7 maggio 1954: nasce a Bari l’ “ultimo brigatista”, Raffaele Fiore
La storia di Raffaele Fiore, l’ultimo brigatista, raccontata ad Augusto Grandi, è una di quelle che fa impazzire complottisti e cultori dei misteri di Italia. Un operaio meridionale a via Fani e poi nell’Esecutivo delle Brigate rosse. Come è possibile? Alla fine tentano pure di metterlo in mezzo, forzando un’intervista su via Fani in cui tentano di fargli avallare le presenze “estranee” quando banalmente aveva detto che non conosceva gli irregolari della colonna romana presenti nel commando. Hanno scelto la persona sbagliata …
Mai pentito, mai dissociato, una lotta armata mai rinnegata: questo è Raffaele Fiore. È la prima volta che racconta, che parla. Alle sue spalle c’è un ergastolo. Ora è in libertà condizionata a Sarmato, in provincia di Piacenza, dove lavora per la Cooperativa Sociale Futura. Fiore è un uomo alto, pesante, quasi goffo, con un gran nasone. Lo ascolti e pensi che abbia sbagliato vita. Lo ascolti ancora e pensi che la rifarebbe.
C’è un determinismo storico nei suoi ricordi, una sorta di copione da cui – sembra – non si può fuggire. L’infanzia povera a Bari vecchia. La fabbrica come emancipazione. L’arrivo alla Breda di Milano. Il lavoro come prigione, l’operaio massa che sogna di diventare protagonista della storia, il sindacato puro e duro come scuola di ideologia, il clima del tempo, la curiosità verso i compagni che fanno la rivoluzione, l’arruolamento nelle Brigate rosse, i compagni arrestati e quelli che muoiono, la prova del fuoco, l’assassinio, l’arma che uccide il vicedirettore della Stampa Carlo Casalegno e il ritorno a casa come nulla fosse. La carriera nella colonna torinese, l’arrivo a Roma per massacrare la scorta di Moro, l’arresto, il carcere, il silenzio e una vita senza perdono. La certezza di aver perso, ma di avere ancora delle ragioni: «L’Occidente è una civiltà in decadenza. Sul piano dei valori non ha nulla da dare, non è un modello esportabile o da copiare. Una variante della cultura occidentale, quella identificabile con l’impero sovietico, è implosa. Il sistema americano difficilmente imploderà, al massimo esploderà, ma ci vogliono nuovi sogni perché ciò accada, meno pindarici dei nostri».
L’errore delle Br fu pensare di interpretare un sentimento comune, quasi a dire: la storia è dalla nostra parte. Fu questa illusione a dannare Fiore: «Ritenevamo che i concetti che diffondevamo trovassero rispondenza tra coloro a cui erano destinati. Lo sentivamo. Il nostro agire lo percepivamo come corpo estraneo rispetto all’insieme del movimento».
Ecco. Questa è la chiave che porta al terrore. Spari alla divisa, al nemico, e cancelli l’uomo: «Finisci per massacrare il tuo universo emozionale». Trent’anni dopo, sostiene Raffaele Fiore, chiedere perdono è quasi inutile: «Io non ho mai voluto avere rapporti con i familiari delle vittime perché lo ritengo inutile e ipocrita. Che cosa puoi dire a una persona a cui hai rubato gli affetti?»
Fonte: Vittorio Macioce, Il passato indelebile dell’ultimo brigatista, Il Giornale
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