30 giugno 1960: il racconto in tempo reale della rivolta di Genova

Ottantatré feriti e contusi a Genova in nuovi scontri tra polizia e dimostranti Dopo una cerimonia antifascista, migliaia di persone si avviano con i gonfaloni delle città medaglia d’oro verso piazza De Ferrari All’improvviso alcuni scontri accendono l’atmosfera – La Celere lancia bombe lacrimogene, i dimostranti incendiano alcune macchine e lanciano pietre, sedie e tavolini dei bar – Quattro persone sono rimaste ferite gravemente – La circolazione dei tram sospesa dalla questura per motivi di ordine pubblico – La CGIL ha proclamato per domani uno sciopero generale di 24 ore

(umt) La prima pagina della Stampa del 1° luglio 1960 offre alcuni spunti interessanti. Rivedere i grandi avvenimenti, quale fu la rivolta di Genova contro il congresso missino, attraverso la loro percezione immediata è un esercizio stimolante. L’estrema violenza degli scontri, il carattere preinsurrezionale del confronto tra dimostranti e Celere, non sono comunque ritenuti degni dal desk del quotidiano torinese dell’apertura, che resta dedicata alla politica estera (il viaggio di Krusciov a Vienna): una fotonotizia con la camionetta in fiamme regge la spalla, la cronaca ha un taglio alto a 4 colonne, il taglio basso è dedicato alle reazioni politiche romane. Una pagina peraltro sbilanciatissima, con la metà inferiore carica di piombo. Nel merito dei fatti, l’inviato Mario Fazio (appassionato difensore dell’ambiente diventerà presidente di Italia Nostra) coglie due aspetti essenziali della rivolta: il ruolo di pompieri svolto dai capi partigiani, il protagonismo dei giovani (in un’epoca in cui la categoria a stento era riconosciuta come tale) nella battaglia. Solo il giorno dopo i fatti di Genova guadagneranno l’apertura a piena pagina: 6 colonne di titolo, 3 di foto. Ma si parla delle conseguenze politiche del congresso annullato…

L’analisi di Danilo Montaldi

La cronaca della Stampa

(Nostro servizio particolare) Genova, 30 giugno. Il centro di Genova è stato oggi un campo di battaglia: barricate, camionette della polizia in fiamme, decine di feriti. Dalle 17.10 alle 19 l’urlo’delle sirene della « Celere » si è mescolato all’urlo di migliaia di dimostranti, in gran parte giovanissimi, improvvisamente scatenati per una scintilla che nessuno, probabilmente, riuscirà mai a individuare. Per quasi due ore, gli occhi brucianti per le cortine lacrimogene, abbiamo visto scontri di una violenza incredibile, esclusivamente fra agenti della « Celere » o della polizia e giovanotti, molti in tenuta da lavoro. Dai tetti e dai balconi piovevano pietre e vasi da fiori, da un elicottero arrivavano candelotti che esplodevano nelle strade e nelle piazze, risuonavano scariche di fucileria, fortunatamente a salve. Passando da una colonna all’altra dei portici dell’Accademia, ho visto veri e propri corpo a corpo fra giovani e agenti. Questi sollevarono di peso alcuni ragazzi e li bastonarono; quelli riuscirono a rovesciare una jeep: in un attimo fu una vampa, bruciò interamente a pochi passi dalla fontana di Piazza De Ferrari. Tavoli di caffè, tende, automobili private sbarravano le strade vicine. E gli urli altissimi dei giovani spingevano nuove ondate all’assalto, lanciando pietre e bottiglie come bombe a mano.
Fino al momento della lotta i dimostranti antifascisti, raccoltisi per protestare contro il congresso del msi (indetto per sabato), erano rimasti tranquilli: erano migliaia, forse trentamila, raccolti in via XX Settembre, al Sacrario dei Caduti per la Resistenza, meta di un corteo autorizzato, svoltosi in tutta calma. Quando la massa si incamminò verso piazza De Ferrari, con un flusso lento, era impressione di tutti che nulla sarebbe accaduto. I carabinieri, schierati nei pressi del Ponte Monumentale, si limitavano a osservare; qualche dimostrante più acceso lanciava invettive, ma era subito zittito: ex-partigiani con bracciale tricolore avevano fatto catena, tenendosi per mano, dividendo cosi la marcia dai carabinieri.

Sulla folla spiccava il labaro di Cuneo, con venti medaglie d’oro; uomini politici, già capi della Resistenza ligure, come il socialista Faralli, come l’avv. Cassiani Ingoni, invitavano i dimostranti ad andarsene a casa tranquillamente. Un gruppo di ex-partigiani sedette per terra, facendo cerchio sotto il Ponte Monumentale e intonando la canzone delle montagne. Davanti al Sacrario erano i gonfaloni decorati di medaglia d’oro di Genova, con valletti in costume e di Torino, scortato da due consiglieri comunali: Nicola Grosa, presidente provinciale dell’Anpi, e Matilde Dipietrantonio. Altri stendardi, di Biella, di Reggio Emilia, di Novara, dì Alessandria, di Venaria, davano un tono solenne alla manifestazione.

Poi scoppiò fulminea la battaglia. Si udirono le sirene della «Celere», attorno alla fontana di piazza De Ferrari si alzarono le prime nubi lacrimogene. La massa era già diminuita, molti se n’erano andati a casa. I rimasti accorsero di slancio e fu una lotta crudele sotto i getti d’acqua di due autobotti, quasi inutili. Eravamo là in mezzo: non possiamo dire, in coscienza, come sia avvenuto il primo scontro. La Celere era raccolta sotto i portici del palazzo della Navigazione Italia e nelle strade laterali. In zone poco distanti erano concentrati i rincalzi: in tutto forse 1500 uomini, arrivati in gran parte da altre città. I dimostranti, che avevano applaudito i carabinieri e i finanzieri disposti a presidio di altre strade (circa 2500 uomini), fischiarono e lanciarono invettive contro la Celere. Nella confusione si sentì una sirena, partì una prima camionetta, volarono i primi sassi: fu colpito alla testa un commissario di Pubblica Sicurezza, il dott. Manlio Maggio. Erano le 17,10. I dimostranti si rifugiarono sotto i portici, staccarono insegne pubblicitarie, si armarono delle seggiole e dei tavoli di quattro caffè: l’Olimpia, il Ragno d’oro, il De Ferrari e il Bardi. Seggiole, tavoli, tavolacci divelti da un cantiere, pietre e mattoni fulmineamente raccolti nei sottopassaggi in costruzione, diventarono proiettili. La «Celere» caricò con le camionette: una restò bloccata fra le colonne del Credito Italiano, alcuni ragazzi la incendiarono. Erano tre le camionette in fiamme. Automobili private in sosta furono disposte a sbarrare via Petrarca; mentre la «Celere» caricava da una parte, la massa rifluiva dall’altra.
Alle 18,45 un ufficiale dei carabinieri restò isolato sotto i portici dell’Accademia e fu restituito da alcuni portuali che agitavano un fazzoletto bianco. Il clima era di guerra civile, con le assurde situazioni che caratterizzano queste battaglie improvvise. Nella via XX Settembre, a duecento metri dalla lotta, altri dimostranti e carabinieri si fronteggiavano in silenzio, fermi. Due esili barricate a cinquanta metri dal Sacrario erano sguarnite. Dai balconi migliaia di curiosi osservavano lacrimando. I negozi e i portoni erano chiusi, ma qualche straniero riconoscibile per l’aria smarrita, ondeggiava da una parte all’altra senza capire. Andammo verso la prefettura, passando con molta difficoltà uno sbarramento di filo spinato: l’aria era irrespirabile, ma la. zona era deserta. Ci furono lunghe pause, in cui i dimostranti filtrarono fra la polizia; alcuni passanti tranquilli e alcuni giornalisti furono scambiati per dimostranti ed inseguiti dagli agenti. Poi, alle 19,10, quando una schiera di camionette rosse stava per lanciarsi ad un nuovo assalto, arrivò in piazza De Ferrari un’automobile della polizia seguita da un’automobile privata, scura.
Il vicecomandante della Squadra Mobile, dott. Costa, scortò un ex capo partigiano, Gimelli (nome di battaglia Gregorio), il quale arringò i dimostranti, invitandoli a tornare a casa. Era l’epilogo di affannose trattative, condotte mentre era ormai evidente che non bastavano più i candelotti lacrimogeni per controllare la piazza. Genova stava per ripetere le ore drammatiche del 14 luglio 1948, quando, dopo l’attentato a Togliatti, la città dovette essere riconquistata con le armi. Alle 19,30 le forze opposte si fronteggiavano in silenzio. Comparve il prefetto di Genova dott. Pianese, scortato da un funzionario con gli occhiali contro i gas lacrimogeni: arrivò a metà strada, quindi tornò indietro. C’era ancora una folla enorme guardata dai carabinieri. Poco dopo le venti altri scontri in via XX Settembre; un ragazzo di 17 anni venne ferito seriamente. Poco prima un agente della Celere era stato tuffato nella vasca di piazza De Ferrari. Poi piano piano la tensione si allentò. A mezzanotte, secondo un annuncio del questore, il bilancio è il seguente: feriti (un commissario, due ufficiali e 27 tra sottufficiali e guardie di P. S., di cui due gravi; nove dimostranti, di cui due gravi, due ufficiali e tre carabinieri); contusi 39 (quattro ufficiali e un funzionario di P. S.); arrestate 66 persone; tre camionette incendiate e distrutte; quindici automezzi danneggiati.
E’ probabile che il congresso del msi non potrà svolgersi senza nuove battaglie. Per il giorno della sua apertura è indetto un nuovo sciopero generale dalle sei del mattino alle diciotto. Gli animi sono accesi, c’è veramente il pericolo di arrivare ad altri gravi scontri. I missini restane in disparte, ma. da quanto abbiamo potuto sentire, sono rimasti sorpresi dalla violenza della reazione popolare alla scelta di Genova. Si osserva, da taluno, che questa reazione è guidata in. gran parte dai comunisti, tutt’altro che indicati a battersi contro il totalitarismo e in nome della libertà. Ma, più che le ideologie, qui contano i sentimenti: Genova ha troppo sofferto a causa dei nazifascisti e non ha dimenticato. In questa semplice ragione è il motivo principale della rivolta contro l’annunciato congresso missino, rivolta oggi uscita dai limiti previsti.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

1 commento su “30 giugno 1960: il racconto in tempo reale della rivolta di Genova

  1. sarebbe interessante che al luglio 1960 (nel sessantesimo anniversario) quantomeno sia dedicato uno speciale

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