Stragi ’93, il tossico mente: Freda innocente
[Quando le indagini sulla campagna terroristica dell’estate del 1993, passata alla storia come le stragi ’93, per cui sono stati condannati i vertici e numerosi operativi di Cosa Nostra, erano ancora – come si usa dire – a tutto campo un miserabile tentò di trarne profitto inventandosi improbabili confidenze autoaccusatorie di Franco Freda, appena arrestato per le idee xenofobe e razziste del Fronte nazionale. La cosa durò poco ma io ebbi il tempo di scriverci su un pezzullo per il Giornale di Napoli…]
“Conosco Franco Freda dai tempi dell’Università – eravamo compagni di corso a Giurisprudenza a Padova – e l’ho ritrovato dopo trent’anni con lo stesso carattere: freddo, aristocratico, riservato”. L’ avvocato Guariente Guarienti, difensore dell’editore padovano non si capacita.
“E’ assurdo. Freda è il classico prigioniero di guerra che si limita a declinare nome cognome e numero di matricola e secondo questo personaggio che ora l’accusa – mi pare si chiami Caniglia – si sarebbe messo a confidare a uno spacciatore di droga i suoi progetti di organizzazione di una strage. Mi pare incredibile”.
La prova logica addotta dall’avvocato Guarienti è persuasiva. Del resto anche i riscontri oggettivi evidenziano il carattere assolutamente grottesco della comunicazione giudiziaria contro il più noto organizzatore di cultura della destra radicale per la strage di via Palestro.
Freda è stata arrestato a Brindisi- con alcuni suoi sodali tra il quale il pluriperseguitato politico Cesare Ferri, numero due nella scarna gerarchia del Fronte nazionale – il 12 luglio per reati d’opinione: violazione della legge Scelba (ricostituzione del partito fascista ) e della legge Mancino (divulgazione di opinioni razziste): il primo capo di imputazione è decaduto nel corso dell’istruttoria per la evidente inconsistenza organizzativa del Fronte nazionale (49 aderenti nell’intero territorio nazionale, poco meno del doppio dei lettori manzoniani…), il secondo l’ha tenuto agli arresti (dapprima in fortezza, poi in casa) fino alla decorrenza termini, l’8 dicembre scorso.
Trasportato a Verona, sede dell’inchiesta in base a un bizzarro criterio di definizione della competenza territoriale (il rito religioso dell’antichità classica della celebrazione del solstizio d’inverno è stato trasformato in una cerimonia neonazista da giudici che evidentemente non hanno frequentato il liceo), dopo pochi giorni, senza motivo, Freda era stato trasferito a Vicenza dove in pochi giorni ( e comunque prima del 27 luglio) avrebbe confidato a un detenuto per motivi abietti (Freda a suo dire manderebbe in campo di rieducazione i naziskin, figurarsi gli spacciatori di eroina…) la sua volontà stragista.
Un detenuto che oltretutto era ristretto in altro reparto per cui anche l’ora d’aria era separata: e del resto è notorio che Freda per motivi di sicurezza (nel maggio del 1982 era stato sfregiato nel supercarcere di Novara da uno dei leader dello spontaneismo armato nero, il romano Egidio Giuliani, sembra su istigazione del poi pentito Sergio Calore) ma anche per potersi dedicare alle sue attività editoriali vive in carcere in regime di isolamento e in cella singola. Eppure Pomarici ha emesso un avviso di garanzia. Proseguono intanto le indiscrezioni di fonte giudiziarie.
Una stessa “regia” collegherebbe gli attentati del 27 luglio a Milano e Roma: è quanto è trapelato dalle perizie, non ancora ultimate, sugli attentati di via Palestro, San Giorgio al Velabro e San Giovanni in Laterano.
Identico l’esplosivo azionato da timer impiegato per le tre autobombe, che sarebbe quello per uso civile utilizzato nelle cave, e analogo il quantitativo (circa 80 chili), con l’obiettivo, secondo gli inquirenti, di non fare vittime: la strage di via Palestro sarebbe stata causata da un errore, per il tardivo innesco della miccia.
Indiscrezioni si sono avute anche sulla bomba di via Fauro del 14 maggio: obiettivo dell’attentato sarebbe stato proprio Maurizio Costanzo, scampato per un difetto del sistema esplodente, o perché viaggiava su un’auto diversa dalla solita, a quella che sembra essere considerata dagli inquirenti una “punizione”.
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