Nel decennale della morte di Prospero Gallinari, riedita l’autobiografia

I funerali di Prospero Gallinari, il leader delle Brigate rosse morto dieci anni fa

Dieci anni fa, il 14 gennaio 2013, Prospero Gallinari moriva a Reggio Emilia. Colpito dall’ultimo e definitivo malore cardiaco, venne trovato nei pressi della sua abitazione, riverso al volante dell’automobile. Era agli arresti domiciliari per motivi di salute. Come ogni giorno, si apprestava a recarsi nella ditta dove aveva il permesso di lavorare svolgendo mansioni di operaio.
Ai suoi funerali presenziarono molte persone. Vecchi militanti delle Brigate Rosse, anziani esponenti del movimento rivoluzionario italiano, tanti emiliani che lo avevano conosciuto da giovane, e tanti giovani che avevano imparato a rispettarlo ascoltando le sue interviste, e leggendo il suo libro di ricordi intitolato Un contadino nella metropoli.

Sembrò e fu veramente un funerale di altri tempi. Una testimonianza di unione, e una occasione per legare insieme passato, presente e futuro, nel ricordo di un uomo la cui integrità era assolutamente incontestabile. La circostanza disturbò parecchio. Piovvero dichiarazioni di condanna e fioccarono persino denunce. Come si era potuto pensare di seppellire quel morto in quel modo? Ci sono cose, nel nostro paese, che non si devono fare. Scoperchiare l’infernale pentola della storia, come la chiamava Marx, può essere pericoloso. LEGGI TUTTO

Così comincia l’introduzione alla nuova edizione del suo libro di memorie, pubblicato per l’occasione. In appendice due documenti politici di bilancio storico scritti negli anni 90 che portano la sua firma insieme a quella di altri ex appartennenti alle Brigate rosse con cui Gallinari aveva condiviso impegno e discussione politica dentro le Br e poi negli anni che hanno seguito la chiusura di quella esperienza

Per approfondire

Una duplice testimonianza di Oreste
Scalzone: una persona grande e gentile

Il 19 gennaio Oreste Scalzone, in partenza per i funerali a Reggio Emilia (dove rilascia la dichiarazione video a 24Emilia) scriveva questo epicedio, pubblicato allora da Paolo Persichetti nel suo blog Insorgenze.

E così, il “contadino nella metropoli”, se n’è andato anche lui. Sempre, di “un uomo che muore”, si potrebbe venire a dire tutto un concatenamento, una matassa anche aggrovigliata di cose, più o meno ‘rapsodicamente’ e senza l’assurda pretesa di poter racchiudere chicchessìa in un giudizio, una biografia, un ritratto.
Qui, tanti approcci possibili : “Prospero come Prospero”, la persona; Prospero nei contesti, sincronicamente e diacronicamente; Prospero e le mutazioni d’epoca, di “spirito del tempo”, Zeit Geist; Prospero nella lunga onda lunga, onda alta della sovversione, nei movimenti che nelle cronologie possiamo periodizzare come seguìti al Sessantotto, e chiamare “Sessantotto lungo”, lungo un anno, un lustro, e poi due, e più; Prospero uno di noi in senso largo quanto si può, dando per buone in generale le auto-certificazioni; Prospero e i più strettamente “suoi”; Prospero e nojaltri in senso stretto; e in tanti potremmo scrivere di “Prospero e io”.

Si potrebbe per esempio cominciare da un Brecht in cui aveva trovato qualcuno che gli dava voce: tra l’Elogio dell’agitatore nella cassa di zinco e l’Ode del lavoro clandestino – «Bello è / levare la voce nella lotta di classe»…
Si potrebbe cominciare dal riaffiorare di ricordi, remoti, recenti… Ma la rapsodìa diverrebbe troppo lunga.
La vita che tira per la giacca, strattona, la vita ‘che tossisce tutta la notte e non vuol lasciarti dormire’, le voci che sopravvengono incessanti spintonandosi accavallandosi, fatti e cose, sussurri e grida, chiamate, perentorie domande, interrogazioni, replicate da echi, mutazioni mutanti e mutagene, variazioni su tema, che insorgono come voci-di-dentro : così il , così, anche così si autodivora, tempus fugit, si restringe, fugge, sfugge, si consuma – il tempo, manca.
Nel dispotismo, insomma, crudele della misura del tempo, crono-metrìa, , non c’è spazio più di tanto per piangere su noi stessi, che ad ogni addìo ci sentiamo un po’ più soli, e dobbiamo apprendere a elaborare il lutto della nostra mortalità di esseri di , specie di esseri parlanti, la cui singolarità – che è innanzitutto il “sapersi” e il “sapersi sapere”, a cominciare dall’inferenza della mortalità e dell’alterità, sé/altro: conoscenza/dannazione, ché conoscere implica separazione, distinzione, divisione, strappamento –, la cui peculiarità è il guardarsi vivere sapendosi morir[n]e, strappati alla pienezza di un presente attanagliato dai tempi che lo riducono a una linea sottile inconsistente, come a zero. LEGGI TUTTO

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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