12 settembre 1977: nel carcere sudafricano ucciso di botte Biko
Il 12 settembre 1977, per le conseguenze delle torture inflitte durante la detenzione, muore nel carcere di Pretoria Stephen Bantu Biko, trentenne sudafricano, attivista contro l’apartheid.
Sin dal dopoguerra il Sudafrica è governato dai discendenti dei colonizzatori olandesi, i boeri del Partito Nazionale, organizzati in una comunità autonoma con una propria lingua, (afrikaans).

Il governo attua una politica di segregazione dei diversi gruppi etnici, isolandoli in piccoli territori separati (bantustan) con l’alibi di tutelarne le differenze culturali. Ai neri che continuano a vivere nelle aree “bianche” (la metà) sono gradualmente annullati i diritti civili.
Il movimento della consapevolezza nera
Negli anni ’60 – dopo l’indipendenza del 1961 – inizia una campagna di sanzioni economiche. Nel 1973 l’ONU dichiara l’apartheid un crimine contro l’umanità. Il più importante movimento di opposizione, l’African National Congress, è da tempo illegale. Il leader, Nelson Mandela, è in prigione.
In tale contesto matura la coscienza politica di Biko. Nella seconda metà degli anni ’60, all’università fonda la South African Students Organisation (SASO). Un’associazione esclusivamente “neri” nata per lottare la segregazione razziale. Nel 1970 si evolve nel Black Consciousness Movement, che affianca al SASO un’associazione politica (Black Peoples’ Convention) e una centrale sindacale (Black Allied Workers’ Union).
Un cambiamento di mentalità
Il movimento di Biko parte dal presupposto che l’emancipazione dei neri possa arrivare solo da un cambiamento di mentalità da parte della comunità:
“Il primo passo da fare per l’uomo nero è rendersi conto di chi è; riportare la sua vita dentro il guscio rimasto vuoto; infondergli orgoglio e dignità; ricordargli che è un complice in quel crimine che è l’aver permesso di essere abusato e lasciato che il male regnasse nel suo luogo di nascita. Questa è la definizione di coscienza nera”.
Ispirata dai movimenti della Negritudine in Africa (Frantz Fanon, Kwame Nhrumah, Amilcar Cabral) e negli Stati Uniti (Malcom X, Black Power), la Consapevolezza Nera promuove la “rinascita politica e culturale di un popolo oppresso”. L’African National Congress di Mandela non è un riferimento per Biko.
Il Movimento punta sulle idee
Il BCM si focalizza sulle idee, prima che sulla mobilitazione di massa: l’oppressione è un fatto psicologico, oltre che politico. I sudafricani neri possono spezzare il modello dell’asservimento sviluppando fiducia nel proprio valore e recuperando autonomia economica e culturale. Nei testi del SASO si legge che la Black Consciousness è un atteggiamento mentale, uno stile di vita: i neri devono respingere ogni sistema di valori che cerchi di renderli stranieri in patria o annullarne l’umanità; si accentuano i valori della coesione, della solidarietà, della partecipazione, della forza del gruppo, dell’autodeterminazione.
No alle suddivisioni tribali
Biko rifiuta la suddivisione tribale, operata dal governo razzista, del popolo di Azania (il nome nativo del Sudafrica). Individuando due sole categorie, i bianchi e i neri. La negritudine è un atteggiamento mentale, più che una questione di pigmenti. In questo senso, il termine “neri” comprende non solo gli africani di lingua Bantu, ma anche i meticci discendenti dagli schiavi e gli indiani. Negli anni ’70, uniti costituiscono circa il 90% della popolazione.
Biko non è marxista ed è convinto che la lotta all’oppressione di razza, non di classe, cambierà il Sudafrica. Ciononostante, in base alle norme introdotte nel 1950 per rendere illegale il pc e gruppi simili, nel 1973 Biko e altri sette leader del movimento sono confinati a casa e banditi dalla politica.
La rivolta di Soweto
Questo non impedì loro di proseguire le attività. Il 16 giugno del 1976 a Soweto, un quartiere abitato quasi esclusivamente da neri all’estrema periferia di Johannesburg, la polizia massacra centinaia di persone, perlopiù studenti, nel corso una protesta contro il governo. Ancora oggi non si conosce il numero esatto dei morti di quei giorni. Il Black Consciousness Movement ha un ruolo fondamentale e la polizia inizia a tenere sotto più stretto controllo il leader.
“Non è stata colpa di nessuno”
Nell’agosto 1977, Biko viola il provvedimento restrittivo per partecipare a una riunione a Cape Town; fermato dalla polizia sulla via del ritorno, viene arrestato con l’accusa di aver distribuito materiale sovversivo e condotto alla centrale di Port Elizabeth, dove, in base alla legge antiterrorismo, può essere trattenuto per un tempo indefinito senza alcun processo.
Il 14 settembre 1977 il ministro della giustizia Jimmy Kruger, a un convegno del partito nazionalista, negando ogni coinvolgimento della polizia nella morte di Biko che sarebbe morto per sciopero della fame. Gli amici e la famiglia collaborarono per far venire a galla la verità. Il 14 novembre 1977, iniziò l’inchiesta di routine sulla morte non naturale nella vecchia sinagoga di Pretoria; Sydney Kentridge fu l’avvocato della famiglia Biko durante i 13 giorni dell’inchiesta.
Dall’autopsia emersero cinque ferite importanti a testa e labbro, rotture alle costole e contusioni, ma il magistrato Prins era schierato con il regime. Emise una sentenza di tre minuti che ottenne la condanna internazionale del governo dell’apartheid. Il giudizio era: “non è stata colpa di nessuno”.
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