11 aprile 1969: rivolta alle Nuove. I detenuti devastano il carcere

rivolta

Il ciclo di lotte dei detenuti contro le disumane condizioni di vita nei penitenziari comincia nel giugno del 1968. Si portano avanti parole d’ordine piuttosto avanzate sulla riforma delle carceri e contro la carcerazione preventiva. Ha una certa importanza il lavoro di inseminazione politica svolto dagli studenti arrestati per le lotte universitarie, ma anche delle centinaia di operai finiti in carcere per i picchetti o i blocchi stradali, le quotidiane pratiche di lotta in fabbrica e sul territorio a supporto delle tante vertenze, contrattuali o locali. Ma ben presto si afferma anche il ruolo di quelli che poi diverranno una specifica categoria socio-politica. I proletari prigionieri, gli illegali che hanno rotto con l’ordine borghese attraverso la pratica “criminale”.

Tra questi spicca, come leader naturale Sante Notarnicola, il bandito rivoluzionario scomparso tre settimane fa, il 22 marzo. D’altra parte si rileva un carattere episodico dovuto sia alla mancanza di organizzazione interna, sia all’importanza eccessiva dei motivi di contenuto immediato.
La rivolta parte, non a caso, dalle Nuove di Torino – che in questo primo ciclo di lotte funge da traino, e si estende a San Vittore e a Poggioreale.
A metà gennaio 1969 una nuova rivolta, di minor rilievo, a Torino in occasione della “controinaugurazione” dell’anno giudiziario.

LA PROTESTA PACIFICA


Il salto di qualità si compie nell’aprile 1969. La rivolta non a caso comincia l’11, nel giorno dello sciopero generale per i fatti di Battipaglia. Per ribadire la richiesta di riforma e con una azione di denuncia e di appello all’opinione pubblica. Si continua con la critica a tutto l’ordinamento giudiziario e alla giustizia di classe. Negli slogan e nelle dichiarazioni ai giornali i detenuti introducono spesso duri attacchi all’istituto della difesa d’ufficio, e soprattutto della custodia preventiva. Due nodi fondamentali del sistema classista della giustizia italiana.

A dirigere, a parte i primi due giorni in cui comandano i “capoccia”, vecchi detenuti abbastanza compromessi col direttore, e a lanciare parole d’ordine è il “comitato di base”. Lo costituiscono elementi giovani che si impossessano del ciclostile per diffondere una “carta rivendicativa”. Si propone l’elezione di un comitato delegato a fare una conferenza stampa. Segue l’impegno di astenersi dai danneggiamenti nel caso le autorità avessero preso impegno di non dar corso a punizioni e trasferimenti.

LA RIVOLTA VIOLENTA

Le autorità non si assunsero impegni. In seguito a ciò, nell’ultimo giorno il comitato non riesce minimamente a indirizzare la rivolta, che si fa violentissima. Bisogna ricordare che, nella fase non violenta e protestataria la polizia già segue una tattica brutale. Imbottirono il carcere di bombe lacrimogene.
La giusta violenza dei carcerati è non solo una risposta alla repressione, ma anche un tentativo pratico-politico di riforma carceraria a modo loro. Infatti è distrutta la cappella (la religione è una delle chiavi del cosiddetto sistema rieducativo basato sulla violenza); l’ufficio matricola; l’ufficio fascicoli personali, dove il detenuto riceve il marchio di reietto; l’infermeria simbolo della discriminazione classista interna, in quanto è noto che le persone di elevata condizione (o che possono pagare) vi sono ricoverate sine die.

Sono distrutte le fogne del 1857 e le tubature d’acqua antiquate, i miseri “impianti” per l’igiene, con lo scopo dichiarato di farle costruire nuove e come denuncia di una condizione di vita disumana. Sono resi inservibili i macchinari delle lavorazioni su cui si fatica otto ore per guadagnare 350 lire al giorno. Le autorità dapprima reprimono duramente, poi invece è il trionfo del paternalismo e delle promesse a buon mercato. Conclusione: l’ordine è ristabilito, col trasferimento punitivo verso carceri lontane: questo significa aggravare l’isolamento del recluso e prolungare di molto la detenzione preventiva, visto che i giudici istruttori rimangono a Torino ed in questo modo le procedure si allungano di anni. Dopo una rivolta a pagare rimangono sempre e solo loro, i detenuti. E sono anni di galera in più.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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