La strage di Manchester e le bugie che ci diciamo per rassicurarci
Di fronte a fatti drammatici come la strage di Manchester la gente si aggrappa alle proprie certezze mentre sarebbe importante sforzarsi di capire la complessità. A destra insistono: non è un britannico mentre ancora una volta lo jihadista è figlio di immigrati nato e cresciuto in Gran Bretagna, dove i suoi erano riparati per sottrarsi all’oppressione del regime di Gheddafi. Non è un problema, quindi, di immigrazione ma di fallimento di un modello di integrazione. Il nemico è già in casa: come gli assaltatori di Charlie Hebdo e del Bataclan, immigrati di seconda e di terza generazione cresciuti ed educati in Europa. Come se qualcuno sostenesse che Al Pacino e Robert de Niro sono italiani perché i nonni sono nati in Italia. L’aspetto dirimente è invece la capacità della società di accogliere e integrare. Per i bianchi europei il problema oggi non si pone. Ma un secolo fa gli italiani erano nel mirino dei Klan. Esemplare la vicenda del disagiato accoltellatore della stazione di Milano che ha creduto di trovare risposta al fallimento totale della sua famiglia di appartenenza (etnicamente mista, peraltro) nell’adesione alla comunità dei credenti ma pur mantenendo uno stile di vita occidentale: vedi il consumo di cocaina.
Dall’altra parte sinistra e chiesa ripetono il mantra negazionista: non è questione di religione, l’Islam non c’entra. Però il kamikaze girava da tempo per strada recitando litanie sacre e per questo è stato identificato e segnalato alle forze di sicurezza. Nel kamikaze dell’Arena, a differenza di altre figure di affiliati dell’Isis, il fattore religioso ha un peso maggiore nella determinazione della scelta radicale rispetto a istanze sociali o di disagio personale.
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