Il sindaco di Amatrice vuole conquistare il Lazio ma Forza Italia non cede. Tra liti e vendette
Il Lazio è riservato dominio dei postmissini: per tre volte Storace (vincitore nel 2000 su Badaloni, sconfitto da Marrazzo nel 2005 e da Zingaretti nel 2013), nel 2010 vincitrice a sorpresa Renata Polverini, nonostante la defaillance romana, con la mancata presentazione della lista del PdL. Stavolta, quindi, dissolto il Partito delle Libertà, ridotta la componente postfascista laziale a una sola cifra, gli “azzurri” hanno deciso di mettere in discussione il tacito accordo e di rivendicare la “postazione”
Sergio Pirozzi, il sindaco di Amatrice, leader naturale del movimento di resistenza umana dei terremotati del Centro Italia ha rotto gli indugi e ha lanciato la sua candidatura ufficiale a governatore del Lazio. Sarà – ha detto – una lista civica, animata da tanti primi cittadini decisi a difendere le ragioni dei territori devastati dalla violenza della lunga onda sismica, ma resta forte il suo ancoraggio nel centrodestra: tant’è che prima dell’annuncio ha telefonato a Meloni, a Salvini, a Gianni Letta (“non ho il numero di Berlusconi”, si è giustificato sornione). E a stretto giro è arrivato il colpo di freno del suo leader di partito: “Quando Sergio Pirozzi – ha dichiarato Giorgia Meloni – mi ha chiamato per preannunciarmi la sua discesa in campo per la Presidenza della Regione Lazio gli ho subito detto che non potevo certo essere contraria, visto che Sergio fa parte dell’assemblea nazionale di Fratelli d’Italia ed è un simbolo per gli abitanti delle zone colpite dal terremoto. Tuttavia gli ho anche detto che è indispensabile, per il successo della sua o di qualunque altra candidatura nel campo del centrodestra, garantire l’unità della coalizione. Nelle prossime settimane, dunque, incontreremo gli alleati per valutare insieme la soluzione migliore per mandare a casa la sinistra e battere l’inconcludenza del M5S”.
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