50 anni di Statuto dei Lavoratori. Una riflessione su sconfitta operaia e lotta armata
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Sul Manifesto di ieri, Umberto Romagnoli, in un articolo dedicato allo Statuto dei lavoratori [approvato il 20 maggio 1970, ndb], scrive:
“Dopo avere udito il tuono che attraversò i cieli dell’autunno caldo di cui lo Statuto è figlio, i lavoratori hanno udito gli spari della P38”.
Si continua cioè a spacciare il falso storico per cui la sconfitta operaia sarebbe da addebitare alle P38. Certo è una tesi tranquillizzante e assolutoria per tutti i protagonisti di quella stagione. “Ah, signora mia, se non ci fosse stato il terrorismo…”
Ora, a parte che a impugnare le P38 erano proprio moltissimi operai, la crescita della lotta operaia e la violenza e la lotta armata si sono a lungo intrecciate virtuosamente. Almeno tanto quanto il declino di una ha poi accompagnato la sconfitta dell’altra.
Qualunque giudizio si deve dare sulla seconda stagione della lotta armata (e il mio è pessimo) non si può negare o trascurare che fu una conseguenza dell’arretramento e della sconfitta del protagonismo operaio di cui, pur sciaguratamente, si tentava di surrogare la potenza con una pratica del tutto soggettiva. La lotta armata ha già tante responsabilità senza bisogno di addebitargliene di auto assolutorie e auto giustificatorie. Bisognerebbe che ciascuno guardasse prima di tutto in casa propria. Come hanno fatto molti dei protagonisti della lotta armata. Che anzi forse sono stati i soli a fare i conti con se stessi.
Chicco Galmozzi
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