Quando sul processo Stato-mafia irrompe la Tv

Non è un cold case, non è Portella della Ginestra, né i delitti del mostro di Firenze o gli attentati di Unabomber che appartengono ormai alla storia giudiziaria. È un caso in cui si gioca l’onore di alcuni esponenti politici e di ufficiali dei Carabinieri che hanno combattuto la mafia, e quello di parte dello Stato con loro. Soprattutto c’è un processo in corso, mancano poche settimane alla sentenza di appello alla fine di un dibattimento molto combattuto e dopo una sentenza di primo grado che ha visto gravi e infamanti condanne. Parlo del processo d’appello Stato-Mafia, il cui esito non è certo scontato dopo la sentenza definitiva che ha assolto Calogero Mannino, vissuto abbastanza lungo per uscire da un tunnel giudiziario che è durato più di vent’anni.

Eppure la trasmissione Report, e quindi la televisione pubblica, ha dedicato quasi un’intera puntata a quel processo parlando di quelle vicende in modo preponderante dal punto di vista dell’accusa, anzi prospettando accuse ancor più gravi di quelle che sono state mosse dalla Procura. Con in studio magistrati, anche del CSM, in pieno conflitto di interessi perché sono stati tra i protagonisti di quelle indagini. Non c’erano nello studio televisivo avvocati della difesa e questo va comunque a loro onore.

Consideriamo o immaginiamo pure che lo scenario dipinto da Report sia giusto, giustissimo e che grazie ad esso si aprano anche nuove indagini e processi anche se dubito che tutti gli avvenimenti degli ultimi quarant’anni possano essere ricondotti ad un unico regista occulto. Non è questo il punto.

Il dibattimento si sta svolgendo in Corte d’Assise e, anche a non considerare in nessun modo influenzabili i magistrati in toga, vi siede una giuria popolare formata da sei cittadini “comuni” che è stata certamente sottoposta ad una pressione mediatica tenendo conto della diffusione e del prestigio della trasmissione rimbalzata su mille social. E sappiamo tutti che in qualche modo, anche inconsciamente, quello che avviene fuori dall’aula incide sempre su quello che avviene dentro.

Ci sarebbe materia per una verifica disciplinare o per un intervento della Commissione di Vigilanza della Rai. Ma non succederà niente.

Il processo è Stato- Mafia, così viene chiamato e non Stato- Mafia- Televisione. C’è stato, e non è certo l’unico caso, un attore di troppo e quando si decide della vita delle persone sarebbe stato meglio che fino alla sentenza rimanesse con i suoi ospiti fuori da quell’aula. Se cercassi di influire su una sentenza ormai così vicina che imputati, anche ottuagenari, attendono da molti anni a me rimorderebbe la coscienza.

Guido Salvini

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

3 commenti su “Quando sul processo Stato-mafia irrompe la Tv

  1. Mi permetto qualche dissenso…
    – Di certo la Tv non può irrompere in un processo…
    – Unabomber apparterrà anche alla storia ma è stato ricordato di recente nel processo ‘Ndrangheta stragista per rivendicato attentati con il “codice Borsellino” usato dalla Falange Armata.
    – “…dopo la sentenza definitiva che ha assolto Calogero Mannino, vissuto abbastanza lungo per uscire da un tunnel giudiziario che è durato più di vent’anni.”
    Come Franco Freda…
    – “Con in studio magistrati, anche del CSM, in pieno conflitto di interessi perché sono stati tra i protagonisti di quelle indagini.”
    Non capisco quale sia il conflitto d’interessi. Chi dovevano intervistare? Chi non si è occupato della vicenda?

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