11 dicembre 1980: i carabinieri uccidono i brigatisti milanesi Serafini e Pezzoli

Dopo la pubblicazione della locandina il comune di Settimo Milanese decide di annullare l’evento, che rientrava nella programmazione culturale della biblioteca comunale per la lettera di protesta di una delle vittime delle Brigate rosse, Antonio Iosa

Due compagni appartenenti alla nostra organizzazione, militanti nella colonna Walter Alasia “Luca” sono caduti sotto il piombo dei carabinieri. La storia e la militanza di Roberto Serafini e Walter Pezzoli sono simili a quelle dei molti comunisti. Hanno dato la vita per combattere questa società basata sul massimo profitto, che costringe milioni di proletari al supersfruttamento e a condizioni di vita sempre più miserabili, per costruire la società comunista. I compagni provenivano da esperienze diverse da quelle che hanno formato una grossa parte della nostra Organizzazione.

Proprio per questo, per onorare la loro memoria, riteniamo ancora più importante il loro contributo al movimento rivoluzionario. Perché sono riusciti a passare – attraverso una profonda autocritica pratica e teorica – da esperienze di gruppo, soggettiviste e militariste, al lavoro con noi. In un progetto e un programma rivoluzionario che ha la sua sola base di verifica nel lavoro di massa. Sono stati preziosi perché hanno messo a disposizione la loro grossa esperienza al lavoro politico-militare portato avanti dalle avanguardie di fabbrica.

Così il 12 dicembre 1980 un volantino della Brigate rosse – Colonna Walter Alasia. La colonna milanese era appena uscita dall’organizzazione e aveva cominciato ad operare da novembre 1980 con due omicidi di dirigenti di fabbrica . La dinamica della morte è ricostruita da Cecco Bellosi, un altro dirigente della colonna proveniente dall’esperienza dell’Autonomia armata:

Un agguato in piena regola

Rocco Ricciardi, lasciato libero, ha dato le indicazioni per fare arrestare Roberto Serafini. I carabinieri lo crivellarono di colpi in strada, assieme a un suo compagno, Walter Pezzoli.
Si legge nel libro-verità “Clandestina”, a proposito di Roberto:
«Eppure neanche quell’avvisaglia lo salvò anni dopo da una morte atroce, ancor più dilaniante perché avvenuta proprio per responsabilità di quella stessa persona  che tanto tempo prima, in una sera di brume, di laghi e di mal di pancia, a costo di forzare mille posti di blocco lo avrebbe portato sano e salvo fino all’altra parte del mondo».
Sostiene invece Spataro che i carabinieri non erano appostati in via Varesina per uccidere Roberto Serafini e Walter Pezzoli, che si trovava con lui. Dovevano arrestare un dirigente della colonna Walter Alasia, operaio dell’Alfa Romeo, entrato in clandestinità.

Non fu una sparatoria ma un tiro al bersaglio

Roberto Serafini e Walter Pezzoli sono stati ammazzati come cani da decine di colpi: non un solo colpo, invece, risulta sparato dall’altra parte. Quel che si dice, in gergo, un agguato in piena regola. E il termine “ammazzati come cani” non è gergale. Quella sera dell’11 dicembre 1980, sotto la gragnuola di colpi, fu ucciso anche un cane. Ridotto in un tale stato che i giornali del giorno dopo non riuscirono a stabilire se si trattasse di un dobermann o di un pastore tedesco. Forse è inutile aggiungere che il dirigente operaio della colonna Walter Alasia fu arrestato un anno dopo. Su un pullman dell’Autostradale tra Torino e Milano, senza colpo ferire. Il problema era che quel Rocco Ricciardi aveva detto ai suoi padroni che Roberto era un buon tiratore. Tanto era bastato per quella mattanza.
PS: Rocco Ricciardi è l’infiltrato dei carabinieri nelle Formazioni comuniste combattenti. Permise – a detta del generale Dalla Chiesa – di smantellare la Brigata 28 marzo responsabile dell’omicidio Tobagi.

Un ricordo di Cecco Bellosi

A settembre, commentando la serie di articoli di Davide Steccanella sulla violenza politica a Milano, pubblicati dalla edizione locale di la Repubblica, Cecco Bellosi riparlava dei due compagni uccisi. :

Pezzoli entra nelle Br dopo un’ingiusta detenzione

Il terzo episodio che mi è rimasto impresso nella memoria sono i cadaveri di Walter Pezzoli e Roberto Serafini, crivellati di colpi in via Varesina, di nuovo in una gelida serata del dicembre 1980. Di Walter ricordo la cella vuota a Cuneo. Ogni volta che ci passavo davanti per andare all’aria, vedevo il suo nome: ogni cella, in quel carcere, recava il nome dell’abitante. Era stato tradotto a Genova, per il processo alle Brigate Rosse. Era uscito, assolto. Walter non era mai stato delle BR, era un giovane ragazzo anarchico di Pero, come tanti, con i suoi sogni, le sue speranze, i suoi compagni. Ma, una volta fuori dopo un’ingiusta detenzione, allora sì era entrato nelle BR. Per pochi mesi, forse per pochi giorni.

Zarè: un libro di ricordi su Walter

Quando si dice il destino.Su Walter hanno scritto i suoi amici e compagni di un tempo il libro di memorie “Zaré”, i pochi che avevano condiviso le sue scelte e i molti che non lo avevano fatto. C’erano centinaia di persone qualche mese fa, in un paese di periferia, a ricostruire per un momento l’atmosfera di condivisione di quegli anni. Tra diversi, da un’origine comune. E tutti avrebbero compreso che negli anni Settanta c’era un mondo, attorno a noi, vicino a noi, con noi, che voleva cambiare il mondo. La lotta armata ne è stata la parte estrema, non estranea.

La lotta armata non era scaturita dal nulla

Di quegli anni è stato rimosso il contesto: un movimento denso di lotte, di condivisione, di appartenenza. Così, una scelta politica è stata ridotta a una scelta esistenziale nichilista, separata, folle. Trentaseimila persone inquisite e seimila incarcerate dovrebbero dire invece qualcosa sull’ampiezza di un fenomeno sociale. Una storia che ha conosciuto le sue origini in quel contesto: i fenomeni sociali scaturiscono dalla società, non dal nulla. Come sosteneva un vecchio dalla barba bianca nato a Treviri. Karl Marx. L’unico grande vecchio che mi sia capitato di conoscere. In tutti i suoi scritti.

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

1 Comment on “11 dicembre 1980: i carabinieri uccidono i brigatisti milanesi Serafini e Pezzoli

  1. Conobbi Roberto Serafini al liceo. Lui frequentava il secondo anno, io il primo. Mi rivolse la parola una mattina, mentre aspettavamo di entrare in aula magna, perché vide che tenevo in mano L’Unita’. Mi chiese se era mia abitudine comperarla e io gli risposi che, di solito, lo faceva mio padre. Parlammo un po’ e quindi entrammo in aula magna. Ci salutavamo se ci capitava d’incrociarci sulle scale o nei corridoi della scuola. Lui fini il liceo e le nostre strade si separarono. Poi, quel dicembre 1980. La notizia sui giornali. Lo riconobbi subito, anche se erano passati anni. Dissero tante cose, alcune terribili, ma per me era rimasto sempre il quindicenne un po’ timido, col cappello fornito di paraorecchie, che mi chiedeva se avevo l’abitudine di leggere L’Unita’. Ho sempre pensato che gli ultimi istanti della sua breve vita devono essere stati orrendi. Non è giusto morire a 26 anni crivellati da colpi, senza sentire l’asfalo che ti colpisce la faccia, l’ultimo respiro con odore di urina di cane e fumo di tubi di scappamento… Roberto è un lontano ricordo che, ogni tanto, affiora alla mente e ciò che provo è una gran pietà.

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