Tiro a segno sugli immigrati, la magistratura indaga. Ma è storia vecchia a Napoli centro
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Dopo l’allarme lanciato da “Repubblica” sui raid di matrice razzista nel cuore di Napoli, la Procura avvia il monitoraggio su altri casi di aggressione
La Repubblica segnala gli ultimi episodi di tiro al bersaglio sugli immigrati ma è una storia che si ripete nel centro storico di Napoli.
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(umt) Di queste storie me ne ero occupato in Fascisteria 1 (edizione Castelvecchi, 2001), negli ultimi capitoli. Ricordavo così quello che succedeva in città e nell’area metropolitana a metà degli anni ’90:
Qualche volta è difficile distinguere tra movente razziale e comportamenti criminali di altro tipo. Negli stessi giorni del pogrom di Torvajanica [una vendetta di massa scatenata dopo la morte di una ragazzina sul litorale romano, in un incidente stradale provocato da un immigrato ubriaco] una ancora più feroce campagna di terrore è scatenata dalla camorra nell’Agro a nord di Napoli, un’altra zona ad altissima presenza di immigrati africani. I nove giorni di offensiva contro i “neri” – che secondo gli investigatori avrebbero messo in crisi il mercato della droga – trovano scarso rilievo sulla stampa nazionale che se la cava tutt’al più con trafiletti di dieci righe, senza cogliere né l’evidente legame tra i singoli episodi né la valenza anticipatrice delle pulsioni viscerali che sono poi affiorate in tutti i grandi centri urbani contro la microcriminalità extracomunitaria. Il 28 dicembre nel centro di Giugliano è gambizzato un ivoriano di 22 anni. Il 3 gennaio due uomini fanno irruzione in un cascinale di via Camposcina, con la minaccia delle armi costringono ad uscire quattro ghanesi e appiccano il fuoco. Gli immigrati perdono risparmi e documenti. Il giorno dopo a Tre Ponte tre pistolettate sparate da una “Uno” feriscono un ghanese 23enne. Il 5 il commando agisce ancora a bordo di una “Uno”: quattro colpi feriscono alle gambe Rochy Peter, 26 anni e Saddam Dej. A Varcaturo – località balneare domiziana – è colpito alle due gambe Alì Sdali, ventidue anni: rischia di perderne una per lesioni ossee e vascolari. Il giorno dopo alla rotonda di Qualiano due uomini in una “Uno” bianca targata Firenze sparano contro la Renault 5 del nigeriano Nwoa George Okec, 20 anni, e lo feriscono alla gamba destra: 30 giorni di prognosi. Nel mese di aprile i carabinieri arrestano il boss di Villa Literno, principale centro di immigrazione nell’Agro aversano: Nicola Zara sarebbe responsabile dell’esodo forzato di 300 africani, avendo minacciato i proprietari di alloggi e compiuto estorsioni sui datori di lavoro per fare terra bruciata intorno agli immigrati. Anche a Napoli è la camorra a gestire in prima persona le campagne d’epurazione: nel maggio 1997 giustizieri in azione in un bar di Porta Capuana, tra vecchio Palazzo di Giustizia e stazione ferroviaria. Sono feriti, con una raffica di mitra alle gambe, cinque maghrebini, la moglie italiana di uno di loro, un “tossico” che sta comprandosi una dose di eroina e uno spacciatore plurischedato. Don Franco Rapullino, parroco anticamorra, conferma: “Abito nel palazzo e quel bar è una centrale di spaccio. La gente del quartiere è stanca e tende a farsi giustizia da sola”.
Le ronde antinegro contano sulla solidarietà esplicita della stragrande maggioranza degli “indigeni”. La cosa era emersa con chiarezza alla fine dell’estate. Nella notte tra il 16 e il 17 settembre un incendio doloso distrugge il Ghetto, una baraccopoli nella quale vivono in condizioni igieniche disastrose un migliaio di immigrati. Alcuni testimoni vedono un uomo scendere da un auto e appiccare il fuoco. Gran parte degli abitanti è nel Foggiano per la raccolta del pomodoro. L’attentato corona una campagna antimmigrazione. Seguono polemiche per il reinsediamento degli abitanti del Ghetto che sono infine trasferiti al campo profughi di Capua. Alla testa dello schieramento proimmigrati il vescovo di Caserta, Nogaro, un friulano testardo e coraggioso già protagonista di polemiche denunce contro il sistema di potere dc. Al suo fianco si schiera un comitato nazionale con decine di artisti, da Fazio a Dandini, da Rossi a Nannini. Il concerto tenuto a Napoli per raccogliere fondi per il reinsediamento degli abitanti del Ghetto è un successo ma gli abitanti di Villa Literno scendono in piazza, per gridare il loro no alla presenza degli immigrati. Il corteo, con centinaia di partecipanti, ha luogo una settimana dopo il rogo: alla testa è il sindaco Tavoletta. Nell’aprile 1996 a Sant’Antimo, un centro a metà strada tra Aversa e la periferia settentrionale di Napoli, un appaltatore uccide un clandestino della Guinea: aveva lavorato in un suo cantiere e con un un altro immigrato gli aveva dato quattro milioni in cambio dell’attestato di lavoro per regolarizzarsi ma il documento non arrivava. Gli chiedono i soldi indietro e sono presi a pistolettate. Uno muore, l’altro è ferito di striscio alla testa. E la tensione continua. Il giorno dopo il rogo del ghetto un misterioso gruppo di fuoco entra in azione a Villa Literno: in poche ore, nel pomeriggio, in un’area di un chilometro quadrato, i killer fanno fuoco tre volte, uccidendo a colpi di canne mozze un nigeriano con legami con l’ambiente dello spaccio e ferendo altri tre africani. Nel dicembre 1996 l’azione ha caratteristiche più evidentemente politiche. A Castelvolturno, sulla costa domiziana, esplode una rivolta di immigrati per la morte di uno spacciatore africano: accusano i carabinieri di averlo massacrato di botte. Le prime indiscrezioni sull’autopsia escludono il pestaggio e puntuali entrano in azione i giustizieri bianchi. Quattro vetture di immigrati africani sono date alle fiamme a Ischitella, rivendica un nucleo di “Tutela dello Forze dell’ordine”. Qualche mese dopo sono arrestati Raffaele Gravante, 34 anni, e la madre, Enza Falco, 51 anni, residenti a Castelvolturno: viene loro contestata l’aggravante della finalità di odio etnico, nazionale e razziale. E i roghi continuano, una ventina in un anno, fino a quando, nel giugno 1998, l’incendio di una Renault 9, sempre sulla costa domiziana, a Mondragone, uccide un 15enne marocchino: l’auto in fiamme si schianta contro una porta di legno e il fuoco si propaga all’appartamento che ospitava Jauad Bouaki. Era già successo, nell’Agro Aversano, che alla mobilitazione politica anti-immigrati facesse seguito, a stretto giro, l’iniziativa terroristica. Nei giorni del pestaggio di Colle Oppio, il clima di “caccia al naziskin” aveva portato alla ribalta della stampa nazionale i manifesti furiosamente xenofobi affissi dal Msi di Caserta. Le successive polemiche – con la ferma condanna del vescovo Nogaro e la presa di distanza dell’ala moderata del partito –portano alla luce la presenza di una Comunità militante su posizione assai radicali sulla questione dell’immigrazione. Il suo ideologo, Lello Ragni, autore di un saggio contro il “capitalismo mondialista” sarà poi sottoposto a provvedimenti di polizia – ben presto revocati – nel blitz contro i naziskin, per la collaborazione alla rivista revisionista L’uomo libero, la cui redazione è considerata il brain trust del movimento skin. Intanto però – mentre infuria la polemica sulle parole – qualche testa calda pensava bene di passare ai fatti. La notte del 28 gennaio 1992 un commando lancia molotov in uno dei locali del Ghetto. Per sfuggire al rogo gli ospiti si lanciano dalla finestra: 18 i feriti. La coincidenza con altri due incendi in alloggi di extracomunitari nel circondario fa pensare a una “notte dei fuochi” ma le perizie escludono il dolo per gli episodi di San Cipriano d’Aversa (una stufa a gas difettosa) e di Casaluce (un braciere rovesciato). In qualche occasione ha trovato riscontro nelle indagini l’ipotesi che a organizzare gli attacchi contro gli extracomunitari siano esponenti della malavita locale, legata agli affari spiccioli che il controllo del territorio offre (sfruttamento della prostituzione, piccolo spaccio). Bande familiari o di amici soffrono di più la concorrenza dei trafficanti maghrebini (per il “fumo”), centroafricani (per l’eroina) e dell’Est europeo (per la prostituzione).
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