24 gennaio 1966: occupata a Trento Sociologia

Fino all’inizio degli anni ’60 la sociologia in Italia non aveva avuto nessuna particolare diffusione. Esistevano le Edizioni Comunità volute da Adriano Olivetti1, ma circolavano tra pochi addetti ai lavori. Figure di pensatori e sociologi come Weber e Mannheim, grandi scuole di pensiero come quella di Francoforte (Adorno, Horkheimer, Marcuse), erano di fatto per la gran parte rimaste escluse dall’orizzonte culturale italiano.

La sociologia, come del resto la psicoanalisi, era vista con sospetto dalla sinistra ortodossa che la considerava interna alla cultura borghese. Del resto lungo gli anni sessanta il sospetto nei confronti delle “scienze sociali” proseguirà. Le tesi che individuano in Marx il primo “sociologo” saranno considerate aberranti e “piccoloborghesi”. Certo è che, fondando l’Isss (Istituto superiore di scienze sociali) a Trento nel 1962, l’ala progressista della DC intendeva contribuire a creare una nuova figura di “architetto del sociale” molto utile alla nuova fase di sviluppo industriale. (…)

Un posizionamento strategico

La sede di Trento era stata comunque scelta anche in considerazione del suo essere geograficamente “decentrata e tranquilla”, per l’ampia egemonia politica e culturale che i cattolici vi esercitavano e con l’obiettivo non secondario di sprovincializzare una realtà ai confini della nazione. Ma l’importanza dell’università trentina non consiste solo nel carattere innovativo dei suoi studi. “Con Trento, si apre la prima breccia nella fortezza classista del sistema universitario italiano; infatti sono ammesse anche le iscrizioni degli studenti provenienti da istituti tecnici (in precedenza ammessi soltanto nelle facoltà di agraria e di economia e commercio)”. Unitamente al fascino della nuova materia e della nuova laurea, l’apertura agli studenti dei tecnici colpisce l’immaginario di migliaia di giovani in tutta Italia.

La prima Università nazionale

Dalle grandi province meridionali alle regioni centrali, dalle zone industriali a quelle contadine il “mito” di Trento corre sulle intelligenze di molti. “A Trento si va perché c’è sociologia, perché i metodi di studio sono diversi”, perché “apre” ai figli dei proletari (condannati dalla tripartizione delle scuole superiori a lauree predeterminate). Sono studenti che stanchi delle logore università italiane cercano qualcosa di nuovo. Troppi rispetto alle intenzioni dei fondatori: infatti dopo pochi anni, gli studenti provenienti dal Trentino saranno meno di un quarto del totale. In questo senso Trento è anche, per quanto riguarda il corpo studentesco, la prima università veramente “nazionale”. Nella sonnolenta provincia l’arrivo di tante soggettività e culture così ricche e diversificate produce una specie di terremoto. La città si chiude rapidamente a riccio contro il corpo estraneo.

L’ostilità degli indigeni

Gli studenti incontrano enormi difficoltà a trovare alloggi, “al punto che un giorno, in segno di protesta, un gruppo di studenti monta un villaggio di tende di fronte all’arcivescovado. E in facoltà, dove si succedono le riunioni per risolvere il problema, è fatta anche la proposta di chiedere all’amministrazione delle ferrovie di mettere a disposizione degli studenti dei vagoni in disuso perché vengano adibiti ad alloggi.” Gli studenti tentano frequentemente di allacciare un dialogo con gli abitanti usando spesso metodi originali. Si mischiano al passeggio serale o domenicale cercando di intavolare conversazione: “Vorremmo aprire un dialogo con lei, spiegarle le nostre ragioni”. Ma i più rifiutano e tirano via.

Tentano di costruire alleanze scendendo a manifestare in favore dei piccoli commercianti contro i supermarket, ma il pregiudizio contro di loro è sostanzialmente insormontabile nonostante i tentativi di mediazione del vescovo e di qualche prete progressista. In ogni caso gli studenti si ingegnano, creano delle comuni affollate, occupano stabili dismessi contribuendo a costruire dinamiche di socialità e comunicazione tra classi culture ed esperienze diverse.

Il peso della componente proletaria

La componente “proletaria” proveniente dagli istituti tecnici aumenterà continuamente e nell’anno accademico 1968-69 i dati saranno significativi: su un totale di 2813 iscritti, 2230 provengono dagli istituti tecnici, 360 dal liceo classico, 223 dal liceo scientifico. Sulla questione della componente “proletaria” dell’università trentina, molto è stato detto e forse in modo esagerato. Per esempio “il Corriere della Sera” dell’epoca stabiliva una correlazione tra “Carenza studi classici / Entusiasmo improvvisato studi umanistici e la frustrazione seguente alla vera natura dell’approccio sociologico. Frustrazione da cui si sarebbe sviluppata la spirale ribellistica”. Il che vorrebbe anche dire, paradossalmente, che potrebbe esistere una “correlazione negativa tra attitudini rivoluzionarie e studi ‘umanistico- scientifici”’

Gli estensori del volume “Brigate rosse” a cura del Soccorso rosso sostengono: “Tuttavia, allo scopo di incrementare il numero degli iscritti, vengono ammessi per la prima volta in una facoltà diversa da quella di economia e commercio e di agraria anche gli studenti provenienti da istituti tecnici, errore imperdonabile che il sistema pagherà molto caro, perché questi ultimi presto porteranno tutto il peso della loro origine di classe”.

Una eccezionale scuola quadri

Questa affermazione è motivata non solo dal fatto che a Trento crebbero politicamente Margherita Cagol e Renato Curcio (poi tra i fondatori delle B.R.), ma anche personalità assai complesse (per esempio Marco Boato e Mauro Rostagno) che saranno protagoniste della formazione di un nuovo “ceto politico” rivoluzionario. In ogni caso il Movimento studentesco di Trento, per le sue correlazioni con le lotte analoghe in altri paesi europei (fortissima per esempio l’influenza della Kritische Universitt tedesca) e per il suo carattere fortemente anticipatorio (in quanto a tematiche e contenuti radicali), rimane esemplare per tutto il movimento studentesco italiano e le sue origini.

E’ proprio l’originalità precorritrice dei contenuti e delle strategie della contestazione che fanno delle lotte studentesche di Trento un modello a cui fare riferimento per il rapido sviluppo delle lotte nelle altre università. D’altronde poche altre sedi, se si esclude l’occupazione di Palazzo Campana a Torino, porteranno avanti con eguale ritmo e approfondimento culturale e politico le strategie dei “controcorsi”, delle “controlezioni” e delle “occupazioni bianche”.

La lotta nasce corporativa

L’inizio delle lotte è caratterizzato da obiettivi corporativi. “L’università ha appena un anno di vita, quando nel maggio 1965, il senato nell’approvare il disegno di legge per il riconoscimento dell’istituto declassa la laurea in sociologia in laurea di ‘scienze politiche e sociali, ad indirizzo sociologico’.

Gli studenti si oppongono. Il 24 gennaio 1966 riunitisi in assemblea generale (istanza quasi inedita per quei tempi) decidono l’occupazione dell’università.

La vittoria del Movimento

L’occupazione durerà diciotto giorni e si conclude con una vittoria: la ‘riconquista’ della laurea in sociologia. […] “La lotta conclusasi con una vittoria sull’obiettivo corporativo della laurea è rilevante perché svuota di qualsiasi legittimità il precedente ‘parlamentino’ studentesco (l’Orut, ormai in crisi come tutte le associazioni studentesche tradizionali), dà agli studenti la coscienza della propria forza, valorizza una forma di lotta quasi nuova, l’occupazione, fino ad allora praticata solo alcune volte e su obiettivi molto più limitati. […] “Tuttavia una volta conquistata la laurea in sociologia, non sono affatto risolti tutti i problemi riguardanti la struttura di potere dentro l’istituto, l’impostazione scientifico-culturale, l’organizzazione accademica e la finalizzazione professionale della facoltà” (ciclostilato del Movimento studentesco a Trento).

La situazione è matura per la seconda occupazione, sempre su obiettivi corporativi (si chiede che alla stesura dello statuto partecipino pariteticamente gli studenti), che si conclude con una vittoria. […] “E una fase che si chiude nel novembre 1966, con un documento del Movimento studentesco (intitolato ‘Osservazioni sullo statuto e il piano di studi nella diversa elaborazione della direzione dell’istituto e della commissione studentesca’) nel quale si affronta il problema della molteplicità dei ruoli del sociologo, per rifiutarne la ‘neutralità’ […], nella misura in cui il sociologo opera su una realtà, che non può che essere politica, il sociologo è necessariamente un ‘politico’.

Note

1 Un industriale “illuminato” che ipotizzava una possibile alleanza tra produttori, “operai e datori di lavoro”, per la creazione di una società del capitale, per così dire, dal “volto umano” ovvero a rendere compatibile il conflitto di classe con lo sviluppo dei diritti democratici

FONTE: P. Moroni – N. Balestrini L’orda d’oro (testo sottoposto a editing e a tagli redazionali)

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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