27.10.80: rivolta di Nuoro, punto di non ritorno in carcere

La rivolta di Nuoro del 27 ottobre 1980 è un punto di rottura nella realtà dei carceri speciali. E’ la fine della sostanziale unità tra detenuti politici e comuni in favore della costituzione in poteri strutturati di gruppi egemoni delle organizzazioni rivoluzionarie e criminali

rivolta di nuoro

Ottobre è stato un mese di rivolte carcerarie. Le rivolte sono scoppiate nelle “supercarceri” o carceri di “massima sicurezza”.
Il 6 ottobre alle 21,30 un’ottantina di detenuti del Mastio di Volterra prendono in ostaggio 5 guardie carcerarie e si barricano nella la sezione del carcere richiedendo:
1) la chiusura delle carceri di massima sicurezza (in particolare Asinara);
2) il trasferimento in altre carceri;
3) l’incontro con giornalisti ed avvocati. La rivolta cessa 36 ore dopo. A capeggiarla è stato il “nucleo organizzato dei prigionieri, Martino Zicchitella”, composto di 12 politici (Piantamore, Solimano, Fuga).

7 ottobre rivolta a Fossombrone

Il 7 mattina alle 9 inizia la rivolta nel carcere di Fossombrone. Quattro detenuti, tre politici (Fiore, Gasparella, Lattanzio), prendono in ostaggio tre guardie. Anche essi chiedono di non essere trasferiti in Sardegna. Gli altri detenuti solidarizzano lanciando slogan contro le supercarceri. La rivolta cessa 7 ore dopo con l’accoglimento delle richieste.

Nuoro, i detenuti rivendicano la rivolta

Lunedì 27 scoppia la rivolta più importante, quella del carcere di Nuoro, Badu ‘e Carros. Alle 7,30 una cinquantina di detenuti, politici e comuni, si impadronisce della sezione di massima sicurezza e la distrugge. Il carcere è preso d’assalto da polizia e carabinieri; ma l’assalto viene respinto dai rivoltosi con molotov rudimentali ed altri oggetti. La rivolta dura fino a mezzogiorno.

La direzione carceraria cede accogliendo le richieste dei detenuti, tra cui questo comunicato:
“I proletari prigionieri nel campo di Nuoro hanno occupato la sezione speciale, distruggendola. Con questa iniziativa abbiamo raccolto la parola d’ordine ”chiudere l’Asinara, chiudere i campi di massima sicurezza”, lanciato dai compagni di Volterra e di Fossombrone. Armati di bombe a mano al plastico abbiamo fronteggiato ripetuti assalti di agenti di custodia, carabinieri e pubblica sicurezza, riuscendo a fermarli, a farli desistere dalla loro volontà omicida, ottenendo il trasferimento dei prigionieri”.

Protagonisti di queste rivolte sono stati i militanti più in vista delle Brigate Rosse e delle altre formazioni armate. L’eccezionale concentrazione di detenuti politici nelle supercarceri ha consentito l’elaborazione di un vasto piano di lotta e la pratica di una parola d’ordine, a parte l’estremizzazione, avanzata: la distruzione delle supercarceri; e, soprattutto, la chiusura dell’Asinara.

Il ruolo delle supercarceri

Per capire l’importanza di questa parola d’ordine bisogna ricordare il ruolo delle supercarceri. Le supercarceri o carceri di massima sicurezza sono la punta più alta del sistema carcerario, il frutto della riforma penitenziaria introdotta nel 1975.
Con questa riforma lo Stato democratico ha perseguito i seguenti obbiettivi: 1) selezionare i detenuti secondo la loro pericolosità;
2) applicare ai detenuti un trattamento differenziato (individualizzazione della pena);
3) riammissione o esclusione dal consorzio sociale con l’assegnazione a questo o a quel carcere speciale.
4) assicurare la massima sicurezza con carceri inevadibili.
Le carceri speciali hanno, quindi, il ruolo di segregare (dalla società e dallo stesso carcere) ed annientare gli elementi irrecuperabili.

Detto questo si può ben capire l’importanza della parola d’ordine. “Distruggere le supercarceri” è un obbiettivo importante, partendo dalla condizione di detenzione dei reclusi delle supercarceri.
“Distruggere” le supercarceri significa limitare l’arbitrio dello Stato reazionario di segregare, separandoli dalla massa, gli elementi più combattivi e di annientarli. 
Questa parola d’ordine, depurata dalle sue implicazioni idealistiche, va quindi propagandata e sostenuta dall’esterno.

fonte: Rivoluzione comunista sud/23 novembre 1980 [organo di una frazione della corrente bordighiana]

Il regolamento di conti criminale

Nel corso della rivolta vengono brutalmente uccisi, uno strangolato, uno decapitato due detenuti comuni, il cosentino Biagio Iaquinta, il casertano Francesco Zarrillo. All’inizio sono chiamati a risponderne tutti e 50 i partecipanti ma ben presto emerge che si è trattato di un regolamento di conti interno alla camorra, consumato alla prima occasione utile. Saranno perciò condannati all’ergastolo i sei responsabili, tutte figure di rilievo, da Pasquale Barra a Marco Medda, da Cesare Chiti a Domenico Giglio per finire con i siciliani Salvatore Maltese e Salvatore Sanfilippo.

Un punto di non ritorno

In realtà la rivolta di Nuoro rappresenta un punto di rottura nella realtà dei carceri speciali e del conflitto tra detenuti organizzati e istituzione. Lo analizza nel dettaglio Emilio Quadrelli, all’ epoca prigioniero politico, in seguito ricercatore universitario di sociologia, nel suo fondamentale saggio “Andare ai resti” (Derive Approdi)

Il nuovo clima sposta l’attenzione dall’esterno verso l’interno. Un aspetto che ha ripercussioni non secondarie, ad esempio, sui mezzi e i fini con cui si organizzano e predispongono le lotte. Un buon esempio è dato dal confronto tra la battaglia dell’Asinara e la rivolta di Nuoro.

L’esperienza unitaria dell’Asinara

Nel primo caso, l’organizzazione della battaglia fu equamente condivisa da tutti i prigionieri; l’obiettivo immediato era quello di chiudere uno dei più noti lager del sistema penitenziario; la finalità strategica era quella di rilanciare un ciclo di lotte offensive dentro il circuito delle carceri speciali.

Gli attriti e i conflitti, anche di una certa asprezza, sorti a margine di questa vicenda furono, come classicamente avviene quando sulla scena politica sono presenti attori con impostazioni teoriche e ideologiche diverse, legati al cappello politico con il quale le diverse aree militanti gestirono la battaglia. Questi aspetti, in ogni caso, non inficiarono il clima di cooperazione e solidarietà unitaria tra i prigionieri. I conflitti ideologici, non a caso, scatenarono e appassionarono, com’è normale che sia, i politici, lasciando sostanzialmente indifferenti banditi e rapinatori.

Della battaglia quest’ultimi colsero unicamente la felice riuscita bellica, l’importanza dei risultati immediati raggiunti e la correttezza del modello operativo incentrato sulla cooperazione e la solidarietà. Indipendentemente dalle disquisizioni teoriche e ideologiche che sull’episodio inizieranno a prodursi, il modello operativo adottato, a ben vedere, è lo stesso che, per anni, aveva funzionato tra politici e bravi ragazzi in gran parte delle carceri.

Per questi motivi, specialmente i banditi tenderanno a considerare la battaglia come una vittoria di tutti. Un atteggiamento che riproduce linearmente quello che si è visto, ad esempio, nel corso dell’evasione dal carcere di San Vittore e che è in continuità con quello che è stato a lungo un comune modo di operare. (…)

A Nuoro decidono in pochi

Una realtà che si presenta già diversa nel corso della rivolta di Nuoro. La decisione dell’operazione, in questo caso, fu presa all’interno di ristretti gruppi di prigionieri, l’organizzazione assunse immediatamente tonalità gerarchiche, i fini erano generici, in mezzo ci scapperanno due morti e altri, perché‚ poco allineati, o per motivi ancora più futili, rischiarono seriamente di fare la stessa fine.

Nonostante le apparenti similitudini con gli episodi dell’Asinara, il “frame” è completamente mutato. Con Nuoro iniziò a prendere forma una pratica di epurazione, che presto diventerà norma, il cui scopo principale sarà quello di rendere sempre più “sana” e “sicura” la comunità. Nuoro si presentò, né‚ più né‚ meno, come un’operazione di “polizia” che tendeva soprattutto a ridisegnare la sicurezza e la lealtà all’interno dei propri confini. Un passaggio che è ben colto da P., un rapinatore torinese che ha partecipato attivamente alla battaglia dell’Asinara e si è limitato a fare da spettatore, con non poche riserve, agli eventi nuoresi.

La testimonianza di P.

Sono stato dentro sia alla rivolta dell’Asinara sia a quella di Nuoro. Sono state due cose, almeno per come le ho viste e vissute io, molto diverse tra loro, per come sono state organizzate, gestite e per gli obiettivi. Nella prima ci sono stato dentro, nella seconda mi sono limitato a stare a guardare. Non che, anche a Nuoro, i motivi non ci fossero, però era tutto l’insieme che non mi andava, non era più quella cosa di tutti, come era stata all’Asinara.

“Quali sono le differenze principali?”

L’Asinara è una cosa gestita da tutti. Nel Comitato di lotta, lascia perdere che poi i politici ci hanno voluto mettere sopra le loro cose, che comunque potevano anche starci, e a noi non davano fastidio, le cose si facevano e discutevano tutti insieme. Ognuno si prendeva le sue responsabilità. Un po’ come fuori, quando si va su un lavoro. Cioè, a me, a noi che non eravamo dei loro, quelle cose ci andavano anche bene. Ma queste non sono le cose più importanti.

Quello che contava era che tutti si è deciso di partire uniti, disposti ad andare fino in fondo, perché‚ quella situazione doveva cessare. Eravamo tutti quanti disposti a giocarci i resti e questo gli sbirri l’hanno capito subito. Infatti, dopo un paio di tentativi di cariche, dopo le prime caffettiere d’esplosivo che sono volate, hanno rinunciato. Noi eravamo disposti a morire, loro no. D’altra parte chi fosse Cardullo, ormai, lo sanno anche le pietre. Comunque era in buona compagnia, a partire da sua moglie che era peggio di lui. Questi sono fatti noti sui quali è inutile ritornare. Lì, tra noi, c’era ancora lo spirito che c’era sempre stato in carcere e fuori, forse perché‚ eravamo tutta gente che si conosceva da anni e che insieme era scappata, ci aveva provato, aveva preso botte nelle rivolte e così via. All’Asinara, insomma, ci mandavano la crema, questo aveva anche qualche vantaggio e per capirsi bastava guardarsi negli occhi. (…)

“Cosa cambia invece a Nuoro?”

Molto probabilmente tutto. Tanto per cominciare il modello. Ora non si ragiona più su chi sei, ma con chi stai o, se preferisci, a chi appartieni. Perciò un qualunque stronzo solo perchè‚ è compare a questo o a quello finisce per valere quanto me, o anche di più. Chi cazzo sia in realtà non ha più importanza. Bisogna capire che nel frattempo gli speciali si erano riempiti di appartenenti alle grosse organizzazioni, specialmente camorriste. Cosa valessero questi, io e altri ce l’eravamo data da un pezzo. Mentre noi cercavamo in tutti i modi di andarcene a casa, questi a Poggioreale tenevano gli arsenali, solo che li usavano per spararsi tra di loro, da una sezione all’altra o ai colloqui. Degli autentici geni.

Tra loro non contava tanto essere un ragazzo d’azione, ma quanti morti avevi fatto. Come se scendere da una macchina, entrare in un bar e rafficare tutti quelli che ti capitano sotto fosse chissà quale impresa. Però questi, dentro, erano ormai un numero rilevante, organizzato e pieno di soldi. Hanno fatto presto a diventare, se non i padroni, una forza che era impossibile non tenere in considerazione e che finiva con il condizionare un po’ tutto e tutti. Forse, anche se involontariamente, a favorirli sono i politici, o almeno una parte di questi. Anche loro finiscono per adottare un modello simile. Forse era inevitabile. Fino a un certo punto, comuni e politici eravamo sempre gli stessi.

I nuovi che entravano erano, in qualche modo, legati a quelli che erano dentro. Se non si conoscevano facevano parte della stessa storia, parlavano la stessa lingua e si inserivano naturalmente nel nostro mondo, semplicemente perchè‚ era il loro. Non capitava mai di non capirti. Invece, anche con i politici, succede su un altro piano quello che tra i comuni è successo con i camorristi. Io capivo ***, o *** delle B.R. o dei Nap, ma anche altri di altri gruppi, non era quello il problema, e con loro mi ritrovavo senza problemi.

Quando nel 1980-81 sono entrati tutti gli sbarbati, erano dei marziani. Lo erano per me, ma anche per i vecchi politici. Quindi anche loro hanno cominciato a ragionare in un altro modo. La rivolta di Nuoro, quindi, nasce in un modo completamente diverso. Se la decidono in pochi, ognuno perseguendo i suoi scopi.

Infatti a Nuoro ci sono anche i morti, per fortuna solo due. Qualcuno ne avrebbe fatti volentieri anche di più, perché‚ ormai stava prendendo piede il gusto della mattanza per la mattanza. In questo meccanismo ci sono finiti anche dei bravi ragazzi che si sono ritrovati, volutamente, dei morti sul groppone più per ingenuità, almeno credo, che per convinzione. Credo che, banalmente, lo speciale ci stava mandando tutti fuori di testa; ogni azione, anche la più disperata, era ben accetta perché‚ ti dava l’illusione di essere vivo.

Anche l’idea di ammazzare gli infami, anche se quanto lo fossero sul serio nessuno lo ha mai saputo, era un modo per illudersi di avere ancora uno scopo, una “chance”, mentre in realtà eri completamente sepolto vivo, e all’orizzonte non sembravano esserci molte soluzioni. In più, come sempre, c’era chi pescava nel torbido e usava queste storie per allargare e rafforzare il suo potere. Anche questa era un’illusione che non è durata molto.

“Quello che dici vale, e quanto, per i politici?”

Parecchio. Non tutti i politici, comunque, sono d’accordo. Le obiezioni che alcuni fanno sulla rivolta, e per questo rischiano di lasciarci la pelle, non sono prive di ragioni. Se dietro a queste obiezioni ci fosse anche la paura è difficile da dire, ma l’obiezione che non si poteva pensare a mettere su una rivolta come quella, con esplosivi e via dicendo, solo per rendere inagibile per pochi mesi un carcere, non era priva di senso.

Secondo me, anche i politici cominciano a rendersi conto che sono fottuti, che non ci sarà nessuna rivoluzione e che gran parte delle loro truppe sembra quasi che non veda l’ora di essere presa per tornarsene a casa. Solo che per loro l’idea del fallimento è inaccettabile, e così finché‚ hanno fiato provano a mordere. Due disperazioni che diventano una miscela più che esplosiva, pericolosa e paranoica.

“In che senso?”

Perchè‚ questo finirà per rompere ogni legame di solidarietà e amicizia, instaurando un clima di sospetto e terrore, esattamente quello che volevano gli sbirri e il potere. (P.)

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

1 Comment on “27.10.80: rivolta di Nuoro, punto di non ritorno in carcere

  1. Buongiorno signor Tassinari, mi consenta di porgerle una domamda: riuscirebbe a ‘carpire’ qualche informazione in più concernente il “pentito” Salvatore Sanfilippo? Ritengo sia un personaggio assai interessante, ma purtroppo le informazioni sulla sua persona sono scarne, per non dire inesistenti. La ringrazio anticipatamente.

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