Strage di Bologna, il punto sulle nuove indagini
Per problemi di salute sono stato lontano dal pc per una decina di giorni. Così non ho potuto partecipare al dibattito scatenato intorno al 2 agosto e al presunto rilancio della “pista palestinese”. Ad aprirlo lo scoop dell’Adnkronos sulle “informative libanesi” ritrovate nei faldoni del processo per piazza della Loggia e pubblicate un anno fa da Giacomo Pacini. In un saggio sul Lodo Moro. Ci ritorneremo sopra. Intanto però facciamo il punto della situazione. Grazie a uno speciale pubblicato oggi dalla stessa agenzia romana, informatissima sugli sviluppi dell’inchiesta.
Le tre perizie
Sono tre le perizie che saranno depositate, intorno alla fine di settembre, davanti alla Corte d’Assise di Bologna che, in questi mesi, sta processando l’ex-Nar Gilberto Cavallini per concorso nella strage del 2 agosto 1980. Due riguardano il presunto interruttore della bomba, la terza il dna sul lembo di tessuto attribuito a Maria Fresu ma che, viste le incongruenze, potrebbe invece appartenere a una eventuale 86esima vittima non ancora identificata.
Tutte e tre potrebbero dare una nuova svolta alle indagini sull’ordigno alla stazione che fece 85 morti e 200 feriti. All’udienza del 23 settembre prossimo, dopo la pausa estiva, dovrebbe essere depositata la nuova perizia chimico-esplosivistica, affidata al Laboratorio chimico del Ris dei carabinieri di Roma, guidato dal colonnello Adolfo Gregori, sull’interruttore elettrico di tipo “on-off” trovato nei mesi scorsi dal perito della Corte d’Assise di Bologna, Danilo Coppe, fra i detriti della stazione che vennero ammassati, dopo l’attentato, nel sedime della caserma di Prati di Caprara e poi setacciati e selezionati, nell’estate del 2018, dagli studenti del Master di analisi chimiche e chimico-tossicologiche forensi dell’Alma Mater di Bologna, per essere analizzati.
I Ris al lavoro sull’esplosivo
I militari del Ris di Roma sono stati incaricati dalla Corte d’Assise di Bologna di cercare, sull’interruttore, montato su una piastra in metallo di circa dieci centimetri per tre, deformata da un lato, le tracce dell’esplosivo che ha devastato la stazione quel 2 agosto di 39 anni fa – quindi tritolo e T4 con alcuni residui di nitroglicerina, secondo le risultanze dell’ultima perizia depositata il 27 giugno scorso – nella convinzione che possa essersi trovato molto vicino alla carica esplosiva.
Secondo il perito Danilo Coppe, infatti, l’interruttore, simile a quello di un tergicristallo ma montato artigianalmente sulla piastra in metallo, è incompatibile con qualsiasi deviatore elettrico delle Ferrovie né aveva motivo di essere presente nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna e potrebbe rappresentare, invece, un congegno realizzato da chi ha confezionato l’ordigno per metterlo in sicurezza durante il trasporto. Ma, appunto, essendo difettoso, potrebbe aver provocato l’esplosione accidentale della bomba quel 2 agosto dell’80.
Ciò che i militari del Ris di Roma stanno cercando è l’impronta della miscela esplosiva su quella staffa di metallo. Ma non è l’unica perizia su quell’interruttore la cui scoperta da parte del perito parmigiano Danilo Coppe modifica completamente gli scenari finora prospettati e anche le conclusioni giudiziarie fin qui raggiunte sulla strage di Bologna che ipotizzavano, fra l’altro, un attivatore chimico e non elettrico, un’esplosione voluta e non accidentale, una quantità quasi doppia di materiale esplosivo e una miscela completamente diversa e ribaltata nei suoi componenti rispetto a quella riscontrata oggi con gli avanzati sistemi tecnologici di cui è dotato il Ris dei carabinieri.
L’analisi dell’interruttore e della staffa
Una seconda perizia, questa volta metallografica, ma sempre sull’interruttore e, in particolare, sulla staffa in metallo piegata, prenderà il via il 5 settembre prossimo e dovrebbe concludersi in un paio di giorni. La Corte d’Assise l’ha affidata a un docente del Dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano, esperto in Failure Analysis & Forensic Engineering, il quale dovrà stabilire, anche attraverso l’ausilio di un microscopio elettronico a scansione e di una saggiatura chimica, se quella deformazione, una torsione anomala dell’aletta di metallo su cui era stato montato l’interruttore, sia stata determinata dall’esplosione che l’ha divelta e “strappata” o, piuttosto, dalla pressione esercitata, per esempio, da un mezzo meccanico, come potrebbe essere la pala di una benna, durante le successive operazioni di rimozione dei detriti nel piazzale della stazione di Bologna e l’ammassamento successivo del materiale a Prati di Caprara.
L’esame del Dna del lembo facciale
La terza perizia attesa a fine estate, quella sul Dna dei resti attribuiti a Maria Fresu, una delle vittime della strage, scomparsa misteriosamente nell’attentato, è forse la più importante. Ed è stata affidata alla dottoressa Elena Pilli, biologa genetico-forense del Dipartimento di Biologia Evoluzionistica dell’Università di Firenze, una vera e propria autorità in materia. Alla dottoressa Pilli, che, da circa dieci anni, collabora con il Ris dei carabinieri di Roma – dal 2017 ne fa parte integrante in divisa con il grado di capitano richiamata come riserva selezionata – e che si è occupata, fra l’altro, dei celebri casi giudiziari di Melania Rea e di Elisa Claps, è stato affidato il lembo facciale, trovato dai periti, l’esplosivista geominerario Danilo Coppe e il medico legale professor Stefano Buzzi, docente all’Università di Parma, il 25 marzo scorso nel corso della riesumazione dei resti, attributi alla Fresu, conservati in una minuscola bara di un loculo del cimitero di Montespertoli, in provincia di Firenze, accanto alla tomba della piccola Angela Fresu.
La dottoressa Pilli ha chiesto e ottenuto una prima proroga che scade ufficialmente il 20 agosto prossimo – ma con i termini feriali si arriverà, inevitabilmente, in prossimità del 23 settembre – e sta cercando di accertare, attraverso l’esame del Dna, nucleare prima e mitocondriale poi, se il lembo facciale appartenga effettivamente a Maria Fresu, la giovane mamma sarda che, il giorno della strage, scomparve mentre si trovava nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna, investita dall’esplosione, assieme alla figlioletta Angela, di 3 anni, morta per le lesioni riportate nel crollo dell’edificio, all’amica, Verdiana Bivona, operaia ventiduenne di Castelfiorentino, anch’essa deceduta per le fratture letali provocate dal cedimento del fabbricato, e a Silvana Ancillotti, l’unica sopravvissuta di quel gruppetto che si era messo in viaggio verso il nord Italia per le vacanze estive.
La donna scomparsa e l’86esima vittima
Gli esperti non si spiegano, tecnicamente, la scomparsa di Maria Fresu. Lo stesso perito esplosivista Coppe la giudica implausibile alla luce delle sue profonde conoscenze in materia. Anche perché Maria, la figlioletta Angela e le due amiche Verdiana e Silvana, si trovavano lontane dal punto dell’esplosione, comunque in quell’area che non venne investita direttamente dalla detonazione. Coppe ha escluso che l’esplosione dell’ordigno della strage di Bologna possa aver disintegrato le persone presenti, a prescindere dalla loro collocazione sulla scena. Ma non è questo l’unico mistero che rende centrale e importantissima la perizia del Dna in corso.
Il lembo facciale sui cui la dottoressa Pilli sta svolgendo proprio in questi giorni gli accertamenti appare strappato secondo un fenomeno ben noto agli esplosivisti e che si verifica quando la vittima si trova a strettissimo contatto con un ordigno, al punto che lo spostamento d’aria in pressione, provocato dall’esplosione, penetra nel padiglione auricolare separando violentemente la cute dalla struttura ossea.
Il punto è che Maria Fresu, secondo la testimonianza della sua amica Silvana Ancillotti, rilasciata nell’immediatezza della strage alla polizia giudiziaria ma, anche, recentemente, confermata in un’intervista all’Adnkronos, al momento della detonazione si trovava di fronte alle sue due amiche e alla figlia Angela, perfino più lontana di loro, circa un metro, dal punto in cui è esplosa la valigia. Anche la circostanza del ritrovamento del lembo facciale appare inspiegabile e, per certi versi, misteriosa.
Le vicissitudini del reperto
Ufficialmente il lembo facciale venne ritrovato sotto il treno Adria Express 13534 Ancona-Basilea che era fermo sul binario 1 e che venne investito in pieno dall’esplosione poiché si trovava proprio accanto al muro della sala d’aspetto di seconda classe all’interno della quale deflagrò l’ordigno nascosto in una valigia posata su un tavolinetto a ridosso di una parete a circa 50 centimetri d’altezza dal pavimento.
Poiché la valigia esplosiva era posizionata fra il treno fermo al binario 1 e il punto in cui, all’interno della sala d’aspetto, si trovava Maria Fresu con le sue amiche e la figlioletta, la detonazione avrebbe dovuto, semmai, proiettare il cadavere della giovane mamma sarda esattamente dalla parte opposta al punto in cui, invece, si dice che sia stato ufficialmente ritrovato. Infine, ci sono altri due misteri strettamente connessi all’esito della perizia sul Dna.
Secondo la versione ufficiale il lembo facciale attribuito a Maria Fresu viene portato in un contenitore, direttamente dai soccorsi che erano alla stazione, all’ospedale Maggiore di Bologna il 2 agosto, assieme ai cadaveri della piccola Angela e di Verdiana Bivona e a Silvana Ancillotti, gravemente ferita.
Una strana scomparsa
Il giorno successivo, il 3 agosto, il magistrato Luigi Persico dispone, con una nota scritta a mano, il trasferimento del reperto all’Obitorio di via Irnerio a Bologna. A quel punto, per quasi due settimane, quel lembo, incredibilmente, scompare. Il 16 agosto, il professor Giuseppe Pappalardo, che gestiva il laboratorio esami dell’Istituto di Medicina Legale, viene informato dalla dottoressa Negrini dell’esistenza di questo lembo facciale. All’apertura del contenitore viene ritrovato anche un femore di donna che, inizialmente, non c’era, secondo quanto assicura il medico legale che aveva repertato il lembo facciale il 3 agosto.
Il professor Pappalardo sosterrà che, inizialmente, il reperto viene attribuito a una delle altre due donne, con il volto sfracellato, che si trovano in obitorio. Comunque convoca i familiari di Maria Fresu, che risulta scomparsa, che nei giorni precedenti si erano presentati all’Obitorio di Bologna, per il riconoscimento di quel brandello. Incaricato di identificare il lembo facciale come appartenente a Maria Fresu, il professor Pappalardo riscontrò un gruppo sanguigno A quando, invece, la giovane mamma aveva certamente il gruppo Zero, così come i suoi genitori e i suoi sei fratelli e sorelle.
Una fantasiosa ipotesi ematologica
Anche l’ospedale presso cui Maria Fresu aveva partorito, tre anni prima della strage, la piccola Angela, confermò che il gruppo sanguigno della donna era A. Per 9 volte il medico ripetè l’esame che restituiva sempre lo stesso risultato contrastante: gruppo Zero. E, così, decise di attribuire, comunque, quel lembo facciale alla Fresu spiegando l’incongruità fra gruppo A e gruppo Zero con la tesi della cosiddetta “secrezione paradossa”.
Un’argomentazione fermamente contestata da tutti gli ematologici che la considerano priva di qualsiasi fondamento e supporto scientifico. Possibile che Pappalardo abbia sbagliato, per 9 volte, l’esame del gruppo sanguigno di Maria Fresu? E per quale motivo è ricorso alla tesi della secrezione paradossa? Ecco il motivo per cui l’esame del Dna è fondamentale. Se dall’esame del Dna dovesse emergere che quel lembo facciale non appartiene a Maria Fresu vorrebbe dire che c’è un’ottantaseiesima vittima della strage di Bologna mai reclamata da nessuno. Chi può essere? Una donna, certamente. Forse la terrorista che trasportava la valigia con l’esplosivo e il cui volto è stato strappato come una maschera dallo spostamento d’aria della detonazione che sarebbe penetrata con violenza nel padiglione auricolare. Proprio perché si trovava vicinissima all’ordigno.
Le analogie con altri attentati
C’è, poi, un altro aspetto che i periti stanno valutando. Ed è quello di ulteriori analogie riscontrate in questi giorni, oltre a quelle già segnalate nella perizia depositata il 27 giugno scorso, con altri attentati che sconvolsero l’Europa a cavallo degli anni ’70 e ’80. I periti avevano già evidenziato compatibilità logistico-organizzative e di target con due attentati firmati da Carlos, quelli del 31 dicembre 1983, in Francia: l’attentato alla stazione Saint Charles di Marsiglia con una bomba nascosta in una valigia lasciata nel deposito automatico bagagli e l’attentato al Tgv Marsiglia, il treno superveloce che venne sventrato dall’esplosione di un ordigno piazzato fra la seconda e la terza carrozza di prima classe del convoglio mentre viaggiava a 160 chilometri orari verso Lione.
Una circostanza già messa in luce 13 anni fa, con un’interrogazione, dall’allora parlamentare di Alleanza Nazionale, Enzo Fragalà. E sottolineata nei mesi scorsi anche dai periti della Corte d’Assise che, ora, avrebbero riscontrato analogie anche con altri attentati compiuti in Europa in quegli anni.
E chiaro che quel medico legale a quel tipo sbaglio per 9 volte l’esame del sangue di Maria Fresi per che scientificamente non esiste che il gruppo sanguigno cambi da 0 A
Poi teoricamente la bomba fu posizionata nella sala di 2classe erano tutte e tre di spalle che sul racconto della signora Silvana ancillotti non vedevano chiaramente i binari perché erano di spalle . teoricamente la bomba era dietro di loro il perché il lembo facciale di Maria Fresi e altri reperti furono trovati sotto il treno nel 1 binario se teoricamente il cadavere doveva essere dalla parte opposta????