Quattro amici in trattoria: Morando ricorda GianCarlo Calidori

Quest’anno, d’accordo con Anna Di Vittorio, ho deciso di dedicare il post del 2 agosto non al ricordo del fratello Mauro ma a suo marito GianCarlo Calidori, l’eroe civile che ci ha lasciato a gennaio umt.
Conoscevo la storia di Mauro Di Vittorio solo sommariamente, per averne letto su questo blog e su quello di Paolo Persichetti, ma non in maniera sistematica. Ho sempre seguito le vicende legate alla strage di Bologna, pensando però di non occuparmene mai in un libro: troppo complicata la questione giudiziaria, soprattutto troppo divisiva.
Una tempesta di merda
Me ne ero accorto quando un paio di anni fa, su Facebook, venne pubblicata una lettera aperta con il sottoscritto come destinatario, in seguito a una mezza frase che avevo pronunciato in un collegamento online durante una diretta Fb di “Dark Side – Storia segreta d’Italia” che con Bologna, di per sé, neppure c’entrava: la puntata riguardava l’Ufficio Affari riservati del ministero dell’Interno e del coinvolgimento di Federico Umberto D’Amato nell’inchiesta mandanti allora si sapeva ancora poco o nulla. Risposi civilmente, ma puntigliosamente. E nel farlo sbagliai, perché venni travolto da qualcosa di simile a una shitstorm. Di lì la determinazione di starmene il più lontano possibile dalle tifoserie contrapposte.
La richiesta di Feltrinelli
Poi però il 6 aprile dello scorso anno, poche ore dopo la lettura della sentenza Bellini/mandanti, mi contattò via mail Carlo Feltrinelli, proponendomi di scrivere un libro sulla strage di Bologna. Era pomeriggio. Ci pensai qualche ora, gli risposi a sera tardissima. E accettai. In quella mezza giornata mi era tornata in mente la vicenda di Mauro. E fin dal quel momento avevo iniziato a ragionare su come farla rientrare in un’ipotesi di libro. Quando contattai la sorella Anna Di Vittorio, era il 26 aprile, ancora non immaginavo che quella storia sarebbe diventata l’intera seconda parte di “La strage di Bologna. Bellini, i Nar, i mandanti e un perdono tradito”.
Un incontro a Tor Pignattara
Ci vedemmo a Roma il 6 maggio, era un venerdì. Arrivavo in treno da Trento, ritardi permettendo l’appuntamento era attorno alle 12.30-12.45 davanti a una trattoria di Tor Pignattara. Ferrovie Italiane, una volta tanto, non frappose ostacoli. E quando il taxi da Termini mi depositò nel luogo indicatomi da Anna, che mi aspettava fuori, suo marito Giancarlo era già seduto a un tavolo nel cortiletto del locale. Non ci avevo mai parlato prima. Il treno di ritorno partiva alle 17.50, era l’ultimo per Trento. Avevo pensato: meglio stare larghi, con il traffico di Roma. Ma anche questo fu collaborativo, visto che solo alle 17 passate mi accorsi improvvisamente che ora fosse e, precipitosamente, dovetti chiamare un taxi sperando che arrivasse a tempi di teletrasporto, e che con gli stessi tempi riuscisse a riportarmi in stazione. Come in un allineamento di pianeti, accadde e riaccadde. Evidentemente era destino che la storia di Mauro Di Vittorio, di sua sorella Anna e di Giancarlo Calidori venisse raccontata.
Il tempo volò in trattoria
Il tempo volò, quel giorno, tra portate, vino e sigarette, una dietro l’altra. Anna e Giancarlo, parlando, si passavano continuamente la palla, soccorrendosi a vicenda dove la memoria dell’uno o dell’altra non arrivava. Con noi c’era anche Sara Poledrelli, amica bolognese trapiantata a Roma, pure lei ossessionata dalla strage di Bologna e come me da tempo in contatto con Anna. Avevo chiesto il permesso di registrare la conversazione, ma mi dimenticai ben presto dell’apparecchio, perché quasi subito il nostro incontro sembrava quello tra quattro amici che conoscevano da tempo. E in effetti, avendo condiviso parallelamente ore e ore di letture sugli stessi temi, la consuetudine appariva naturale.
Il testo della piccola storia ignobile
Non starò ora qui a rievocare le tante telefonate con Anna e Giancarlo che puntellarono quella mia estate dello scorso anno, per avere chiarimenti e soprattutto documenti (l’epistolario che ebbero con Mambro e Fioravanti). Dico solo che la loro storia mi aveva talmente “preso” al punto di iniziare la scrittura del libro, un po’ incongruamente, dalla seconda parte, per dedicarmi alla vicenda giudiziaria – la metà iniziale – solo successivamente. A fine agosto, terminata la prima stesura del tutto, inviai ad Anna e Giancarlo la sola bozza della “Piccola storia ignobile” che li riguardava (l’inevitabile titolo gucciniano con cui avevo pensato di titolarla), per verificare se c’erano errori, imprecisioni o mancanze. E chiedendo loro un breve commento con cui concludere il libro. Mi arrivò a stretto giro, era bellissimo: in quelle righe c’era tutto Giancarlo. Le riporto qui integralmente, così come le ho pubblicate.
Il messaggio di GianCarlo Calidori
«Paolo carissimo, è sempre molto difficile, per noi due, tornare a “quel passato che non potrà mai passare”. È impossibile, per noi, negare di essere stati delusi e amareggiati da questa esperienza: e non parliamo solo della strage ma, soprattutto, di quanto è avvenuto dopo. Le cose sono andate così. E chi siamo, noi due, per condannare chi ha voluto tradire il nostro “impegno civile”? Alcuni dicono che chi tradisce una volta tradisce sempre. Quanto a noi, nella vita si è come si è. Siamo stati ingenui? Può darsi. Meglio ingenui che prevenuti. Saremo anche di sinistra. Ma abbiamo sempre e soltanto maneggiato libri e mai armi da fuoco. È tutto finito? Ma no, ricominciamo daccapo. Continuiamo a cercare, e troviamo ciò che conta: scordato strumento, cuore. C’è sempre un cuore, in qualche parte del mondo, aperto alla speranza».
L’uscita del libro
Il libro è poi uscito il 17 gennaio di quest’anno, il giorno prima ho sentito Giancarlo per l’ultima volta. La voce era affaticata, ma era felice di poter stringere in mano la copia del libro che gli avevo fatto recapitare dall’editore prima della pubblicazione. Gli era arrivato sei giorni prima, Anna mi aveva inviato foto della busta del corriere e del suo contenuto, scrivendomi così: «Una grande commozione. Spero faccia bene a Giancarlo, che sta molto male». Appena otto giorni dopo, il 25, Giancarlo ci ha lasciati. Non sono riuscito a partecipare al funerale, per serie ragioni familiari: ma c’ero con la mente e con le parole, quelle che ho scritto commosso anche a nome di Ugo, Paolo e Sandro Padula e che sono state lette durante la cerimonia. Soprattutto, però, oggi in me vive l’orgoglio di essere riuscito a fare in modo che Giancarlo, prima di andarsene, abbia potuto stringere in mano il libro con cui, oltre raccontare la storia sua, di Anna e di Mauro, ho cercato di rendergli giustizia.
L’enormità della cosa
In questi mesi di presentazioni un po’ in tutta Italia (purtroppo però non ancora a Roma, la città che è di Anna e che è stata di Giancarlo fin dagli anni dell’università), quando racconto per filo e per segno del “perdono” donato a Mambro e Fioravanti e da questi vergognosamente tradito, mi sono ritrovato ogni volta a pronunciare la medesima frase, sempre un po’ turbato dal silenzio del pubblico: «Non so se cogliete l’enormità della cosa». E ogni volta il brusio e i puntuali mormorii di chi assiste mi convincono che, ancora una volta, mi stavo sbagliando: certo che l’enormità era stata colta, quel silenzio era semplicemente un silenzio partecipato e incredulo di fronte a una storia, appunto, ignobile. E neppure tanto piccola, a giudicare dallo sdegno degli ascoltatori, finalmente tangibile. Ovunque si trovi ora, sono certo che Giancarlo, sentendomi dire sempre quella frase, scuota ogni volta la testa sorridendo. E pensando a una battuta delle sue.
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