero arrestati, insieme agli ideatori dell’azione ed ai dirigenti del movimento, che fu smantellato.
La rivendicazione un anno dopo
L’organizzazione si assumerà la paternità del fatto solamente un anno dopo, in un volantino distribuito durante l’irruzione nell’agenzia di stampa Manzoni a Firenze, in cui si puntualizzano molte imprecisioni che si erano accumulate circa l’attribuzione a Pl di alcuni episodi o di alcuni militanti.
Rispetto alle Murate scrive «nel febbraio scorso soltanto un caso fortuito ha impedito ad un gruppo di fuoco della nostra organizzazione di liberare dal carcere fiorentino dei militanti comunisti. Per motivi che non intendiamo neanche ora rivelare al nemico ritenemmo allora di non rivendicare direttamente l’operazione; a fronte però delle ripetute provocazioni nei nostri confronti e del tentativo di coinvolgere in questo episodio tutti i compagni arrestati in questo anno a Firenze ci assumiamo tutte le responsabilità politiche e militari dell’attacco alle Murate e dello scontro a fuoco vincente di via delle Casine»,
Il caso D’Elia
Un episodio “minore” degli anni di piombo, tornato alla ribalta quasi 30 anni dopo. Perché fra gli organizzatori del piano – secondo l’accusa – figurava Sergio D’Elia, allora esponente di spicco di Prima Linea. Arrestato nel maggio del ’78, lo condannano per concorso in omicidio, in qualità di mandante, a 30 anni di reclusione, poi ridotti a 25 in appello ed infine dimezzati in applicazione della legge sulla dissociazione dal terrorismo e per altri benefici di legge, venendo scarcerato dopo dodici anni. Dal 1993 D’Elia milita nel Partito Radicale e fonda l’associazione “Nessuno tocchi Caino”. Nel 2000 ottiene la riabilitazione, con sentenza del Tribunale di Roma. Nel 2006 entra nel Parlamento Italiano quale deputato del partito Rosa nel Pugno. Gli affidano l’incarico di Segretario della Camera dei Deputati. E la cosa, ovviamente, fa infuriare forcaioli e irriducibili del partito della vendetta.
Gli aggiornamenti
Prima Linea e il fronte delle carceri
In Toscana, il 12 dicembre 1977, alle porte del capoluogo un posto di blocco intercetta due militanti di Prima Linea che hanno appena effettuato una rapina: sono il torinese Raffaele Iemulo e Giorgio Pernazza, studente di architettura. Tra ottobre e novembre sono arrestati alcuni dirigenti nazionali, Roberto Rosso e Massimo Libardi a Milano, Sergio D’Elia a Firenze. Con questa scia di arresti acquista sempre peso maggiore il tema della repressione e diventa centrale il terreno di scontro del carcere, con due importanti iniziative a Torino e a Firenze.
L’attentato alle Vallette
L’attentato dinamitardo al penitenziario in costruzione delle Vallette a Torino, alla vigilia di Natale, ma soprattutto nel tentativo di evasione da quello fiorentino delle Murate il 20 gennaio 1978. Un rapporto privilegiato con il carcere, quello della sede torinese, che l’anno successivo metterà capo una vera e propria “campagna”. Una delle organizzatrici, Silveria Russo ricorda come «la scelta del giorno in cui l’azione ha un valore simbolico: è il 24 dicembre, vigilia di Natale, e noi volevamo ricordare così compagni da poco arrestati in altre città e che erano molto conosciuti nel movimento di Torino. Incomincia qui esplicitamente quell’ideale raccordo coi detenuti, che sarà presente in tutta la nostra storia e che spesso sarà la ragione unica della scelta di resistere e continuare ad operare», Iemulo, appunto ma anche il valsusano Stefano Milanesi, arrestato il 18 dicembre a Napoli, dopo un attentato a una caserma dei carabinieri.
Un progetto audace
“Se l’attentato alle Vallette – spiega Andrea Tanturli – deve testimoniare la perizia dell’organizzazione, andando incontro in verità a un mezzo fallimento, la seconda operazione si pone se possibile a un livello ancora superiore. L’audacia del progetto, esteso a tutte le sedi, è notevole così come raffinata la preparazione. Se riuscita, l’operazione non avrebbe solo liberato Iemulo e altre tre detenuti (uno dei Nap e due delle Ucc), ma avrebbe innalzato a dismisura il prestigio dell’organizzazione e dimostrato che dal carcere si poteva ancora fuggire. Le Murate per la giovane Pl avrebbero potuto assumere il valore che per le prime Br aveva assunto l’evasione di Curcio dal carcere di Casale Monferrato.
Firenze non è Casale Monferrato
Le Murate però non sono il piccolo carcere di provincia dove Mara Cagol si era introdotta praticamente senza colpo ferire; alle difficoltà insite nell’operazione si aggiunge l’imponderabile, con un passante che per caso riconosce il furgone di un amico rubato per l’azione e avverte le forze dell’ordine. L’evasione fallisce e nel conflitto a fuoco che ne consegue muore l’agente di polizia Stefano Dionisi. La guardia Dario Atzeni, colpito da quattro proiettili all’altezza dell’inguine, verrà salvato dopo un disperato intervento chirurgico. Sarà la prima, unica e non pianificata morte per mano di un’organizzazione armata a Firenze; una morte che Pl, fedele al suo approccio ancora differenziato all’omicidio politico, per il momento preferisce non rivendicare.
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