28 ottobre 1979: un razzo uccide in curva nord Vincenzo Paparelli

Vincenzo Paparelli, 33enne tifoso della Lazio, moriva il 28 ottobre 1979 allo stadio Olimpico, dopo essere stato colpito da un razzo, poco prima del derby Roma Lazio
Nella catastrofe dell’umano degli anni ’90 certe curve di stadio come molte piazze sono diventati i catalizzatori di una violenza sociale profonda.
Solo occasionalmente, e talvolta per caso, ha assunto i caratteri propri della violenza fascista. Certo, l’hooliganismo britannico è legato allo “stile maschio violento” e forte è il legame tra club calcistici e working class.
In Italia il fenomeno ha più evidenti connotati imitativi dei movimenti politici: “Il gruppo ultrà, che pure nasce risentendo del modello hooligan inglese, è, nella sua composizione sociale, tendenzialmente più interclassista (rilevante, tra l’altro, è la presenza femminile al suo interno).
Coniuga al tipico ribellismo giovanile una vocazione politica antisistema, maturata dai gruppi politici estremisti che in quegli anni in Italia occupavano le piazze e fornivano un ottimo esempio di spirito di gruppo, durezza e compattezza.
Questa caratteristica peculiare contribuisce a far sì che il movimento ultras mutui dalla sfera politica modi agire e forme di organizzazione e si doti di strutture stabili e complesse”.
Lo slittamento a destra delle curve si determina già nella seconda metà degli anni ’80 per la convergenza del ricambio generazionale (l’eroina uccide alcuni capi storici) e del riflusso dei movimenti politici. Si diffondono comportamenti propri della criminalità sociale (il saccheggio dell’autogrill).
Con la “parallela disgregazione di molti spazi aggregativi e di socializzazione esterni agli stadi (…) si sviluppa così la tendenza a conferire maggior importanza al senso di appartenenza locale e a utilizzare sistematicamente le contrapposizioni campanilistiche”.
In un contesto di disgregazione degli spazi giovanili lo stadio diventa un luogo di socialità primaria. Del resto era nata così. Ad attirare la prima generazione di ultrà era la “partecipazione corale alle modalità espressive”.
La logica della difesa del territorio “simbolico” (ma anche materiale) della curva subentra solo in seguito. Gli scontri si estendono al di fuori dello stadio e il fenomeno degenera repentinamente.
“La seconda generazione ultras ha un maggior grado di strutturazione, pianificazione e coordinamento con un’organizzazione meno spontanea e più stabile e gerarchizzata”.
La stampa drammatizza il problema ed esaspera il sensazionalismo. Lo conferma un dato empirico: il tifoso genoano “Spagna” era solo l’undicesimo morto in 15 anni di tifo violento. un ultrà milanista nel 1995 accoltella e uccide l’ attivista del centro sociale Zapata.
Quegli undici morti
Ecco i precedenti, tutti morti tra strepiti molto minori.
Vincenzo Paparelli, laziale: lo ammazza un razzo lanciato in curva durante il derby. Per anni gli ultrà giallorossi rivendicano l’omicidio col coro beffardo: “28 ottobre giornata storta, saluti e baci a Paparelli a Prima Porta e tu laziale, testa di cazzo, in curva nord ti spariamo un altro razzo”.
Andrea Vitone, 14 anni, ritorna da Bologna-Roma e muore nell’incendio di un vagone ferroviario, appiccato dallo scoppio di un petardo, presso Civita Castellana.
Stefano Furlan (durante la partita di Coppa Italia Triestina-Udinese, febbraio 1984.
Il milanista Marco Fonghessi lo accoltella un altro ultrà rossonero: lo aveva scambiato per tifoso cremonese, ottobre 1984. La condanna per l’assassino è a 18 anni.
Il 17enne romanista Paolo Saroli, reduce dalla trasferta a Pisa, brucia in un rogo sul treno dei tifosi.
Il sambenedettese Giuseppe Tomaselli (accoltellato nel dicembre 1986 ad Ascoli),
Nazareno Filippini dopo gli scontri tra ultrà ascolani e Boys nerazzurri, nell’ottobre 1989. La sua morte porta alla ribalta la violenza degli ultras skin.
Il romanista Antonio De Falchi, 18 anni, stroncato da una crisi cardiaca dopo l’aggressione a Milano da parte di ultrà rossoneri, giugno 1989).
Il bergamasco Celestino Colombi. Lo uccide un infarto durante le cariche della polizia dopo Atalanta–Roma, gennaio 1993.
Salvatore Moschella di Acireale. Disoccupato, va a Bologna per cercare lavoro. Si getta dal treno per sfuggire alle sevizie dei tifosi messinesi, gennaio 1994.
I primi casi di violenza di stadio risalgono a inizio decennio: anche qui il protomartire è un laziale, accoltellato da napoletani in trasferta nel novembre 1970.
FONTE: Fascisteria 2a edizione /umt
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