Giugno 78: lo sciopero della fame degli autonomi del Sud contro la carcerazione disumana
Sfogli la collezione di Lotta Continua per cercare una notizia e ti ritrovi questo testo. E ti ricordi l’incazzatura presa allora per la sciatteria della redazione. Perché l’articolo è messo bene (spalla di pagina 3: posizione di grande visibilità) ma come si fa a sbagliare i motivi della lotta? Eppure erano scritti belli chiari. L’esito della lotta ce lo racconta Lanfranco Caminiti, sulla mia pagina facebook:
fu una cosa durissima – durò ben più che un mese, io arrivai a pesare 52 chili, davide credo perse per sempre l’uso di un rene. più continuavamo, più persistevamo – in una folle lucidità. ci nutrivamo di caffè – e non era proprio una grande idea. alla fine vincemmo: eravamo stati sbattuti in quel braccetto senza alcuna motivazione e arrivò un provvedimento che ci riportava ai padiglioni di poggioreale. passando prima – eravamo proprio mal messi – per il sanpaolo, il braccio “sanitario”. se non ricordo male scrissi una cosa proprio per “lotta continua”, in cui raccontavo di quella giornata e degli “omini verdi” (le guardie) che erano stati battuti. ma dalla chiesa – passato il momento – ci fece prevalere e sbattere negli speciali. e cominciò così il nostro tormento
NAPOLI, 15 giugno – Lanfranco Caminiti, Davide Sacco e Ugo Melchionda stanno attuando, dal 9 giugno scorso, nel «reparto speciale» del carcere di Poggioreale, lo sciopero totale della fame. Da una settimana questi tre compagni essendo rinchiusi nel braccio speciale bevono solo acqua. I tre
compagni sono decisi a continuare fino al loro annientamento.
Lanfranco, Davide ed Ugo sono rinchiusi da due mesi circa nel braccio speciale, nel più completo isolamento, il reparto speciale per detenuti politici nel carcere di Poggioreale è una palazzina, lontana dagli altri bracci, isolata, da anni in disuso, ristrutturata alla fine del 1977 per ospitare
i compagni dei NAP, durante il processo di appello tenutosi, a Napoli, dal 30 novembre al 17 dicembre 1977. Un bunker con un suo servizio di vigilanza all’interno ed all’esterno, la sala dei colloqui con vetri antiproiettile alti fino al soffitto con i citofoni per parlare, con le visite confinate in un solo giorno della settimana…
Un capro espiatorio
I tre compagni vennero arrestati insieme a Fiora Pirri nel cosiddetto «covo di Licola». Sin dal primo momento si sono detti disponibili al rapporto processuale, non rifiutando la difesa, convinti di poter smascherare al più presto la montatura tentata nei loro confronti dai CC, dal DIGOS e dal giudice istruttore Lancuba.A loro insaputa sono diventati il capro espiatorio di tutti i ritardi, le insufficienze, l’incompetenza dei nostrani «servizi di sicurezza».
Infatti, poco dopo l’arresto, in piena campagna contro i simpatizzanti e i fiancheggiatori scatenata dall’asse Pecchioli-Cossiga-Lama, vennero coinvolti nel «sequestro Moro», condotti a Roma, sottoposti a confronti, minacciati. Proprio in questi giorni la compagna Fiora, nonostante decine di docenti dell’Università di Cosenza (dove Fiora lavora come ricercatrice) siano pronti a testimoniare che il 16 marzo lei era nel suo istituto, è stato spiccato un nuovo mandato di cattura per partecipazione al sequestro Moro.
No alle condizioni disumane di detenzione
Una volta creati i «mostri» da dare in pasto alla famigerata «opinione pubblica» li si può anche sbattere per due mesi nell’isolamento più totale, senza assicurargli alcun diritto. Proprio per lottare contro le inumane
condizioni di detenzione, i tre compagni hanno iniziato, una settimana fa, lo sciopero totale della fame. Dal 5 marzo al 14 aprile 1978, nel giro di un mese e mezzo, una ventina di arresti, due mandati di cattura hanno colpito i compagni dell’area dell’Autonomia a Napoli e nel sud. Gli apparati repressivi dello Stato, i mezzi di disinformazione di regime hanno vanamente tentato di « etichettare » a tutti i costi questi compagni, tirando in ballo le BR o Prima Linea. In realtà, l’unico reato compiuto da tutti questi compagni è quello di aver militato nei collettivi autonomi del sud.
Un’offensiva aperta contro chi si oppone allo stato delle cose presenti, un’offensiva articolata sul territorio. La criminalizzazione dell’università di Cosenza o contro gli operai dell’Italsider dì Taranto, la repressione violenta contro i disoccupati di Napoli o contro i tessili calabresi, l’offensiva aperta contro i proletari a Napoli come in tutto il sud (contrabbandieri, ecc.), la ghettizzazione delle lotte dei lavoratori dei servizi trasporti, ospedalieri, ecc.). La chiusura di decine di fabbriche, la diffusione del lavoro nero…
Una realtà di ristrutturazione repressiva che oggi al sud sta diventando fin troppo chiara.
La vendetta di Pozzuoli
La militarizzazione del territorio, il terrorismo dello Stato, la repressione aperta e violenta servono oggi allo Stato per tentare di disarticolare, di dividere il proletariato al suo interno, di disgregare i fronti di lotta, di disinnescare i settori di classe più coscienti e organizzati. In quest’ambito ogni legalità va scavalcata; i compagni da settimane in isolamento, la compagna Fiora trasformata in «mostro», «una terrorista onnipresente col dono dell’ubiquità». Le compagne arrestate che, spesso, dopo pochi giorni di detenzione a Pozzuoli, vengono trasferite nel lager fenminile di Messina. Una sorta di vendetta della direzione del carcere di Pozzuoli contro tutte le compagne detenute dopo l’evasione (avvenuta nel gennaio 1977) della Vianale e della Salerno. Una vendetta che tronca immediatamente ogni
rapporto personale, politico e giuridico con queste compagne, tutte in
attesa di giudizio, e che rende impossibile anche ogni difesa.
Collettivo di contro informazione – Napoli
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