La rivolta di Reggio, la strage di Gioia Tauro e il triangolo masso-fasci-‘ndrangheta

Nel luglio 1995, più di 250 ordini di cattura sono emessi in un’operazione contro la ’ndrangheta in cui ampio spazio è dedicato ai rapporti tra terroristi neri e cosche, sullo sfondo della rivolta di Reggio Calabria del 1970-71. La fuga di Franco Freda dal soggiorno obbligato di Catanzaro, durante il processo per piazza Fontana, sarebbe stata l’occasione per un patto tra servizi segreti, massoneria e mafia (una diversa scuola dietrologica afferma che il «triangolo maledetto» fosse attivo da anni e la sua scoperta sia costata la vita al pm Occorsio).

L’inchiesta nasce a Milano dal lavoro a tappeto sui pentiti del giudice Salvini e del capitano Giraudo. Alla procura antimafia di Reggio arriva un Tir di carte. Le indagini procedono nel riserbo consueto: già quattro mesi prima del blitz, stampa e tv annunciano cinquecento ordini di cattura per la connection terrorismo nero-’ndrangheta-servizi segreti. Il 30 marzo 1995 la Repubblica anticipa:

I rapporti tra mafia, massoni, eversione nera e servizi deviati al centro dei controlli. Dai disordini del 1970 alle bombe sui treni. Nuova luce su più di 20 anni di criminalità. «Fate 500 arresti». Reggio: maxinchiesta dalla rivolta a oggi.

Il grande blitz annunciato

Il 18 luglio sono 259 le persone colpite da provvedimenti di custodia: 100 gli arresti, 76 le notifiche in carcere, cinquantasei sono i dichiarati irreperibili (27 latitanti da tempo). Le richieste di rinvio a giudizio sono 502. Tra gli arrestati molti nomi di spicco: dall’ex deputato del Psdi Paolo Romeo, ritenuto un capobastone, all’avvocato della famiglia Moro, Giuseppe Ruggiero, ex membro del Csm, accusato di aver intascato più di un miliardo per sentenze di comodo. Gli avvisi colpiscono ancora più in alto: l’ex ministro Riccardo Misasi, líder máximo della Dc calabrese, e il presidente della I sezione penale della cassazione Corrado Carnevale sono indagati per associazione mafiosa. Il primo come componente della «corona», una specie di supercupola, e il secondo per aver accettato soldi per «sistemare» i processi.

La strage di Gioia Tauro

Per la strage di Gioia Tauro (6 morti e 57 feriti per il deragliamento della Freccia del Sud il 22 luglio del 1970, che fu classificato come incidente ferroviario) sono indagati due leader del Comitato d’azione per Reggio capoluogo, eletti nelle liste del Msi il 27 marzo 1994: il senatore Renato Meduri e il deputato Fortunato Aloi, sottosegretario alla Pubblica istruzione nel governo Berlusconi. Dei finanziamenti alla rivolta deve rispondere l’armatore Amedeo Matacena sr., padre del deputato di Forza Italia sotto richiesta di arresto in un’inchiesta sulle cosche della piana di Sibari.

La testimonianza di Mario Tuti

Un testimone autorevole, Mario Tuti, in tempi non sospetti, ridimensionava seccamente la volontà rivoluzionaria del gruppo dirigente della rivolta.

Proprio in quel periodo mi ero reso conto che il Msi (a cui sono stato iscritto fino al ’72) non aveva alcuna voglia di impegnarsi in avventure armate e lo stesso poteva dirsi per i gruppi extraparlamentari, visto che tutti si erano attivamente impegnati a mantenere sul piano della semplice manifestazione di piazza la rivolta di Reggio Calabria, mostrando chiaramente come in definitiva mirassero solo a risultati elettorali.

E invece per me già allora Reggio sarebbe stata l’occasione preziosa, e come al solito sprecata, di dare legittimazione e una base popolare alla rivolta armata contro il regime. E magari per cercare di realizzare in Aspromonte i nostri sogni guerriglieri […] Siccome del nostro gruppetto pisano facevano parte diversi calabresi che studiavano a Pisa – e di due ero particolarmente amico e sono andato diverse volte a trovarli nei momenti caldi della rivolta – avevo potuto toccare con mano la scarsa voglia, anzi proprio l’opposizione ad ogni tentativo di alzare il livello dello scontro…

Il Riesame smonta l’inchiesta

In quei mesi, del resto, per Reggio passano – e sulla rivolta puntano – in molti: da Concutelli a Vinciguerra. Una secca censura dell’inchiesta viene comunque dal tribunale della libertà: il 29 settembre è liberato l’onorevole Romeo perché la procura ha usato le dichiarazioni dei collaboranti senza sottoporle al vaglio critico e quindi mancano elementi di certezza. E la difesa ha dimostrato che Filippo Barreca ha modificato le deposizioni dopo essere entrato in contatto con l’altro collaboratore Giacomo Lauro, che riferisce ai giudici, un po’ imbarazzato, una storia famigliare e una militanza giovanile comunista.

La ‘ndrangheta e il golpe Borghese

Il primo terrorista nero a denunciare l’esistenza della connection è Vinciguerra: «Durante il tentativo di golpe Borghese vi fu la possibilità di mobilitare 4mila uomini messi a disposizione in Calabria da Giuseppe Nirta». La cosa non ha seguito. I congiurati chiedono un elenco nominativo degli ’ndranghetisti mobilitati con compiti di polizia (l’arresto di militanti di sinistra). Essere schedati per «fare gli sbirri» non va a genio agli uomini d’onore calabresi.

Nirta sr. è tra i protagonisti della svolta a destra della ’ndrangheta. Le famiglie calabresi hnno avuto a lungo nei propri ranghi militanti e dirigenti di base del Pci. Al partito si sentivano vicini molti boss della Locride per la sua carica anti-istituzionale e la vocazione a difendere gli interessi popolari. Un summit a Montalto, il 26 ottobre 1969, il giorno dopo il comizio del comandante Borghese a Reggio, dà il via a una campagna di attentati nel capoluogo a opera del Fronte nazionale.

Le narrazioni dei pentiti

Arricchiscono il fascicolo le confessioni di due pentiti, l’ex avanguardista Carmine Dominici e il boss Lauro. Ricostruiscono i rapporti tra mala e «neri» durante la rivolta. Confermano che la strage di Gioia Tauro (avvenuta otto giorni dopo l’inizio della rivolta) è stata causata da un sabotaggio dei binari. Li hanno fatti saltare con il tritolo tre fascio-criminali, tutti già morti per cause naturali. Ai «picciotti» sono attribuiti in totale una cinquantina di attentati nel corso della rivolta.
Le accuse di Lauro sono verbalizzate nel 1993. Si fondano sulle confidenze di un amico morto in carcere nel 1987.

Ho conosciuto Vito Silverini negli anni 1969-70 perché era venuto a chiedere lavoro presso l’impresa Lauro che all’epoca gestiva servizi di pompe funebri, ambulanze e fiori […] Durante i moti di Reggio era stato arrestato per aver partecipato attivamente alla rivolta e rimase in carcere per 3-4 mesi. Silverini è un fascista di provata fede anche se era analfabeta. Dopo essere uscito dal carcere lavorò presso la mia impresa come operaio generico. Mangiava a casa mia quasi tutti i giorni perché viveva da solo. In quel periodo frequentava il Comitato d’azione per Reggio capoluogo.

Lauro si ritrova con Silverini in carcere e, sapendolo senza famiglia, si preoccupa delle sue condizioni: “Un giorno gli chiesi se avesse problemi economici e lui mi rispose che aveva un piccolo gruzzolo da parte, frutto di alcuni «lavori» che aveva eseguito in passato. In particolare per aver
messo una bomba sui binari lungo la tratta Bagnara-Gioia Tauro che provocò il deragliamento di un treno che proveniva dalla Sicilia e la morte di 7-8 persone […] Io ricavai l’impressione che a dare materialmente i soldi a Silverini fosse stato Renato Meduri con il quale, sia prima che dopo questo episodio, manteneva rapporti strettissimi”.
Mentre accusa il senatore di Alleanza nazionale in base a un’impressione, descrive l’esecuzione dell’attentato con grande dovizia di particolari. Lauro ammette di aver fornito l’esplosivo ma nel gennaio 2006 i giudici di Reggio chiudono la vicenda: a trentasei anni dai fatti, il reato di concorso anomalo in omicidio volontario plurimo è prescritto.
Per i due parlamentari le accuse sono «totalmente false», Meduri denuncia per calunnia «quei tristi figuri», Aloi, stupito dall’avviso di garanzia, definisce l’attentato «doloroso e mostruoso». Sdegnata la reazione di Giuseppe Scopelliti, allora segretario nazionale del Fronte della gioventù poi sindaco di Reggio e presidente della Regione (travolto da una vicenda giudiziaria che grida vendetta al cospetto di Dio), uno che la rivolta non l’ha fatta (aveva tre anni) eppure, spiega, «è un fatto che appartiene a tutto il popolo di Reggio, ma se ci sono prove di coinvolgimenti di mafia, massoneria e servizi segreti deviati è bene che si sappia e che si vada fino in fondo». (1-continua)

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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