23 settembre 1980. Un blitz giudiziario smantella Terza posizione

Il 23 settembre 1980, sull’onda lunga della grande repressione scattata a destra dopo la strage di Bologna, la magistratura romana compie una retata contro Terza posizione. Per la destra radicale diventerà il “7 aprile” dell’Autonomia nera. L’organizzazione ne uscirà dissolta. Gemmeranno a stretto giro due tentativi di rifondazione: Gioventù nuova e Settembre, entrambi falliti per gli arresti dei vicari scelti dai leader latitanti all’estero. Io l’ho riassunto così nel libro “Guerrieri”.

Luigi Ciavardini, ormai isolato, si preoccupa di rifornirsi di armi. Se le va a prendere praticamente da solo in un’armeria di Pescara, il 20 settembre. Rimedia 5 pistole, pezzi di ricambio e munizioni. Lo accompagna la fidanzata, Elena Venditti, alla prima e ultima azione. Perché è arrestata tre giorni dopo nel blitz giudiziario che segna la fine della breve ma intensa storia di Terza posizione.

Nell’interrogatorio del 24 settembre la ragazza confessa di aver partecipato alla rapina accusando Ciavardini di aver rubato il giorno prima una Honda a San Benedetto del Tronto. L’azione è rivendicata con una telefonata dal Gruppo spontaneo di azione rivoluzionaria. In quel periodo lui è isolato dopo la rottura con la banda Fioravanti e lo sbandamento organizzativo di Tp prodotto dalla rottura tra dirigenti politici e quadri militari, passati alla lotta armata.

Solo nei giorni successivi il giovanissimo latitante verrà reclutato di nuovo da Fiore per formare con Taddeini e Nanni De Angelis la terza formazione del nucleo operativo. Durerà una settimana. L’operazione giudiziaria è costruita sulle confessioni di militanti coinvolti nelle indagini per la strage di Bologna, e rappresenta la versione in nero del “7 aprile” per Autonomia operaia: anche in questo caso una realtà complessa e diversificata dove convivevano forme di antagonismo politico radicale ed attività violente e illegali viene criminalizzata e liquidata come banda armata e associazione sovversiva.

L’operazione giudiziaria

150 perquisizioni in Italia, dieci arresti tra dirigenti e attivisti di Tp, otto ordini di cattura notificati in carcere, numerosi altri quadri costretti alla latitanza (e successivamente arrestati). Molti degli indagati saranno via via prosciolti ma l’organizzazione politica ne uscirà distrutta. Il primo risultato immediato è il definitivo passaggio alle armi di numerosi giovani ancora nel guado. Dopo più di quattro anni di carcere preventivo i vari capizona, spesso finiti in cella giovanissimi (Mottironi ha 17 anni, Bisini 18, Zucco 19, Buffa 20) saranno prosciolti.

La corte d’assise riconosce responsabili solo i leader e i componenti del nucleo operativo: la struttura clandestina e illegale era ignota ai più.Ma c’è una lettura diversa. Secondo Roberto Nistri, all’epoca responsabile del nucleo operativo, in carcere per un trasporto di armi, l’organizzazione era già allo sbando dall’inizio dell’estate, per l’incapacità di reggere la pressione di tanti militanti decisi a imboccare “la via più breve”. Questo è il testo di una sua lettera, pubblicata da Nicola Rao nella Trilogia della celtica:

La testimonianza di Nistri

Il 1980 l’ho passato tutto a Regina Coeli. Quello che arrivava dentro era un senso di grande confusione. Come se l’escalation lottarmatista avesse, perlomeno emozionalmente, coinvolto un po’ tutti. Come se ognuno pensasse che non ci si poteva più permettere di perdere quell’occasione. La gente che entrava in galera parlava solo di rapine e azioni armate. A far politica erano rimasti solo alcuni tippini, ma anch’essi con scarsa convinzione.

La tragedia di Bologna amplificò tutte le spinte e decine e decine di persone entrarono in «latitanza preventiva», certi che, come sempre, lo Stato avrebbe trovato nell’ambiente il capro espiatorio per quella carneficina che a noi tutti sembrava più che pazzesca, quasi era irreale nella sua disumanità. L’idea che qualcuno dei «nostri» potesse entrarci qualcosa ci faceva solo ridere. Tanto che anche la repressione indiscriminata che ne seguì fu presa quasi con filosofia, come una cosa normale.

Noi eravamo «fascisti», noi dovevamo pagare, al di là del fatto che fossimo colpevoli o innocenti. Quelle ondate di arresti spinsero verso la latitanza operativa tanta gente che, probabilmente, in condizioni normali, non ci sarebbe mai arrivata. Tp, lacerata dalle spinte lottarmatiste che premevano dall’esterno incessantemente, praticamente si autosciolse già un paio di mesi prima del blitz del 23 settembre.

La replica di Adinolfi

Sulla mia pagina facebook Gabriele Adinolfi ha così commentato questo post

Roberto Nistri aveva una visione un po’ falsata da dentro. Certamente vi era la pressione lottarmatista e in particolare l’assalto alla Pantera davanti al Liceo Giulio Cesare fu inteso dai suoi organizzatori appositamente per sfasciare il movimento. Innegabile che ci fosse una certa fascinazione che, però, senza le forzature ciniche del Giulio Cesare e precedentemente di Arnesano, non avrebbero inciso neppure sul Nucleo Operativo. Quando intervennero i mandati di cattura la situazione non era però affatto fuori controllo. Stavamo approntando delle squadre per missioni politiche in varie regioni ed io ero impegnato a calmare gli entusiasmi di chi voleva che iniziassimo a fare politica aperta all’università. Il che ci avrebbe realmente inchiodati a scenari di micro guerra civile e pertanto mi opposi. La visione di Roberto è filtrata da quelli del Gruppo Operativo ma non aveva il polso dell’intera situazione

Ugo Maria Tassinari è l'autore di questo blog, il fondatore di Fascinazione, di cinque volumi e di un dvd sulla destra radicale nonché di svariate altre produzioni intellettuali. Attualmente lavora come esperto di comunicazione pubblica dopo un lungo e onorevole esercizio della professione giornalistica e importanti esperienze di formazione sul giornalismo e la comunicazione multimediale

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