Strage di Bologna, Di Vittorio e Calidori: per i condannati la strada maestra è chiedere la revisione
Avv. Valerio Cutonilli
presso L’ALTER UGO
Gentile avvocato Cutonilli,
grazie per la cortese lettera che ha voluto inviarci. La cortesia è rara – di questi tempi – sicché, volerla esprimere e volerla ricevere sono gesti di altrettanto rara humanitas.
Purtroppo, non possiamo entrare nel merito di quanto lei scrive, e questo per ovvie ragioni – che poi spieghiamo.
Ma lei può capirci: sia perché possiede la competenza giuridico-legale necessaria e sufficiente; sia perché – diversamente da altri – lei non si è auto-costituito “magistrato inquirente”, “investigatore di P. G.”, “giudice monocratico”, “direttore” di un qualche super carcere speciale dove rinchiudere, a vita, una persona morta trentaquattro anni fa, definita «vittima oggettiva» da chi ha la competenza specifica per farlo e, soprattutto, è abilitato a farlo: dallo Stato.
Ecco, dunque, le ragioni della nostra impossibilità – al momento – di entrare nel merito di quanto lei scrive nella gentile lettera che ha voluto, cortesemente, indirizzarci.
1) La “Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bologna” ha indagato, per anni, e ha chiuso le indagini con una – legittima – richiesta di archiviazione.
La “Procura di Bologna”, per indagare, si è avvalsa della collaborazione della “Polizia Giudiziaria”, in ottemperanza agli Articoli 104 e successivi della nostra Costituzione.
Chi volesse contestare il merito e il metodo adottati da questa Procura, è libero di farlo. Così come è libero di contestare il metodo e il merito usati dalla “Procura di Bologna” e dalla “Polizia Giudiziaria” (di Bologna e di tutta l’Italia) del 1980.
In entrambi i casi, vogliamo sperare che il contestatore di turno voglia assumersi la responsabilità di quello che dice e che scrive: anche nelle eventuali “sedi pertinenti”.
2) Adesso, la parola è passata al “Giudice per le indagini preliminari” del “Tribunale di Bologna”. Dunque, si tratta soltanto di avere un po’ di pazienza: non più per anni, come quando si indaga; ma per pochi mesi.
Dopo che il Gip avrà espresso il proprio parere, allora, e solo allora, tutte le carte relative all’indagine della Procura saranno di pubblico dominio. E allora, ma solo allora, chi vuole potrà leggerle: commentarle, approvarle, contestarle. E si spera che le eventuali contestazioni siano espresse con linguaggio civile, siano agite con comportamento urbano.
3) È vero. A suo tempo – spontaneamente – ci siamo messi a disposizione della Giustizia. Quindi, il verbale relativo alla nostra conversazione col sostituto procuratore Enrico Cieri, e col vicequestore Antonio Marotta, sarà di pubblico dominio.
Sappiamo, da articoli di giornale, che anche l’allora on. Enzo Raisi è andato negli uffici della “Procura di Bologna”. Se la sua conversazione coi magistrati è stata verbalizzata – come supponiamo – leggeremo anche quella.
4) Non sappiamo se anche il dottor Antonio Jesurum sia andato negli uffici della “Procura di Bologna”. Forse sì. Forse no. Chissà?
Se lo ha fatto, avrà sicuramente reso testimonianza sulla vicenda dei due giovani – un uomo e una donna – che, recatisi nell’obitorio di Bologna, in quell’agosto del 1980, alla vista del cadavere di Mauro Di Vittorio, sono fuggiti (cadavere «completamente bruciato», a detta dell’ex on. Raisi [CORRIERE di Bologna, 31 luglio 2012, intervista a Enzo Raisi raccolta da Alessandro Mantovani]).
Si è sempre detto che quei due giovani vestivano “alla maniera dei compagni”. Ebbene, com’erano vestiti quei due giovani – un uomo e una donna – a Bologna, in quel mese di agosto del 1980?
Lo sapremo presto, se il dottor Jesurum sarà andato, anche lui, in Procura, e se avrà raccontato – dettagliatamente – tutto quello che sa, che aveva saputo, che – ancora oggi – ricorda.
Se tutti e ognuno praticassimo – ancora un po’ – la nobile arte della Pazienza, tra qualche mese, tutte queste legittime esigenze di “sapere” come sono andate queste cose, saranno soddisfatte: dai Magistrati, dalla Polizia Giudiziaria, dai Giudici del nostro Stato: ché la Repubblica Italiana è, e resta, il nostro Stato di Diritto.
5) Sulla “Strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980” esiste una sentenza: definitiva e passata in giudicato.
Non è obbligatorio accettarla, da parte di tutti e ognuno. Sarebbe opportuno, però, tenerne conto, non foss’altro che per rispettare il “principio di realtà”.
A suo tempo, alla Mambro e Fioravanti, abbiamo detto così: se chiedete la revisione del processo – ché nello Stato di Diritto questo diritto c’è – noi due vi sosteniamo; e lo facciamo volentieri, perché così possiamo finalmente “sapere” quali sono le prove che porterete a sostegno della vostra “auto-dichiarata” innocenza.
Diversamente, si continuerà – da parte di qualcuno – ad agire mediaticamente.
Adriano Sofri, a suo tempo, lo ha fatto: seguendo la “strada maestra” del Diritto. Con esiti, per lui, negativi. Ma lo ha fatto. Dire questo, oggi, significa riconoscere il “principio di realtà” – oltre, sempre, le “opposte tifoserie”, i “neo-opposti estremismi”.
La nostra offerta di avanzare “la richiesta di revisione del processo” è, e resta, una proposta di buon senso.
Perché non è detto che il buon senso se ne debba stare sempre nascosto, da qualche parte, per paura del “senso comune”.
Così vanno le cose? No. Così andavano le cose: in Lombardia, nel 1600. Isn’t?
Con l’occasione, auguriamo ogni bene a lei e alla sua famiglia.
La salutiamo con riconoscente e reciproca stima,
Anna Di Vittorio e Gian Carlo Calidori
Roma, venerdì 26 settembre 2014
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