[La presentazione di un libro di storia sociale, opera del mio professore prediletto]
"Le abitazioni delle elites ottocentesche sono umbratili: dalle finestre entra una luce non desiderata, due ordini di tende servono a schermarla per quanto è possibile, sicché oggetti e persone restano in un chiarore pallido e fioco. Quasi una sorte di notte anomala, osserva Dolæ Sternberger. 'Che fortuna che la nostra casa guardi a nord - così le cose non si sbiadiscono! Può esclamare nel secolo del progresso una signora borghese - preoccupata per le ricche tappezzerie policrome che adornano le sue stanze'. Così Paolo Macry - nel suo libro “Ottocento” su famiglia - elites e patrimoni nella Napoli dell'800 (lo hanno presentato l'altro giorno a palazzo Serra di Cassano Pasquale Villani e Giuseppe Galasso) ci introduce negli ambienti dove quotidianamente si consuma - tra continuità e innovazione - la vicenda privata delle elites napoletane.
Al mito dell'Ottocento come momento di pieno dispiegamento del progresso Macry contrappone un tentativo di rappresentazione in chiaroscuro di un processo di trasformazione che viene letto attraverso i meccanismi di trasmissione dei patrimoni e l'intreccio tra identità sociali - comportamenti economici e ruoli familiari.
La famiglia e la vita domestica, l'insieme dei valori patriarcali e parentali che determinano le strategie familiari diventano allora una categoria interpretativa di una realtà in lenta transizione alla modernità.
I processi storici -afferma in conclusione Macry- non andrebbero mai considerati chiusi né i suoi personaggi interpretati fatalisticamente così il suo libro - che non chiude un discorso ma apre spazi di ricerca e offre possibilità di riflessione a tutto campo. La critica della letteratura ideologizzata dell'Ottocento come stagione delle magnifiche sorti e progressive dell'umanità non si ripiega infatti in una diversa e opposta riduzione.
E' difficile - ha spiegato nel dibattito organizzato dall'Istituto italiano di studi filosofici Macry- ridurre questa materia in diagrammi, collocare singoli episodi sui versanti della continuità o dell'immobilismo. Certo lo stereotipo coevo dell'ostrica e dello scoglio sembra funzionare per offrire una rappresentazione semplificata di una realtà sociale fortemente polarizzata - tra i 15mila iscritti alle liste elettorali e i 450 mila abitanti - tra i bassi tassi di consumi suntuari e la straordinaria concentrazione di ricchezze che si evince da una lettura quantitativa nei dati sulle imposte di successione laddove all'interno stesso delle classi possidenti sono i pochi a determinare la gran parte delle ricchezze immobiliari.
Così all'inizio del nuovo secolo da una popolazione per metà analfabeta si distacca un esteso gruppo con forte vocazione alla lettura: sono diversi i quotidiani che diffondono decine di migliaia di copie, migliaia di cittadini che accedono al prestito librario.
Il percorso di affrancamento della famiglia nucleare borghese, dalla logica del cognome e delle persistenze di antico regime - meccanismi di fidecommissione, legittimità sociale del privilegio della primogenitura, contrapposizione tra ramo paterno e ramo materno nei conflitti familiari, subalternità delle donne - viene seguito in tutta la sua contraddittorietà. Esemplare è a questo proposito il ruolo delle donne in questo processo.
Il culto della continuità di cognome e patrimonio, che non ha solo funzioni pratiche - trasmissione del logo o difesa dell'unità produttiva - perché in molti casi minimi si dispiega nel suo carattere puramente normativo, penalizza le donne nei meccanismi di trasmissione ereditaria. A loro spettano -infatti- quote minori e in contanti del patrimonio. La roba è del maschio: del primo figlio maschio o del nipote purché il patrimonio non si disperda. E così mentre in tanti si affannano a usare i più complessi meccanismi usufruttuari per saltare una o due generazioni e garantire una trasmissione unitaria, le donne si trovano a godere di una disponibilità di liquidi che le avvantaggia in una epoca - come quella della crisi agraria postunitaria - in cui la ricchezza immobile è fortemente danneggiata e dalla pressione fiscale e dalla rigidità rispetto alle crescenti opportunità di arricchimento che il debito pubblico e il mercato finanziario in espansione offre al capitale mobile.
Questo paradosso - che Macry sottolinea- non viene ovviamente rovesciato in un'affermazione totalizzante di segno contrario. Le donne che danno vita a una sorta di area alternativa: a una rete di comunanze e di solidarietà restano pur sempre il soggetto debole del potere.
Perché quel chiarore pallido e fioco che Macry cerca di portare a nuova luce con i colori brillanti della sua scrittura e del suo sapere non è la notte dove tutti i gatti diventano neri.
IL GIORNALE DI NAPOLI 18 DICEMBRE 1988
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