Strage di Bologna. Valerio Fioravanti racconta il suo rapporto con Anna Di Vittorio

Caro Ugo,

google alert mi segnala un aggettivo che non mi piace. Tu usi la parola “ambiguità” per definire il nostro rapporto con Anna Di Vittorio. L’ambiguità però è forse in alcuni racconti parziali che altri (non Anna) hanno fatto, non nei nostri comportamenti.

Ho conosciuto, con piacere e profondo interesse, Anna Di Vittorio e suo marito Giancarlo. Da loro ho accettato dei doni simbolici rivolti a noi e a nostra figlia, e li abbiamo accolti con amicizia e un leggero imbarazzo nella nostra casa. Abbiamo ascoltato le loro profondissime e intelligenti riflessioni sulla “pacificazione”, e ci siamo scambiati, per un periodo per me intenso, spunti e, almeno da parte mia, alcune emozioni. Tra noi però c’era un ostacolo insormontabile: loro volevano “perdonarci” per Bologna, e noi non volevamo essere perdonati per Bologna. Il loro profondo dolore sembrava aver bisogno di essere consegnato “fisicamente” a qualcuno, perché potesse germogliare, e dare quei frutti di civiltà a cultura che loro, con molto coraggio, hanno perseguito per anni. Con Francesca riflettevamo sulla drammaticità della loro situazione: voler perdonare, e non trovare nessuno disposto (nelle istituzioni) ad ascoltare quel perdono, e nessuno (tra gli ex-terroristi) disposto ad accogliere quel perdono. Era una cosa tremenda, per i forcaioli è facile avere la ribalta delle cronache, per i “ragionatori” invece c’è il vuoto siderale. Con il massimo rispetto possibile ricordo di aver detto loro, in casa nostra, che “accoglievo nel cuore il loro perdono, ma non per me o per Francesca, ma in maniera simbolica, a nome di chiunque possa mai aver causato la morte di Marco di Vittorio. Ebbi l’impressione che rimanessero leggermente delusi, ma io e Francesca, francamente, più di questo non potevamo fare. Ci facemmo aiutare da Enzo Raisi, allora uno dei più stretti collaboratori di Fini e nostro amico dai tempi in cui era consigliere comunale a Bologna e con le prime “interrogazioni” cercava di capire cosa venisse nascosto ai/dai tribunali di quella città, perché i nostri nuovi amici ci avevano mostrato una serie di lettere in cui negli anni avevano chiesto di essere ricevuti da una serie di “Presidenti della Camera”, con l’intenzione di portare, appunto alla Camera, la loro riflessione sulla “pacificazione”. Raisi, rassicurato da noi che non si trattava di una qualche operazione propagandistica, si accertò che Fini ricevesse e soprattutto leggesse la lettera dei Di Vittorio/Calidori. Fini ricevette Di Vittorio/Calidori (cosa che non avevano fatto non ricordo più quanti suoi predecessori) e assieme a loro piantò un piccolo albero in un piccolo spazio verde della Camera, con una targa di ottone preparata dai nostri amici. Della cosa non parlammo con nessuno della stampa, o meglio, non parlammo del nostro incontro con loro, sapendo come queste cose si prestano a strumentalizzazione. Poi gradualmente abbiamo perso i contatti.  Abbiamo sempre aspettato che fossero Anna e il marito a cercarci, immaginando che per loro, persone molto di sinistra, seppure di una sinistra molto garantista, non fosse comunque una cosa del tutto rilassante avere a che fare con noi, così diversi da loro. Per un periodi ci siamo scambiati brevi messaggi sulle loro condizioni di salute, e sui progressi scolastici di nostra figlia. Poi la cosa si è, come dire, raffreddata nel tempo. Io avevo già avuto la mia “libertà condizionale”, e quando è stato il momento per Francesca di chiedere la sua, abbiamo chiesto a Di Vittorio/Calidori di poter accludere parte del carteggio che era intercorso tra noi, così come stavamo accludendo parte dei carteggi tra noi ed altri parenti delle vittime. Il tutto con l’impegno che alla stampa non sarebbe giunto niente, non da parte nostra almeno.

Nel caso mio e di Francesca il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha dovuto affrontare un problema “tecnico”: come potevamo noi essere “ravveduti” di un qualcosa per il quale non avevamo mai accettato nemmeno per un istante la responsabilità? Per questo motivo le nostre “sentenze” del Tribunale di Sorveglianza sono state quasi sempre firmate da più di un magistrato, e nel caso di Francesca hanno anche incontrato il ricorso in Cassazione del rappresentante di turno della Procura Generale. La sentenza di Francesca, anche e soprattutto sul delicatissimo punto della mai ammessa responsabilità per la strage di Bologna, ha retto il vaglio della Cassazione, che ha respinto il ricorso del Procuratore ed ha confermato la validità della Condizionale di Francesca. Non so se hai capito, ma Francesca NON ha preso la condizionale grazie ad Anna Di Vittorio, si potrebbe anzi quasi dire il contrario, ha preso la condizionale NONOSTANTE Anna Di Vittorio, che voleva perdonarla per qualcosa che lei non aveva fatto. È l’intero percorso carcerario di Francesca, i suoi libri, i rapporti straordinari che ha intessuto in 20 anni di detenzione e in quasi 10 anni di detenzione domiciliare, e la capacità di affrontare con serietà le sue responsabilità che hanno consentito al Tribunale di Sorveglianza di dare a lei, come aveva fatto con me in precedenza, la libertà condizionale. Anna Di Vittorio non poteva essere per noi una “buona carta da giocare”, era anzi quasi una carta da tenere nascosta, che però abbiamo voluto presentare lo stesso per evitare che, uscendo la notizia in un secondo tempo o per altre vie, potesse essere fraintesa. L’abbiamo “giocata” per correttezza, non per convenienza.

Non c’è ambiguità, ma da parte nostra una profonda empatia, nell’aver voluto accettare almeno “simbolicamente” il perdono di Anna Di Vittorio.

Anche la pagina Raisi non è ambigua.

Raisi è uomo adulto, piuttosto intelligente, laureato in tempi non sospetti (non a Tirana o per corrispondenza) in Scienze Politiche, nonché uomo che guadagnava di più quando faceva il manager per alcune multinazionali che non quando si è messo a fare politica. Raisi ha le sue idee, io ho le mie. Raisi un giorno mi ha riassunto le sue scoperte: tre persone diverse gli avevano raccontato una strana scena riguardo l’identificazione in obitorio della salma di Marco Di Vittorio.  Secondo i 3 testimoni, un medico e 2 carabinieri, diverse cose anomale erano accadute attorno a quella salma. Raisi si è convinto che fosse una pista molto importante, io no. Però, pur avendo moltissimi dubbi su un coinvolgimento, magari a sua insaputa, di Marco Di Vittorio in un trasporto di esplosivo per conto dei Palestinesi (pista che non si può definire assurda visto il caso Pifano/Nieri/Baumgartner di pochi mesi prima a pochi chilometri da Bologna), Raisi sollevava un problema serio.

Perché un ufficiale dei carabinieri, che Raisi ha ben identificato e chiama per nome, di fronte ad una “possibile” pista di sinistra la insabbia, e mette a tacere i suoi colleghi di grado inferiore? Era u capitano dei carabinieri “di sinistra” oppure rispondeva ad altre logiche?

Questa è, da anni, la mia domanda. Ho detto mille volte, e la mia non è una semplice clausola di stile, che non so e non voglio sapere chi fosse davvero Kram, se davvero anche la Frolich era a Bologna (ma era comunque una che due anni dopo, quando è stata arrestata a Fiumicino, aveva all’interno della stessa valigia sia l’esplosivo sia i detonatori, ossia qualcosa che obiettivamente si presta ad esplosioni anche accidentali), o se Di Vittorio era un corriere inconsapevole o un militante in piena regola, o solo uno i cui amici hanno avuto una reazione nervosa eccessi alla vista della salma. A me non interessa cosa hanno fatto alcuni miei quasi coetanei “rivoluzionari”.

Mi interessa molto di più capire cosa ha fatto la Democrazia Cristiana in quel periodo, e alcuni gruppi molto filogovernativi dei Carabinieri.

Tutte le cose che ha trovato Raisi non vanno discusse come fossero accuse nei confronti delle persone, ma vanno usate per chiedersi “perché sono state tenute nascoste”.

Da un punto di vista giudiziario era prevedibile che tutto si insabbiasse, e francamente siamo tutti sollevati che nessuno venga più processato per cose tanto vecchie con prove solo logiche ma non fattuali. Certo, ho un po’ di invidia, il garantismo che giustamente la nuova Procura di Bologna ha applicato alla Pista Palestinese, e me ne sarebbe bastato il 10% per essere assolto. Ma noi vivevamo in tempi peggiori, e oggi va bene così.

Non c’è ambiguità nell’essere io e Francesca solidali con Anna Di Vittorio, ma nel voler anche capire perché la pista del trasporto logistico palestinese venga ancora oggi confutata con poca logica e ricorrendo ad artifizi retorici.

Nello specifico, quando Raisi mi parlò delle sue scoperte “attorno al cadavere di Marco Di Vittorio”, non potei dirgli “ti garantisco che quel ragazzo non c’entra niente”. Potei solo dirgli “Dubito moltissimo che possa entrarci qualcosa”. Lo invitai a contattare la sorella per parlare con lei prima che uscisse il libro, e da parte mia scrissi un paio di mail, feci 2/3 telefonate al cellulare al quale nessuno rispose (ma in questi tempi tecnologici si sa quando qualcuno ci ha chiamato, e se se ne ha voglia è facile richiamare, o mandare un sms) e anche un paio di telefonate al numero fisso di casa Calidori/Di Vittorio. Volevo sollecitare l’incontro con Raisi, perché mi sembrava abbastanza evidente che Raisi considerava le mie opinioni su Marco Di Vittorio poco obiettive in quanto influenzate dal rapporto con sorella e cognato, e andava per la sua strada. Non ho dato i recapiti di Anna Di Vittorio a Raisi, ma consigliai a Raisi di leggere la corrispondenza che era intercorsa tra lei e Fini, perché si rendesse conto dello spessore della persona. In quella corrispondenza, che certo io non ho ma Raisi ha trovato facilmente nella segreteria di Fini, c’erano, presumo, tutti i contatti di Anna Di Vittorio.

Non so perché Anna Di Vittorio e suo marito non abbiano risposto alle mie mail, e alle mie telefonate. Io riconosco alle persone il diritto di non avere voglia di parlare con me, e quindi se io chiamo, se lascio un messaggio in segreteria, e scrivo due righe, e qualcuno decide di non darmi il minimo segno di risposta, io penso o che gli è successo qualcosa, o che hanno cose più interessanti da fare, o che non gli piaccio.

Ma io più di quello che ho fatto non potevo fare. Ho per Anna Di Vittorio lo stesso rispetto e la stessa stima che per Enzo Raisi. E se l’uno non mi dà retta, e l’altra non mi risponde, rispetto le loro scelte. Con immutata stima. Non c’è ambiguità da parte mia o di Francesca se cerchiamo di far incontrare due persone e queste persone decidono di non incontrarsi.

Grazie alla segnalazione che ho trovato sul tuo blog ho potuto leggere la seconda lettera di Anna Di Vittorio. Mi è un po’ dispiaciuto leggere che la mia mail l’aveva ricevuta, e non mi ha voluto rispondere. Lei sembra lamentarsi che oltre un anno dopo la mia mail Francesca le ha mandato un paio di sms… anche questa cosa mi è un po’ dispiaciuta: vuol dire che anche il numero di telefonino era giusto, le mie telefonate le aveva ricevute, ma le aveva lasciate cadere.

Non posso né sentirmi in colpa perché lei e Raisi hanno opinioni diverse su Marco Di Vittorio, né sentirmi “ambiguo” perché Anna Di Vittorio, dopo un bel dialogo iniziale, ha deciso di non voler più dialogare con me. Ti dirò di più, Anna Di Vittorio ha tutta la mia solidarietà: so bene quanto sia insopportabile Valerio Fioravanti quando è convinto di aver ragione.

Scherzi a parte, sullo sfondo rimane l’unica questione seria: come tanti stolti continuiamo a discutere del dito che punta alla luna e non discutiamo della luna stessa. L’unica cosa che si può analizzare oggi, a tanta distanza dai fatti, è ciò che è stato nascosto. E per ragionare su ciò che è stato nascosto non c’è bisogno di scannarsi se ciò che è stato nascosto era vero o non era vero, quello che conta è che era verosimile, ed è stato nascosto. Credo di averlo detto molti anni fa in una intervista: non importa chi sia veramente Kram, importa invece sapere se i magistrati all’epoca avevano ricevuto i dati su di lui e nella loro autonomia di giudizio (e di pregiudizio) hanno deciso di scartare la pista, o piuttosto sapere se a loro la pista non è mai arrivata per un vaglio. Se, come sembra, la pista non è mai arrivata, allora solo una domanda è interessante: perché i carabinieri che in teoria erano quasi tutti piduisti, perché i servizi segreti, che anche loro erano quasi interamente piduisti, perché i vertici della polizia, che all’epoca erano anche loro piduisti, perché tutta questa gente ha creato una pista neofascista e ne ha nascosta una palestinese?

Discutere d’altro non ha senso, ho meglio ha il senso di chi, ancora oggi, preferisce “buttarla in caciara” piuttosto che riflettere. Ma facendo così, sarà molto difficile capire come abbiano fatto i democristiani e i piduisti, apparentemente così screditati, a battere sia noi che voi di sinistra su tutta la linea.

Cordialmente, e con solo un pizzico di ambiguità

Valerio Fioravanti

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Questa lunga lettera conferma i grandi talenti di Valerio Fioravanti: il primo divo televisivo bambino, il n. 1 della guerriglia nera … Una lettera che mi era stata annunciata, dal latore, come espressione di un’incazzatura che non si manifesta ma è invece giocata sul tocco di fioretto. Lasciandosi prendere dal gusto del paradosso, Valerio finisce per argomentare tralasciando la realtà effettuale delle cose: la riconciliazione con Anna Di Vittorio è stata un elemento favorevole per la concessione della libertà condizionale a sua moglie. Come risulta dalla sentenza che la concede richiamando la memoria difensiva:

sentenza

Del resto è a tutti noto che Valerio e Francesca si proclamano innocenti della strage di Bologna (e io sono tra i tanti convinti che quella sentenza non si regge in piedi) ma un principio di realtà impone di tenere presente che per lo Stato italiano sono colpevoli e condannati con sentenza passata in giudicato e quindi il perdono gratuito dei familiari di una vittima è un fatto assai positivo per il reo.

Quanto all’ambiguità (che è un sostantivo, a voler essere pignoli) prendo atto che Valerio rifiuta quella parola ma al tempo stesso dichiara apertamente la sua scelta di ubiquità, la volontà di restare da amico (per restare a una metafora militaresca) nei campi opposti di Raisi e Di Vittorio. E si coglie subito l’ironia della storia se si pensa che ai suoi tempi fu un feroce praticante dell’inimicizia assoluta anche con i suoi sodali. Sì, decisamente, al di là dei riconoscimenti giudiziari, Valerio Fioravanti è un’altra persona … 

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

1 Comment on “Strage di Bologna. Valerio Fioravanti racconta il suo rapporto con Anna Di Vittorio

  1. SALVE

    un fatto è certo, per la giustizia italiana Mambro e Fioravanti sono gli esecutori materiali della strage di Bologna. Quello che ho notato e noto tuttora è che questi personaggi per sostenere la tesi della loro innocenza non portano prove concrete che potrebbero scagionarli (del tipo il 2 agosto posso provare che non ero a Bologna) ma si appellano al consenso che incontrano da parte di settori dell’opinione pubblica (anche a sinistra) per sostenere grazie a questo consenso che loro sono completamente estranei alla strage. Infatti nella lettera riportata Fioravanti lascia intendere che sua moglie, visto il comportamento tenuto durante la denzione, i libri che ha scritto le persone che ha incontrato, non può esseri macchiata di una tale colpa. Un aspetto che non mi è chiaro è il motivo per il quale Mambro e Fioravanti con sette ergastoli, sono in libertà mentre Vincenzo Vinciguerra sta ancora scontando il suo ergastolo.

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