Renato Curcio: le Brigate Rosse non sono nate clandestine
La prima azione delle Brigate rosse risale al 17 settembre 1970. Avendola già ricostruita qui, oggi vi propongo il racconto di Renato Curcio dei nodi politici del primo anno di attività della nuova organizzazione, non ancora clandestina
Dopo il convegno di Pecorile le tue intuizioni si avverarono. A Milano rapidamente cambiò tutto: Sinistra proletaria si sciolse, si formò il nucleo delle Brigate rosse, vennero compiuti i primi attentati. Ma voi agivate ancora nella semi-legalità, partecipavate a pubbliche assemblee, affittavate gli appartamenti a vostro nome: quando siete diventati un gruppo clandestino?
Circa un anno dopo. E quella di passare alla clandestinità non fu una scelta fatta liberamente, ma una strada obbligata per sfuggire al laccio che la polizia ci stringeva addosso. In pratica, diventammo clandestini perché stavamo per essere presi tutti. Ma, prima di arrivare a quella svolta, ci furono mesi densi di avvenimenti e di attività.
Il lavoro di propaganda armata nelle fabbriche. La presenza sempre più ampia negli scontri sociali dei quartieri popolari milanesi. L’allontanamento del gruppetto dei «Super-clan». Il nostro primo sequestro di persona.
Ricordo che in quel periodo non dormivo quasi mai, preso in un attivismo frenetico. Le vere e proprie azioni di «lotta armata», cioè bruciare le macchine dei capetti di fabbrica e altre cose del genere, rappresentavano una porzione minima delle mie occupazioni.
Mi hai già parlato più volte dei quartieri popolari di Milano: a quali ti riferisci esattamente e in cosa consisteva la vostra presenza lì?
I quartieri in cui prima Sinistra proletaria e poi le Brigate rosse hanno avuto più agganci sono tre. Il Lorenteggio, un vasto serbatoio proletario della vecchia Milano dove vivevano almeno centomila persone. Quarto Oggiaro, un quartiere-dormitorio sguarnito di servizi che alle otto di sera si trasformava in una landa desolata. il Giambellino, dove Margherita ed io abbiamo vissuto un certo tempo.
In queste aree si crearono delle situazioni favorevoli che andarono al di là delle nostre previsioni. Giunsero risposte entusiaste alle nostre proposte e un proliferare di richieste di lavorare con noi. A Quarto Oggiaro, per esempio, era molto pesante la presenza di bande fasciste organizzate attorno alla sezione del Msi. Controllavano intere strade del quartiere. Imponevano il coprifuoco ai ragazzi che non sottostavano alle loro pretese. Aggredivano e bastonavano i compagni e ad alcuni incisero perfino delle svastiche sulla fronte con il coltello.
Un giorno gli squadristi fecero saltare la macchina del segretario della sezione del Pci. Noi individuammo rapidamente i responsabili e facemmo esplodere a nostra volta l’auto di uno di loro, tale Artoni. Tutto il quartiere sentì il botto. Quella volta usammo il plastico, ma fu l’unica. Decidemmo infatti di non servirci mai di esplosivo perché Io consideravamo uno strumento vile, simbolo del terrorismo indiscriminato. E, soprattutto, per non confondere la nostra immagine con Io stragismo fascista e di Stato.
Iniziative di questo tipo riscossero grande successo e attirarono attorno al nostro gruppetto centinaia di simpatizzanti. Poi vennero le lotte per l’occupazione delle case che ci videro spesso in prima fila e ci procurarono altre simpatie. Insomma, in quei quartieri le prime Brigate rosse non sono certo state qualcosa di misterioso e clandestino. Conoscevamo migliaia di persone che sapevano bene quello che andavamo predicando e facendo. E che, all’occasione, ci chiamavano per esporci i loro problemi.
Il 25 aprile del ’71 e del ’72, al Lorenteggio e al Giambellino issammo sulle aste delle case popolari almeno duecento bandiere Br: rosse, con la stella gialla nel cerchio.
Erano bandiere cucite dalle mamme, le sorelle, le zie, le nonne di tanti nostri compagni del quartiere. I giornali ne parlarono, ma senza capire o voler capire. Ricordo che i cronisti, e anche i poliziotti, si chiedevano: ma che rappresentano queste bandiere che non sono del Pci, non sono dei sindacati e non somigliano a niente?
Al Lorenteggio dunque sventolano le bandiere Br e nei quartieri popolari la vostra fama si espande: questo significa anche nuovi reclutamenti e la crescita delle fila brigatiste?
Una crescita ci fu, ma quello che più ci interessava allora non era trasformare le Br in un gruppo molto più esteso e ramificato. Noi miravamo a un’organizzazione del potere rivoluzionario dal basso. Volevamo che nelle fabbriche e nei quartieri si strutturassero delle avanguardie in grado di consolidare autonomamente le loro capacità di lotta. In quel periodo eravamo tutt’ altro che degli accentratori, tant’è vero che avevamo ottimi rapporti con i militanti di Potere operaio, di Lotta continua e di altre formazioni minori.
Proprio perché non era d’accordo su questo modo «aperto» di concepire le cose, un pugno di compagni si staccò da noi per andare a formare quello che definimmo il «Super-clan», cioè il gruppetto dei super-clandestini. Un episodio minore, ma che ha dato spazio a molte fantasie. (…)
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